sabato 26 aprile 2008

Correggerà Mario Draghi l'anomalia senese?


Non ho avuto modo di sentire un legale prima di proporre ai lettori una ricostruzione, basata peraltro esclusivamente su un ragionamento logico ed alcune notizie provenienti dalla cronaca economica e finanziaria, ma credo proprio che, pur trattando di società quotate, sia ancora legittimo uno sforzo di logica e di immaginazione in merito alle prospettive del processo di ristrutturazione e concentrazione in corso da quasi quindici anni nel settore creditizio italiano, un processo entrato da qualche tempo nella sua terza e non conclusiva fase.

Come è a tutti noto, esistono in questo Paese due grandi anomalie nel settore del credito, la prima riguarda il settore delle banche popolari, con particolare riferimento all’alquanto anomala governance della Banca Popolare di Milano, dominata da una componente dei soci, i dipendenti più o meno associati a sigle sindacali, e, come si usa dire in gergo giudiziario, fortemente attenzionata dal giovane ed esperto Governatore della Banca d’Italia che ha disposto un’apposita ispezione sulla banca di piazzeta Meda, peraltro raddoppiata nell’organico proprio mentre un caro amico di Draghi, Davide Croff, in movimento apparentemente coincidente con l’attuale presidente Mazzotta, supportato a sua volta da tre delle sigle sindacali presenti, e con il trentaseienne Davide Serra, numero uno dell’ormai famosa Algebris, che, ad onta della giovane età, è, a sua volta, molto amico dei sessantaduenni Draghi e Croff.

Di ben più complessa soluzione, si presenta, tuttavia, la seconda anomalia che viene a coincidere con il dominio assoluto che la Fondazione Monte dei Paschi di Siena mantiene, con il 58,5 per cento delle azioni (di cui il 10 per cento sterilizzate per decisione autonoma dell’ente), sull’omonimo gruppo, che pochi mesi orsono ha conquistato a carissimo prezzo la Banca Antonveneta, orfana, peraltro, della partecipata Interbanca la cui vendita frutterà un altro miliardo di euro tondo a quegli abili speculatori del Banco Santander, un acquisto che non risolve, tuttavia, l’ulteriore anomalia di una grande banca che continua a non avere un respiro nazionale, pur disponendo di insediamenti regionali caratterizzati da un capillare radicamento.

L’attaccamento veramente forsennato della Fondazione senese alle cose bancarie ha resistito sinora a tutti i tentativi dei governi e degli inquilini pro tempore dell’istituto di Via Nazionale volti a riportare, anche via disposizioni di legge, la quota di proprietà del gruppo bancaria a dimensioni pari ad almeno la metà di quelle attuali, ma le sponde politiche di cui dispone Rocca Salimbeni sono sempre riuscite a vanificare ogni sforzo volto a ricondurre a più miti consigli gli alquanto rissosi contradaioli della ricca ma piccola città toscana.

Nelle more dell’autorizzazione all’acquisto di Antonveneta, pervenuta poi in zona Cesarini ma mentre si attende ancora la ben più importante autorizzazione alla partecipazione pro quota della Fondazione all’aumento di capitale previsto, le fervide menti della ristrutturanda sede centrale della Banca d’Italia non hanno certo potuto sottrarsi agli input provenienti dal piano nobile dell’istituto e mirati ad ottenere l’elaborazione di scenari volti a ridimensionare l’anomalia, offrendo in cambio almeno una proposta che potesse allettare chi aveva, in tempi passati, rifiutato sdegnosamente qualsiasi ipotesi di accasamento a livello sia nazionale che internazionale.

Ma, d’intesa con una parte rilevante del mondo delle cooperative facenti capo alla Lega, il giovane avvocato Mussari, di origini calabresi ma accasato felicemente ai piani nobili della società senese, ha avuto l’ardire di mettere dichiaratamente i bastoni tra le ruote del progetto, che a quel momento appariva vincente, di Consorte, Gnutti, Fiorani e dei furbetti del quartierino, con particolare riferimento alla tentata e temporaneamente riuscita scalata da parte di Unipol della Banca Nazionale del Lavoro, una banca di respiro nazionale più volte offerta da Antonio Fazio, e su un piatto di argento, proprio allo stesso Monte dei Paschi.

Come spesso accade, le occasioni nella vita si presentano due, forse anche tre, volte, ed ecco che, complice anche una manifesta disaffezione del gruppo straniero che aveva provveduto a sistemare in extremis la frittata fatta da Consorte e soci ed aveva acquistato, senza la dovuta e forse opportuna due diligence, la banca romana con sede legale in Via Veneto, proprio a due passi dalla sede dell’ambasciata americana, al lestissimo Draghi si è presentata una possibile soluzione che, però, passava attraverso un certo numero di passaggi dall’esito tutt’altro che certo e che richiedevano, quindi, il dipiegarsi di tutta l’abilità diplomatica e di banchiere d’affari di cui il nostro è dotato al di fuori di ogni ragionevole dubbio, come ha dimostrato nella sua brillante performance di privatizzatore di larga parte dell’industria e della finanza pubbliche italiane e, poi, nella sua breve ma intensa esperienza al vertice europeo di Goldman Sachs, ma con presenza anche nel comitato esecutivo della casa madre (vedi, al proposito, la puntata di ieri).

Pur rammentando che si tratta solo di una ricostruzione logica e deduttiva, credo proprio che la soluzione individuata per dare vita al terzo polo della finanza italiana, distante ma non troppo dai primi due gruppi bancari del nostro Paese, richiedesse un necessario abboccamento con il suo omologo francese, quel Noyer molto noto in questi giorni per una gaffe che portato l’euro di un balzo oltre la soglia degli 1,60 dollari, incontro che è avvenuto un martedì di qualche settimana fa e che ha preceduto di soli tre giorni la secca e molto tardiva smentita proveniente in contemporanea dai vertici di BNP Paribas da Parigi e di quelli della BNL da Roma, una smentita che seguiva di quasi un mese il primo di una lunga serie di articoli molto dettagliati sulla intenzione nutrita dai francesi di operare un disimpegno parziale o totale dalla recente e costosa conquista effettuata da meno di due anni nel nostro paese.

Credo proprio che non sapremo mai cosa si sono detti Draghi e Noyer, ammesso che fossero da soli, nelle due ore di colloquio, almeno così narrano le cronache, che hanno avuto nello studio del governatore francese, ma sta di certo che, a partire da quel momento, tutto è cambiato ed era possibile passare alla seconda e molto più delicata fase del piano, quella che prevedeva un sondaggio dell’interesse senese a far parte di una combinazione transnazionale che avrebbe permesso al Monte dei Paschi di diventare il pivot delle attività bancarie in Italia, incardinate sul respiro nazionale della presenza BNL, mentre il socio straniero avrebbe offerto una prospettiva internazionale, nonché, con ogni probabilità, avrebbe offerto la propria expertise nell’ambito delle attività di Corporate & Investment Banking, il tutto in cambio di una notevole diluizione della quota della Fondazione nel gruppo risultante, diluizione prealtro garantita da un ferreo patto di sindacato.

L’ultimo tassello di questa ricostruzione, che, lo ripeto è solo di carattere logico e deduttivo, passerebbe per l’acquisizione, sempre da parte senese, di quella Unipol dalla quale il Monte dei Paschi si è da poco completamente distaccato, favorendo un’allocazione del gruppo bancario assicurativo nell’ambito di un grande gruppo creditizio transnazionale che potrebbe essere anche ben visto da quel comitato strategico di nove saggi che è il vero ispiratore delle scelte della Lega delle Cooperative, consentendo al contempo di voltare definitivamente pagina rispetto alle recenti disavventure che tanto sono costate al movimento sul piano reputazionale e non solo su quello.

Come si dice nei titoli di coda dei film, ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito Free Lance International Press http://www.flipnews.org/