giovedì 7 febbraio 2008

La sorte di Socgen e i suoi riflessi italiani


Come abbiamo dovuto constatare in questa lunga crisi finanziaria, se gli Stati Uniti d’America prendono un raffreddore, la vecchia Europa, ma in fondo anche gran parte dei paesi dell’Asia, rischiano seriamente di prendere la polmonite, e questo per la semplice ragione che la più potente nazione del mondo, origine prima del contagio della finanza strutturata rapidamente diffusosi in tutto il globo, ha in sé delle caratteristiche di estrema flessibilità che rendono più facile, grazie anche alla disponibilità della Fed di Bernanke, operare mega salvataggi e processi di ristrutturazione sanguinosi che sono realmente inimmaginabili in quell’Europa che, a quasi cinque mesi di distanza, non è ancora riuscita ad accasare l’eterna zitella Northern Rock e affronta alquanto tremebonda la grana rappresentata dalla necessità di mettere sotto tutela Socgen in modo amichevole e non attraverso una serie di OPA e contro OPA.

Secondo Merril Lynch, che affida la notizia al suo ufficio studi londinese, e che peraltro è adviser, insieme a J.P. Morgan, per l’aumento da 5,5 miliardi di euro lanciato da Socgen, esiste un 70 per cento di possibilità che, alla fine, si arrivi all’OPA, ma il problema è che dopo l’ipotesi di una corsa a tre che vedrebbe coinvolte la favorita BNP Paribas, il Credit Agricole e l’italiana Intesa-San Paolo, quest’ultima interessata alle attività nell’Est europeo ed a quelle in Nord Africa, i quotidiani di oggi avanzano l’ipotesi che a fare un sol boccone dell’importante e multinazionale banca francese potrebbe essere la solita Hong Kong Shanghai Banking Corporation, un colosso britannico con grandi interessi in Asia che ha, peraltro, molto sofferto per gli effetti della tempesta perfetta e che è stata la prima ad inglobare nei propri conti quel che restava del valore dei suoi SIV.

Considerando l’approccio francese alla annosa questione dell’apertura delle frontiere quando sono in ballo gli interessi nazionali, appare molto difficile che quella della HSBC possa rappresentare qualcosa di più di una palese azione di disturbo che potrebbe rendere ancora più onerosa per le due banche francesi e per quella italiana l’acquisizione dello spezzatino Socgen, mentre ricordo che l’operazione più accreditata è quasi la fotocopia di quella realizzata dalla fortunata compagine a tre che ha, non troppi mesi orsono, sfilato ABN AMRO dalle fauci aperte della britannica Barclays che godeva pubblicamente del convinto appoggio dell’allora numero uno del colosso olandese e di larga parte dell’azionariato dello stesso.

L’ipotesi più accreditata vedrebbe BNP Paribas aggiudicarsi la ricca rete di sportelli francesi di Socgen, il che le consentirebbe di giungere all’invidiabile soglia di 5 mila dipendenze, mentre la rilevante quota sul mercato globale delle attività legate al risparmio gestito ed alla finanza in generale sarebbero appannaggio del Credit Agricole che farebbe un notevole salto nelle attività CIB nelle quali è molto distanziato dalle sue due principali rivali basate in Francia, mentre per quello che andrebbe al gruppo gestito dal duo Bazoli-Passera ho già detto quello che c’era da sapere.

Parlando dei guai giudiziari che coinvolgono, almeno per ora, quattordici banche statunitensi e straniere ad opera dell’FBI per conto di un nutrito stuolo di procuratori di diversi distretti giudiziari, ho avuto modo di ricordare che, tra le tante, la più temuta conseguenza per i soggetti indagati è la perdita della licenza ad esercitare l’attività creditizia, cosa che è accaduta ieri in India al colosso svizzero UBS (ricordate lo slogan UBS, You & Us?), a causa dell’accusa di reticenza in un indagine per riciclaggio, riguardante, come ricorda Il Sole 24 Ore in edicola oggi, una serie di passaggi di denaro tra gli USA e le Isole Vergini che coinvolge, tra gli altri, il discusso miliardario saudita Adnan Khashoggi, informazioni che UBS è disposta a fornire solo in presenza di una rogatoria internazionale attivata dal governo indiano.

Dopo la dura requisitoria formulata dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, al recente congresso annuale del Forex svoltosi in quel di Bari, sull’alquanto malandato stato dei fondi di investimento di ogni specie e natura operanti nel mercato finanziario italiano, una requisitoria che ha messo senza reticenze sul banco degli imputati le banche, colpevoli, secondo Draghi, di essere da un lato proprietarie di buona parte di questi soggetti e, dall’altro, i loro principali concorrenti, sono giunti due giorni fa i dati, davvero disastrosi, sul crollo considerevole della raccolta in gennaio, una flessione per oltre 19 miliardi di euro, che fa impallidire i dati, di per sé disastrosi, sull’intero esercizio 2007 (-53 miliardi di euro) e che indica come sia stata “persa” in un solo mese più raccolta di quanto sia avvenuto nell’anno di grazia 2006.

Ritengo proprio di essere facile profeta prevedendo che il dibattito vigorosamente innescato dal professor Draghi, e che ha visto nel breve lasso di tempo che ci separa dalle assise pugliesi una alluvione di interventi ed inteviste, sarà, a meno di interventi di autorità che il Governatore ha, in modo neppure troppo velato, lasciato intravedere, assolutamente inconcludente, al netto, ovviamente, del copioso numero di luculliani banchetti che accompagneranno convegni e tavole rotonde che non si negano a nessuno, così come mi aspetto un bel po’ di lacrime di coccodrillo da parte di presidenti e CEO di banche italiane e straniere di ogni ordine e grado, forse influenzati dal successo, purtoppo per lei relativo, degli effluvi lacrimali di Hillary Clinton.

Non mi serve assolutamente, invece, l’utilizzo della sfera di cristallo per preveder che le vicende francesi influenzeranno, e non poco, la terza, e non ultima, fase dell’alquanto turbolento processo di concentrazione in corso nel mercato finanziario, in particolare di quello bancario, italiano, anche perché, come si evince chiaramente da dettagliate ricostruzioni apparse sulla stampa, sull’augusto portone di Rocca Salimbeni in quel di Siena è chiaramente appeso un vistoso cartello recente la scritta “lavori in corso”, ricostruzioni accompagnate dall’aperto scetticismo di chi crede che, dopo l’indigestione provocata dall’acquisizione lampo di Antonveneta, La Fondazione senese e il suo braccio armato creditizio non avrebbero la disponibilità finanziaria e. soprattutto, la voglia di imbarcarsi in altre acquisizioni miliardarie.

Agli scettici ed ai saputelli, razza che abbonda nel nostro non sempre felice Paese, mi permetto di ricordare sommessamente che, come ebbe una volta a dire il sagace Rainer Masera nel corso della sua breve esperienza di responsabile di un importante dicastero economico, la cosa peggiore, quando si è a metà di un progetto, peraltro ambizioso, è quella di fermarsi a metà del guado perché ci si spaventa delle inevitabili conseguenze, così, quando si è deciso di diventare il terzo polo creditizio (ed assicurativo, aggiungo io), osare è un obbligo e non una scelta.

Sull’ennesima seduta negativa vissuta ieri da Wall Street, credo proprio non sia necessario dire nulla, in quanto mi sembra alquanto self explaining.
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Post Scriptum
Secondo voci di mercato, nell'ambito del progetto di acquisizione a tre di Socgen, sarebbe prevista, per scopi esclusivamente di cassa, una transazione tra BNP Paribas e Credit Agricole avente ad oggetto la rete di sportelli della BNL, un'operazione mediante la quale il Credit Agricole raggiungerebbe un'adeguata massa critica di dipendenze in Italia, aggiungendo i 703 sportelli di BNL a quelli di Cariparma e Friuladria ricevuti da Intesa in cambio dell'uscita dal gruppo milanese, mentre meno chiaro è, ove esista, l'interesse della grande banca francese per il resto delle attività di BNL, parte delle quali potrebbero rimanere a BNP Paribas.

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