sabato 12 aprile 2008

Draghi dà i 100 giorni alle banche globali


Prima di affrontare i banchieri globali, i ministri economici ed i governatori delle banche centrali dei paesi del G7 hanno vissuto forse il più lungo ed intenso dibattito, rigorosamente a porte ermeticamente chiuse, della loro carriera di variabile durata e fortuna, in quanto c’era poco da perdersi in convenevoli dopo le disastrose previsioni appena sfornate dal Fondo Monetario Internazionale sulle perdite derivanti dalla crisi finanziaria in corso (dai 100 miliardi di dollari di agosto ai 200 miliardi comunicati ad ottobre, per giungere ai 945 miliardi dell’ultimo outlook) e le ben 65 raccomandazioni contenute nel rapporto finale del Financial Stability Forum coordinato dall’italiano Mario Draghi.

Credo che nessuno, ma proprio nessuno, sia in grado di prevedere il grado di efficacia ed i risultati che verranno dalla ferma strigliata alle banche di ogni ordine e specie, dalla forte autocritica rivolta a sé stessi come regolatori e vigilanti per decenni un po’ distratti, dal fermo warning, forse l’ultimo prima di azioni più decise, rivolto alle agenzie di rating, con particolare riferimento alle sinora troppo generose valutazioni attribuite ai titoli della finanza strutturata, dalla francamente tardiva individuazione di un momento di coordinamento ed azione nel Comitato di Basilea sulla supervisione delle banche, per finire con l’ultimatum rivolto alle banche di investimento ed alle banche globali in generale affinché dicano la verità, tutta la verità sul loro effettivo stato di salute e lo facciano entro il pernentori termine di 100 giorni.

Come ho avuto modo di ricordare ieri, il mastino Joseph Ackermann, potente ed alquanto temuto amministratore delegato della Deutsche Bank, un uomo noto anche per aver affondato il giocattolo di Henry Paulson, quel MLEC che avrebbe dovuto raccogliere una parte dei cocci rotti dall’iperattività delle investment banks e delle CIB, si è fatto portavoce non si sa quanto richiesto dei suoi colleghi, dichiarando di non gradire affatto il menù della cena che si è poi tenuta regolarmente ieri, una cena che ha visto come padroni di casa Paulson e Bernspan e alla quale hanno partecipato, oltre ai ministri e governatori del G7, i maggiori banchieri degli Stati Uniti, dell’Europa (area euro e Gran Bretagna), del Giappone e dell’extracomunitaria Confederazione elvetica.

Dopo otto mesi dal clamoroso e totale blocco della liquidità interbancaria a livello pressoché globale, dopo le incertezze ed i veri e propri errori delle banche centrali e dei governi nel comprendere, affrontare e gestire la tempesta perfetta, dopo il mare magnum di bugie ed imprecisioni provenienti da esperti, giornalisti più o meno embedded, dopo una serie ininterrotta di fine settimana andati all’aria, dopo che la crisi si è estesa dalle banche alle compagnie di assicurazione, per toccare poi ed in modo massiccio gli investitori istituzionali (che continuano pervicacemente a tacere), mi aspettavo francamente di meglio di questo pannicello caldo che fa l’eco alle vane dichiarazioni diffuse dai maggiori protagonisti del disastro, spesso con l’unico risultato di vedere aumentare l’altezza delle incessanti onde della tempesta perfetta.

Francamente, fa mestamente sorridere la moral suasion, un altro po’ tornavamo all’alzata del sopracciglio, rivolta alle agenzie di rating, giustamente viste come responsabili in larga misura del disastro, mediante quella scandalosa, ed in pieno conflitto di interessi, attività consulenziale ampiamente esercitata nei confronti degli altrettanto scandalosi emittenti di titoli della finanza strutturata, un’attività che ha consentito una moltiplicazione dei rating massimi ad un livello che oscura persino il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci avvenuta in tempi non sospetti e da parte di uno che si è distinto per aver cacciato i mercanti dal Tempio.

Cosa dire poi delle giaculatorie sui sistemi di controllo interni alle banche e della enfatizzazione degli stress test, quando pochi giorni orsono, il numero uno della Securities and Exchange Commission ha candidamente ammesso davanti agli esterrefatti senatori della potente Commissione bancaria che non hanno a disposizione un modello in grado di prevedere quello che è bellamente accaduto nel caso dell’orso di Stearns, in quanto era per loro impossibile proprio quello che si è verificato esattamente nel 1907 e nel 1929, con le conseguenze che tutti conosciamo.

Credo proprio che negli ipersofisticati e ultratecnologici, e costosissimi, corsi per conseguire un MBA o un PHD in terra statunitense, sarebbe proprio il caso di insegnare anche la Storia che non è solo maestra di vita, ma che consente, a volte, di evitare di andare sorridendo proprio in faccia al muro, o meglio di assistere impotenti al disastro dovuto alla moltiplicazione all’infinito di strumenti rappresentativi del debito sempre più complessi e sempre più sofisticati costruiti grazie alle fervide menti degli apprendisti stregoni impegnati nelle fabbriche prodotto delle investment banks, delle CIB delle banche più o meno globali e, ormai, anche delle compagnie di assicurazione dalle dimensioni altrettanto globali.

Che dire poi del quasi ultimatum alla Cina perché rivaluti realmente la sua valuta e del discorso complessivo sullo stato del mercato dei cambi che vanno tranquillamente in direzione opposta a quella desiderata dai banchieri centrali e dagli altrettanto imbelli ministri dell’economia dei paesi maggiormente industrializzati? Ma, in base allo stato disastroso dei fondamentali statunitensi espresso dai flussi e dagli stocks degli squilibri macroscopici dei conti con l’estero e dalla gigantesca posizione debitoria netta degli USA, dove altro dovrebbero andare?

Paulson, Bernspan, Draghi e compagnia cantante, perosne per altro mi dicono preparatissime e squisite prese una per una, devono solo ringraziare che i paesi esportatori e detentori di montagne di dollari e di Treasury Bonds sanno benissimo che non possono, tranne operazioni di piccolo cabotaggio in corso da anni, libersene, pena la liquefazione del loro valore espresso in valute come l’euro o lo yen che vivrebbero un balzo in avanti paragonabile a quello che si verificò tra i due shocks petroliferi nel decivo incontro tra gli allora tre paesi maggiormente industrializzati nel famoso vertice che si svolse al Plaza di New York.

Le cronache riportano che i convenuti al meeting a porte chiuse che ha preceduto l’ultima cena avrebbero espresso la loro approvazione dell’operato recente di Bernspan, peccato che, anche alle luce dell’ultima conferenza stampa di Trichet a conclusione dell’ennesimo vertice che ha prodotto l’altrettanto ennesimo nulla di fatto in materia di tassi, la posizione e l’operato della BCE vadano in direzione diametralmente opposta da quella messa in campo dalla Fed o dalla Bank of England, mentre il capo della Bank of Japan è al suo primo giorno di scuola.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL del 19 c.m. è disponibile nella sezione video (alla voce videoinformazione) del sito Free Lance International Press www.flipnews.org