Come fanno ormai abitualmente i maggiori quotidiani statunitensi, come ha fatto, nelle ultime elezioni politiche, il direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli (Repubblica, da un lato, e le testate legate al Centro Destra, dall’altro, non avevano nemmeno bisogno di farlo), anche io voglio rendere note ai quattro lettori che mi seguono con pazienza sui due siti dove il Diario viene pubblicato e sul mio blog le mie idee sul passaggio strettissimo e difficilissimo che si è aperto con la fine anticipata della legislatura e l’inevitabile chiamata alle urne degli elettori italiani, una crisi politica dagli esiti incerti che si intreccia inevitabilmente con la tempesta perfetta sui mercati finanziari di cui tengo il giornale di bordo da cinque mesi e qualche giorno.
Ovviamente, le mie idee non impegnano i due siti sui quali il Diario della crisi finanziaria appare abitualmente e non considererò in alcun modo una censura l’eventuale decisione dei miei amici che li gestiscono di non pubblicare queste mie considerazioni personali, ove le ritengano troppo impegnative e non in linea con le finalità del sito di cui hanno la responsabilità, anche perché sanno benissimo che rimarremo comunque amici come prima.
Non voglio ripetere qui le splendide parole sull’Italia che ha pronunciato Roberto Benigni, nell’appassionato prologo ad un’indimenticabile lettura del V canto dell’Inferno di Dante Alighieri trasmessa in televisione senza spot pubblicitari, parole commoventi su quegli aspetti della storia remota e recente del nostro Paese, della sua arte e del conseguente ricchissimo patrimonio artistico, della genialità e dello spirito di intrapresa di tanti nostri conterranei di tutti i tempi, per non parlare di quel vero e proprio miracolo che la natura ha voluto riservare ad un Paese relativamente piccolo e dalla forma così strana, concentrando in esso un po’ tutti gli aspetti diversi che la bellezza e l’armonia possono assumere.
Che queste parole le abbia pronunciate l’ultimo tra gli italiani che può essere tacciato di nazionalismo becero e che ha, nella sua veste comica e satirica, denunciato i tanti mali che affliggono la nostra società e quella espressione speculare di essa che è tanta parte della nostra classe dirigente, politica, imprenditoriale, sindacale e chi più ne ha ne metta, dovrebbe ammonirci rispetto a due rischi spesso così presenti: la propensione a guardare la metaforica pagliuzza nell’occhio altrui, cercando di essere consapevoli della nostra trave, la tendenza dominante a buttare il bambino con l’acqua sporca.
Vorrei evitare anche di ripetere le considerazioni che spero di avere sufficientemente chiarito nella puntata del Diario dedicata alla questione salariale, che poi non è che un aspetto di quella iniqua distribuzione del reddito in Italia che, come le pur opinabili statistiche ufficiali e gli altrettanto opinabili studi specialistici dimostrano in modo palmare, si è ulteriormente aggravata nell’ultimo ventennio, giungendo a livelli assolutamente intollerabili, almeno per un paese che vuole definirsi civile e animato da un sufficiente spirito di solidarietà e di umanità.
Le stesse emergenze acute e croniche, spesso acute nella loro cronicità, sono troppo evidenti e quotidianamente sotto gli occhi di tutti perché annoi i miei pochi lettori in una elencazione che sarebbe assolutamente superflua e troppo afflitta da quel dannosissimo virus rappresentato dalla lamentazione.
A proposito di quella cronica, pluridecennale emergenza rappresentata dalla questione dei rifiuti a Napoli ed in Campania, ma non solo, voglio, tuttavia, esprimere un omaggio alla determinazione ed al coraggio di mia sorella, Doriana, una giovane madre di due figli, veterinaria e moglie di un veterinario, che è stata costretta ad insorgere contro un sistema che vede interessi politici, affaristici e camorristici alla base di una tragedia assolutamente evitabile e che solo il coraggio suo e di migliaia di altre persone come lei sta cercando di contrastare, pagando un caro prezzo in termini di esposizione mediatica, di rischio personale e di fatica, anche se so che non è una scelta, quanto un imperativo morale a muovere lei e tutte le altre persone di buona volontà che stanno combattendo questa battaglia che può e deve essere vinta.
Quando, nella puntata citata, ho mosso aspre critiche, riferendomi ai comportamenti dell’allora Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi e del Premier dell’epoca, Giuliano Amato, così come dei loro omologhi britannici, nella crisi valutaria dei primi anni Novanta, con la conseguente, pesante svalutazione della lira e della sterlina e l’uscita forzata delle due valute dallo SME, esercitavo, appunto, il diritto di critica, non intendendo assolutamente esprimere apprezzamenti sulle due figure, in particolare la prima di esse, che assomigliano di più al profilo del civil servant, una figura oltremodo rara in questo nostro Paese.
Perché il problema è proprio questo: la difficoltà di individuare nella classe dirigente italiana nel suo complesso quello sforzo di essere e di apparire dedito al bene comune, alla ricerca delle soluzioni più giuste e più eque, tenendo ovviamente conto dei vincoli finanziari e dei paletti, ovviamente criticabili e che possono anche cambiare, ma da rispettare finché rimangono tali, una classe dirigente che dovrebbe essere in ogni modo rispettosa della distinzione dei ruoli e, nella sua variante politica, non ingerirsi in scelte che devono, purtroppo dovrebbero, essere basate soltanto su criteri oggettivi quali il merito e la professionalità.
Pur consapevole che si tratta di mali che non possono essere ascritti a semplici questioni di schieramento, il mio mestiere mi insegna a valutare gli aggregati e le proporzioni di etica e di valori “umanamente” condivisibili e, in base a questo approccio, mi riesce facile dire che non potrei mai appoggiare questo centro-destra nel quale la prevalenza degli animal spirits e le scelte basate quasi del tutto sulla base dell’appartenenza hanno prodotto in passato e produrrebbero alquanto verosimilmente nel futuro, gli stessi errori, le stesse ingiustizie e gli stessi guasti che abbiamo avuto modo di constatare in lunghi anni nei quali questo schieramento ha avuto la responsabilità di guidare il nostro paese.
Quando la ragione ci induce a ritenere che l’evoluzione naturale delle cose rischia di rendere inevitabile il prevalere dello schieramento di centro-destra alle prossime elezioni, lo stesso imperativo morale che anima Doriana e i suoi compagni di strada nella loro lotta sacrosanta mi fa dire che voterò, in modo convinto, per il Partito Democratico, anche se avrei preferito che la società civile, le persone di buona volontà, le donne e gli uomini che si basano sul fare il bene ed evitare il male fossero riusciti, fossimo riusciti, a creare in questi anni un’offerta politica veramente nuova.
Ovviamente, le mie idee non impegnano i due siti sui quali il Diario della crisi finanziaria appare abitualmente e non considererò in alcun modo una censura l’eventuale decisione dei miei amici che li gestiscono di non pubblicare queste mie considerazioni personali, ove le ritengano troppo impegnative e non in linea con le finalità del sito di cui hanno la responsabilità, anche perché sanno benissimo che rimarremo comunque amici come prima.
Non voglio ripetere qui le splendide parole sull’Italia che ha pronunciato Roberto Benigni, nell’appassionato prologo ad un’indimenticabile lettura del V canto dell’Inferno di Dante Alighieri trasmessa in televisione senza spot pubblicitari, parole commoventi su quegli aspetti della storia remota e recente del nostro Paese, della sua arte e del conseguente ricchissimo patrimonio artistico, della genialità e dello spirito di intrapresa di tanti nostri conterranei di tutti i tempi, per non parlare di quel vero e proprio miracolo che la natura ha voluto riservare ad un Paese relativamente piccolo e dalla forma così strana, concentrando in esso un po’ tutti gli aspetti diversi che la bellezza e l’armonia possono assumere.
Che queste parole le abbia pronunciate l’ultimo tra gli italiani che può essere tacciato di nazionalismo becero e che ha, nella sua veste comica e satirica, denunciato i tanti mali che affliggono la nostra società e quella espressione speculare di essa che è tanta parte della nostra classe dirigente, politica, imprenditoriale, sindacale e chi più ne ha ne metta, dovrebbe ammonirci rispetto a due rischi spesso così presenti: la propensione a guardare la metaforica pagliuzza nell’occhio altrui, cercando di essere consapevoli della nostra trave, la tendenza dominante a buttare il bambino con l’acqua sporca.
Vorrei evitare anche di ripetere le considerazioni che spero di avere sufficientemente chiarito nella puntata del Diario dedicata alla questione salariale, che poi non è che un aspetto di quella iniqua distribuzione del reddito in Italia che, come le pur opinabili statistiche ufficiali e gli altrettanto opinabili studi specialistici dimostrano in modo palmare, si è ulteriormente aggravata nell’ultimo ventennio, giungendo a livelli assolutamente intollerabili, almeno per un paese che vuole definirsi civile e animato da un sufficiente spirito di solidarietà e di umanità.
Le stesse emergenze acute e croniche, spesso acute nella loro cronicità, sono troppo evidenti e quotidianamente sotto gli occhi di tutti perché annoi i miei pochi lettori in una elencazione che sarebbe assolutamente superflua e troppo afflitta da quel dannosissimo virus rappresentato dalla lamentazione.
A proposito di quella cronica, pluridecennale emergenza rappresentata dalla questione dei rifiuti a Napoli ed in Campania, ma non solo, voglio, tuttavia, esprimere un omaggio alla determinazione ed al coraggio di mia sorella, Doriana, una giovane madre di due figli, veterinaria e moglie di un veterinario, che è stata costretta ad insorgere contro un sistema che vede interessi politici, affaristici e camorristici alla base di una tragedia assolutamente evitabile e che solo il coraggio suo e di migliaia di altre persone come lei sta cercando di contrastare, pagando un caro prezzo in termini di esposizione mediatica, di rischio personale e di fatica, anche se so che non è una scelta, quanto un imperativo morale a muovere lei e tutte le altre persone di buona volontà che stanno combattendo questa battaglia che può e deve essere vinta.
Quando, nella puntata citata, ho mosso aspre critiche, riferendomi ai comportamenti dell’allora Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi e del Premier dell’epoca, Giuliano Amato, così come dei loro omologhi britannici, nella crisi valutaria dei primi anni Novanta, con la conseguente, pesante svalutazione della lira e della sterlina e l’uscita forzata delle due valute dallo SME, esercitavo, appunto, il diritto di critica, non intendendo assolutamente esprimere apprezzamenti sulle due figure, in particolare la prima di esse, che assomigliano di più al profilo del civil servant, una figura oltremodo rara in questo nostro Paese.
Perché il problema è proprio questo: la difficoltà di individuare nella classe dirigente italiana nel suo complesso quello sforzo di essere e di apparire dedito al bene comune, alla ricerca delle soluzioni più giuste e più eque, tenendo ovviamente conto dei vincoli finanziari e dei paletti, ovviamente criticabili e che possono anche cambiare, ma da rispettare finché rimangono tali, una classe dirigente che dovrebbe essere in ogni modo rispettosa della distinzione dei ruoli e, nella sua variante politica, non ingerirsi in scelte che devono, purtroppo dovrebbero, essere basate soltanto su criteri oggettivi quali il merito e la professionalità.
Pur consapevole che si tratta di mali che non possono essere ascritti a semplici questioni di schieramento, il mio mestiere mi insegna a valutare gli aggregati e le proporzioni di etica e di valori “umanamente” condivisibili e, in base a questo approccio, mi riesce facile dire che non potrei mai appoggiare questo centro-destra nel quale la prevalenza degli animal spirits e le scelte basate quasi del tutto sulla base dell’appartenenza hanno prodotto in passato e produrrebbero alquanto verosimilmente nel futuro, gli stessi errori, le stesse ingiustizie e gli stessi guasti che abbiamo avuto modo di constatare in lunghi anni nei quali questo schieramento ha avuto la responsabilità di guidare il nostro paese.
Quando la ragione ci induce a ritenere che l’evoluzione naturale delle cose rischia di rendere inevitabile il prevalere dello schieramento di centro-destra alle prossime elezioni, lo stesso imperativo morale che anima Doriana e i suoi compagni di strada nella loro lotta sacrosanta mi fa dire che voterò, in modo convinto, per il Partito Democratico, anche se avrei preferito che la società civile, le persone di buona volontà, le donne e gli uomini che si basano sul fare il bene ed evitare il male fossero riusciti, fossimo riusciti, a creare in questi anni un’offerta politica veramente nuova.