L’annuncio della nazionalizzazione di Northern Rock è giunto nella giornata di ieri, domenica, mediante un annuncio televisivo effettuato dal Cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente, in un paese normale, del ministro dell’economia) di Sua Maestà che, con fare alquanto mesto, ha reso noto che il governo, sempre di Sua Maestà, dopo aver esaminato le due proposte di acquisto avanzate dall’originale creatore di Virgin, Richard Branson, e da un gruppo di manager della banca, aveva deciso, sulla base della improponibilità delle suddette due proposte, di procedere alla nazionalizzazione temporanea (sic), dell’ottava banca britannica e quinta nella graduatoria delle entità eroganti mutui.
La nazionalizzazione dell’alquanto malandata banca britannica, un istituto che verrà ricordato dai posteri non già per la sua più o meno gloriosa storia, ma bensì per essere stato il primo istituto di credito assaltato non troppo metaforicamente dai suoi depositanti negli ultimi 166 anni, o per la vita mondana del suo ex numero uno che, assieme alla consorte, era noto per la assiduità con la quale frequentava tutti gli eventi salienti della swinging London, meritandosi, la coppia, un appellativo che non riporto per il rispetto che è comunque dovuto a due scialaquatori professionisti di denaro.
Northern Rock verrà anche ricordata per la triste vicenda che riguarda la costituzione di una fondazione formalmente di proprietà di enti assistenziali, fondazione realizzata, secondo le indagini preliminari di ben tre commissioni di indagine al solo scopo di frodare il severo fisco britannico, anche perché le associazioni di beneficenza non hanno visto un solo penny dalla fondazione che le vedeva come beneficiarie.
La triste ed alquanto scontata conclusione della incresciosa vicenda dell’istituto di Newcastle, tenuto a galla dal sicuro affondamento legato alla più grave crisi di liquidità mai verificatasi dal secondo dopoguerra dalla ciambella di salvataggio da 25 miliardi di sterline gettatale, dopo qualche fatale esitazione, dall’ineffabile Governatore della Bank of England, tale King, recentemente confermato nell’incarico dall’altrettanto ineffabile premier, Gordon Brown, è stata l’inevitabile epilogo di una storia nata male e finita peggio, nonostante una serie di tentativi di salvataggio che, non del tutto a caso, hanno visto una piccola folla di improbabili acquirenti, nessuno con le caratteristiche e lo standing necessari per acquisire l’importante banca britannica.
Si trattava infatti di hedge fund, private equity e di quello che un tempo era un brillante giovanotto e che, per primo, cercò, riuscendovi, di infrangere la barriera all’ingresso posta di fronte al settore delle aerolinee, quasi sempre compagnie di bandiera, alcune anche molto blasonate, e che, senza volerlo, aprì la strada alle compagnie low cost, quali Ryannair, Vueling, Transavia e via discorrendo, per finire con il disperato tentativo di un manager di Northern Rock che ha tentato, un po’ in extremis, di mettere in piedi un classico management buyout alla amatriciana.
Passando dal faceto al serio, credo proprio che sia giunto il momento di interrogarsi sui motivi per i quali nessuno dei tentativi di salvataggio delle ormai non poche banche entrate in difficoltà sia giunto realmente in porto, anche perché continuano ancora oggi in Germania le liti su chi debba accollarsi le perdite dei due piccoli e medi istituti entrati in crisi ad agosto, mentre è andata di fatto fallita in Gran Bretagna la lunghissima asta su Northern Rock e, per quanto riguarda quel vero e proprio disastro di immagine e di reputazione rappresentato dalla vicenda di Socgen, siamo ancora a carissimo amico.
Si dirà che al di là dell’Atlantico le cose stanno un po’ meglio, ed in effetti Countrywide è promessa sposa di Bank of America, ci si prepara allo spezzatino delle compagnie monoline, con Buffett che gioca a fare il gatto con il topo, innumerevoli presidenti e CEO, spesso in cumulo di entrambe le cariche, sono stati cacciati e ricoperti d’oro, mentre già si prevede che le Big Five si ridurranno, nel migliore dei casi, a Big Three e l’ottanta per cento delle entità specializzate nel settore dei mutui sono fallite o in convalescenza nelle corsie previste dall’accomodante legge falllimentare statunitense.
Sulle differenze tra il sistema statunitense e quello vigente in Europa, Gran Bretagna compresa, credo di avere già detto abbastanza nelle precedenti puntate, ma credo che sia utile che qualcuno fornisca qualche risposta all’ormai assilante richiesta di verità che viene, ad ogni pié sospinto, avanzata dai ministri dell’Economia e dai Governatori delle principali banche centrali dei paesi maggiormente industrializzati, Paulson, Trichet e Draghi, solo per citare i più assidui tra di loro.
Il problema vero, però, è rappresentato dal fatto che difficilmente le banche, in particolare quelle basate in Europa, potranno rispondere alla assillante richiesta dei loro regolatori, in quanto, forse, si tratta di una verità di dimensioni difficilmente immaginabili, anche perché ha a che fare con un fenomeno, quale quello, per dirla con un eufemismo, della cartolarizzazione spinta di tutto quello che era cartolarizzabile, un qualcosa che, secondo stime recenti, ha dimensioni valutabili in qualcosa come 25 mila miliardi di dollari, un problema del quale sono tutte da verificare le fette di pertinenza a livello di singolo paese o di singola banca o compagnia di assicurazioni.
Pur essendo estranea alle mie intenzioni la voglia di girare il coltello nella piaga, torno a porre, sia pure per l’ennesima volta, la mia forse un po’ ingenua domanda: come mai nessuna banca del mondo si è fatta avanti per acquisire, a prezzi di assoluto saldo, l’ottava banca del regno e nessuno, almeno al momento, sembra interessato a fare un solo boccone di Socgen, un tempo vista come una ghiotta preda da tante banche europee di rango?