Dopo le compagnie di assicurazione monoline, era quasi inevitabile che i marosi della tempesta perfetta colpissero anche le compagnie tradizionali statunitensi, almeno per ora, anche esse ovviamente impegnate anche nel prestare garanzie sulla emissione degli ormai famigerati titoli della finanza strutturata, ed altrettanto ovviamente si inizia dalle entità poste al vertice della graduatoria di settore, così ieri è toccato ad American International Group (Aig), che, dopo le critiche del revisore price Waterhouse Coopers sulla valutazione dei CDo in portafoglio ha subito l’onta di un vero tracollo delle quotazioni del proprio titolo, che ha chiuso le contrattazioni con una sonora flessione dell’11 per cento.
Non è un mistero per nessuno che la colossale compagnia di assicurazione, basata negli Stati Uniti ma operante nel mondo intero, non è nuova ad incidenti del genere, in quanto già nel 2005 è stata messa sotto inchiesta da parte della temuta Securities and Exchange Commission, inchiesta che si chiuse con il pagamento di 1,6 miliardi di dollari e il brusco allontanamento dell’amministratore delegato dell’epoca, ma è chiaro che, in questa fase molto turbolenta, si tratta di una botta non da poco per un mercato finanziario in evidente crisi di credibilità e che ha bisogno come il pane di qualcosa che riesca a ripristinare la fiducia degli investitori che continuano ad ostinarsi a non acquistare i titoli della finanza strutturata, a prescindere da chi li origini..
Non si tratta certo di una buona notizia per le alquanto disastrate MBIA ed Ambac, alle prese da settimane in una ricerca affannosa di capitali indispensabili, per la prima delle due entità per evitare il downgrade dalla cosiddetta tripla A, mentre per Ambac, già degradata, si tratta di una vera e propria lotta per la sopravvivenza, anche perché, dopo aver manifestato un qualche interesse, il miliardario Ross, specialista nel salvataggio di aziende decotte, si tiene sapientemente alla larga dalla compagnia e sembra voler seguire l’esempio di Warren Buffett che ha creato da qualche tempo una nuova compagnia monoline, ottenendo a tempo di record la licenza dalle autorità di New York.
Né è destinata a far bene al depresso clima psicologico che da sei mesi aleggia tra gli operatori la notizia delle ulteriori perdite di Socgen che porta il conto a 7,5 miliardi di euro e che chiuderà il 2007 in utile per qualcosa di più di 900 milioni di euro solo grazie ai profitti ottenuti dall’infedele dipendente Jerome Kerviel, che aveva realizzato, prima dell’improvvida decisione di Bouton e compagni di liquidare in un colpo solo tutte le posizioni non autorizzate dal loro dipendente, guadagni per ben 1,4 miliardi di euro, così come non sono destinati a rassicurare gli investitori i dettagli dell’aumento di capitale da 5,5 miliardi di euro annunciati sempre ieri dal quartier generale di Socgen.
L’offerta si presenta, infatti, anche troppo allettante, in quanto le nuove azioni verranno emesse a soli 47,5 euro, contro i 75 euro circa della chiusura di ieri e gli irripetibili 160 euro registrati nelle prime sedute del gennaio dell’anno scorso, circostanza questa che autorizza i peggiori sospetti sul reale stato dei conti della banca francese che, lo ricordo per l’ennesima volta, è una delle banche europee più attive nel mercato finanziario globale, grazie alla sofisticazione e la dotazione della sua agguerritissima divisione attiva nel corporate and investment banking.
L’affidamento alla solita e solida Mediobanca del ruolo di capofila nel collocamento delle azioni offerte da Socgen induce a ritenere che non vi sono dubbi sul successo del collocamento, così come inducono a ritenere che l’operazione sia solo un tassello ed una tappa intermedia del percorso non certo agevole che porterà alla sistemazione definitiva della partita, una partita, al termine della quale, con ogni probabilità Socgen cesserà di essere un’entità autonoma, mentre i dubbi riguardano solo le modalità del sempre più probabile spezzatino delle sue consistenti attività e del suo vasto numero di dipendenze in francia e negli altri 85 paesi dove l’istituto di credito è, in vario modo, presente.
Stamane, la stampa riporta l’indiscrezione sul prezzo per azione che BNP Paribas, la più accreditata entità che potrebbe farsi carico del ruolo di regista dell’operazione di sistemazione dell’impero Socgen, offrirebbe agli azionisti in una sempre più probabile OPA amichevole e non sorprende che i 93 euro presumibilmente offerti si collochino appena al di sotto del doppio del prezzo richiesto in sede di aumento di capitale, due euro di differenza che potrebbero essere facilmente colmati in sede di perfezionamento dell’offerta pubblica di acquisto.
Reduce dalla non proprio esaltante avventura giapponese e dalla coda rappresentata dalla riunione dei ministri finanziari e dei Governatori delle banche centrali dell’Ecofin, il Governatore della Banca d’Italia e presidente pro tempore del Financial Stability Forum, ha convocato i numeri uno operativi delle prime sei banche italiane (un tempo erano sedici, poi dieci, ma questo è il frutto del sempre più vivace processo di concentrazione verificatosi nel settore bancario italiano), una riunione che avrà un denso ordine del giorno che spazierà dalla crisi finanziaria ed i suoi effetti sugli intermediari, alle tanto attese disposizioni sulla governance e, the last but non the least, la cruciale questione della gestione dei rischi di liquidità.
La scelta della data, il 14 febbraio, è ovviamente del tutto casuale e dettata dalla fitta agenda del Governatore e da quelle altrettanto straripanti di impegni dei CEO di Unicredit Group, Intesa-San Paolo, Mediobanca, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Ubibanca, anche se mi corre l’obbligo che, oltre alla sempre più celebrata festa di San Valentino, a torto o a ragione ritenuto il patrono degli innamorati, è anche la data nella quale avvenne il celebre massacro ordinato da Alfredo Capone, in arte Al Capone.
Sarà dunque una riunione molto intensa e, mi auguro, molto fruttuosa per il futuro delle banche italiane che, saranno anche le meno esposte alla crisi finanziarie rispetto alle loro omologhe di tutto il mondo, ma non sono certo esenti da un certo numero di problemini, in particolare i primi due gruppi creditizi creati con operazioni lampo e, a detta degli interessati, senza una due diligence ex ante.