Assolutamente incurante delle critiche ricevute dal presidente della BCE, Jean Claude Trichet, soltanto ultimo, peraltro, tra il folto plotone di quanti ritengono che la sua sia una politica monetaria totalmente succube del mercato, Ben Bernanke ha stupefatto i senatori che ascoltavano la sua audizione e terrorizzato gli operatori, sostenendo che la situazione economica sta chiaramente peggiorando, che l’uscita dalla crisi non è prevedibile prima della fine dell’anno in corso, ma di non vedere minacce imminenti in merito al fatto che le crescenti perdite legate alle attuali turbolenze finanziarie possano determinare insolvenze bancarie.
Per chi si sintonizzasse solo ira con il Diario, vorrei sommessamente ricordare che quello che, dopo anni dall’insediamento, ancora viene chiamato il nuovo presidente della Fed, ha operato una serie di tagli selvaggi dei tassi di interesse da lui governati a partire dalla metà di agosto, sino a portare il tasso sui Fed Funds al 3 per cento e il tasso ufficiale di sconto al 3,50 per cento, che, nel giro di otto giorni collocati nell’ultimo mese dello scorso anno, ha ridotto il tasso sui Fed Funds di ben 125 punti base, 75 dei quali prima della riunione ufficiale del FOMC con una semplice consultazione telefonica dei membri con diritto di voto in quell’organismo e 50 quando finalmente hanno avuto modo di vedersi da vicino e dirsi la propria opinione.
Ma il nostro, in questo in buona ed allegra compagnia, ha fatto di più, riesumando un’operazione del tutto dimenticata negli Stati Uniti, lo sconto presso la Fed di titoli in possesso delle banche operanti in quel Paese, ha trasformato i forzieri della più grande banca centrale del mondo in una sorta di discarica dei titoli della finanza strutturata che nessuno ormai vuole più e quasi a nessun prezzo, subendo applicazioni quotidiane miliardarie che hanno portato un temporaneo sollievo alle alquanto disastrate banche statunitensi e globali, che sono riuscite a vedersi valorizzare quei pezzi di carta stracci ai prezzi che si spuntavano in tempi oramai irripetibili.
Preso da un’irresistibile voglia di dire almeno parte della verità, Ben ha sostenuto che quello proveniente dal mercato immobiliare USA è stato una sorta di uno due pugilistico che ha fatto stramazzare l’economia di quello che ancora rimane il Paese più importante del globo, forte anche dei dati recenti che vedono flessioni di tutto rispetto, e come non se ne vedevano da alcuni decenni, della vendita di case esistenti, di case nuove e dei relativi prezzi di entrambe le fattispecie, non essendo, peraltro, ancora la corrente della nuova raffica di dati negativi al riguardo diffusi solo ieri.
Il disperato tentativo del predecessore di Ben, il Maestro Alan Greenspan, ha addirittura peggiorato la situazione, in quanto le oscure parole dell’uomo che ha governato per ben 19 anni la Federal Reserve hanno di fatto confermato che la recessione è già in corso, come del resto pensano due intervistati su tre da un accurato sondaggio, e si tratta ormai solo di stabilirne profondità e durata, così come non hanno aiutato le previsioni estremamente pessimistiche sul futuro dell’economia formulate dal ministro dell’Economia del Giappone, Hiroko Ota.
Per i tre indici principali di Wall Street, che mercoledì avevano tentato un timido recupero, fingendo che il piano Bush-Paulson potrà essere realmente efficace e che i consumatori americani non potranno stare per troppo tempo in astinenza rispetto alle dosi abituali di acquisti quotidiani spesso non proprio utili, non c’è stato veramente niente da fare ed è scattata un’ondata di vendite tale che ha visto i volumi delle azioni in perdita superare di quattro volte quello relativo ai titoli che persistevano nel mostrare un segno positivo, un quadro nel quale, come al solito, spiccavano le performance negative dei titoli legati alle entità operanti nel mercato finanziario, con l’eccezione inquietante delle azioni di MBIA e Ambac, compagnie monoline che qualcuno evidentemente pensa ancora che possano essere salvate in zona Cesarini.
Non fa quasi più notizia la decisione che un’altra compagnia monoline, la Financial Guarantee Insurance Co., legata all’un tempo potente fondo di private equità Blackstone, è stata brutalmente degradata da Moody’s da tripla A ad A3, né che la più importante tra le agenzie di rating sta continuando a valutare l’ormai certa degradazione delle prime due compagnie monoline ormai alla frutta.
In questo scenario, neanche la buona notizia relativa al primo declino del deficit commerciale statunitense dopo cinque anni di record successivi ha sortito effetti positivi, in quanto gli operatori giustamente ritengono che, dopo due anni di dollaro estremamente debole nei confronti di quasi tutte le valute convertibili, una flessione del 6 per cento circa del deficit sia, da un lato estremamente modesta, mentre, dall’altro, rappresenta, ai loro occhi, un’ulteriore conferma dello stato depresso dell’economia a stelle e strisce.
L’encomiabile resitenza di Trichet e ei templari del board della BCE sta assumendo caratteristiche addirittura commoventi, anche se il mercato sembra scommettere decisamente sul fatto che, alla fine, anche il francese più germanizzato del mondo cederà alle sirene dei governi dei paesi dell’area dell’euro, che, giunti a questo punto, hanno già sciolto il dilemma che paralizza gli uomini di Francoforte, scegliendo di essere più preoccupati dei rischi recessivi che di quelli inflattivi, anche perché sanno e sperano che la corsa dei prezzi si infrangerà sui marosi della tempesta perfetta.
Dopo il brusco ridimensionamento registrato un po’ paradossalmente nelle sedute passate, l’euro e lo yen hanno ricominciato a mostrare i muscoli, del tutto indifferenti ai desiderata delle rispettive banche centrali e dei rispettivi governi, rimettendosi in sintonia con uno scenario che vede la Fed pronta a tutto pur di contrastare l’ondata recessiva ed una BCE che, anche se farà qualcosa di certo non esagererà come i cugini di oltre Atlantico, mentre la BoJ è del tutto impossibilitata a muovere al ribasso i già inesistenti tassi ufficiali, da lungo tempo negativi in termini reali, con l’ovvia considerazione che tutto ciò rappresenta una sorta di campana a morto per i carry traders.
Non voglio sciupare la sorpresa né a me né ai miei pochi lettori e, quindi, riferirò solo domani quel poco o tanto che sarà trapelato dall’incontro di San Valentino tra Mario Dragli e i vertici operativ dei sei maggiori gruppi creditizi italiani, limitandomi a dare la notizia che il nostro Governatore è volato a Parigi, dove oggi incontrerà il suo omologo francese, uno che di gatte da pelare ne ha veramente di avanzo.