giovedì 10 aprile 2008

L'ultima cena dei banchieri globali

Le 65 raccomandazioni contenute nel rapporto finale del Financial Stability Forum ai leaders dei paesi membri del G7 saranno certamente il piatto forte della cena che si svolgerà venerdì a Washington, a spese del ministro del Tesoro statunitense, Henry Paulson, che ha deciso di invitare, oltre ai partecipanti di diritto al vertice, anche i rappresentanti di una dozzina di banche globali non meglio precisate dal suo vice, David McCormick, ma che, secondo voci accreditate, dovrebbero includere Bank of America, Citigroup, Deutsche Bank, J.P. Morgan-Chase, Lehman Brothers e la giapponese Mizuho Corporation Bank.

Vorrei evitare le facili ironie, tipo quella di evitare di invitarne tredici o paralleli impropri con l’ultima cena, ma è certo che si tratterà, per molti degli astanti, di uno degli eventi più impegnative della loro, almeno sinora, soddisfacente e ricca di impegni vita, perché, al di là delle rassicurazioni del fidato McCormick, un vero sherpa degli sherpa, sui possibili amendments dell’insolitamente severo testo redatto sotto la responsabilità di Mario Draghi, presidente di turno del FSF, non vi è dubbio che i banchieri globali giungono a questo appuntamento dopo i 200 giorni più impegnativi mai da loro vissuti, un periodo che non ha visto realmente un week end libero e mandato all’aria le feste di natale e di Pasqua.

Pur non circolando anticipazioni attendibili del testo più atteso dai vertici delle Investment Banks e dalle CIB delle banche globali, qualche frase sfuggita, rigorosamente off record, all’ottimo McCormick induce a ritenere che non saranno certo assenti precise indicazioni sulla necessita di giungere a significativi miglioramenti nel campo del risk management, della trasparenza e della contabilità, nonché una riforma, si spera alquanto radicale, delle agenzie di rating e le modalità volte ad assicurare una maggiore e più stringente cooperazione tra le banche centrali e gli organismi deputati a vigilare sul corretto e trasparente andamento dei mercati finanziari locali e globali.

Lasciando all’immaginazione del lettore il completamento della lista delle banche globali che verranno ammesse a cena, mi limito ad osservare che sarebbe quanto meno originale che, alle quattro americane, alla tedesca ed alla giapponese, non venissero aggiunte una rappresentante del mondo bancario francese, di quello britannico, di quello spagnolo e di quello elvetico, mentre non ci giurerei sulla presenza di almeno un banchiere italiano, anche perché, in caso contrario, sarebbe assente una fetta considerevole del mercato finanziario globale, che vede attivissime le realtà francesi e britanniche, un po’ meno quelle spagnole, molto meno, e stavolta per fortuna, quelle italiane.

Non mi aspettavo un diluvio di smentite da parte dei maggiori esponenti dei potentissimi fondi pensione e dei fondi di investimento di area anglosassone, né, in verità, di quelli basati ed operanti altrove, di fronte alle disastrose stime che, proprio alla vigilia di un così importante vertice del G7, sono contenute nell’aggiornamento del Global Financial Stability Report del Fondo Monetario Internazionale, un testo che non contiene solo un drammatico aggiornamento delle stime sulle perdite finali della tempesta perfetta, ma alza il velo sul pesantissimo, almeno secondo gli estensori, coinvolgimento di questa tipologia di investitori istituzionali, cui attribuisce perdite finali per 665 miliardi di dollari a fronte dei 280 miliardi di dollari appena, è proprio il caso di dirlo, che rappresenterebbero, alla fine della fiera, il salasso per le casse delle Investment Banks, delle banche globali e non, degli intermediari finanziari di ogni ordine e rango, tutti soggetti che, assieme alle letali e screditatissime agenzie di rating, portano certamente le maggiori responsabilità del disastro in corso.
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D’altro canto, non avendo emesso un fiato negli oltre otto mesi trascorsi dal più clamoroso blocco totale del mercato della liquidità mai incorso dal secondo dopoguerra e, forse, da quando esiste il mercato interbancario, non si poteva proprio pretendere che gli alquanto afoni e molto anonimi gestori del destino previdenziale di centinaia di milioni di lavoratrici e lavoratori, gestori che fanno investimenti da miliardi di dollari senza battere, praticamente, ciglio, per non parlare di coloro che gestiscono mostruosi fondi di investimento ed investono, spesso con molta leggerezza, i soldi loro affidati da quanti non possono proprio permettersi una gestione individuale, in quanto le loro sostanza non sono giudicate adeguate ad essere ammessi alle cure di un private bunker, né possono sperare di essere ammessi nei club alquanto esclusivi denominati private equity, non si può proprio pretendere che parlino ora che hanno certamente staccato tutti i telefoni non senza avere avvertito l’efficiente e solerte segretaria di informare i petulanti seccatori che lui o lei è perennemente impegnato in importantissime ed inderogabili riunioni.

Così va il mondo, anche se credo che, da almeno otto mesi, questi stessi top manager sono impegnati in intense discussioni con stuoli di agguerritissimi legali, quelli famosi per far scattare la clessidra che misura i loro compensi milionari con i quali stanno pianificando le molteplici azioni legali e risarcitorie da muovere nei confronti delle imperdonabili ed avide agenzie di rating, delle banche di investimento e delle banche globali, ree, almeno ai loro occhi, di averli bellamente solati, anche se sanno benissimo che, alla fine dei giochi e una volta definitivamente fallite le compagnie di assicurazione monoline che li avevano garantiti, non resteranno, ai soggetti aggrediti dai loro implacabili mastini in toga, neanche gli occhi per piangere, anche perché il colpo di grazia lo riceveranno dai loro altrettanto avidi ed implacabili stuoli di legali schierati a difesa.

Non so se corrisponda a verità la diceria che circola all’ombra del wall e che sostiene che sul comodino dei maggiori responsabili del disastro e della recessione in corso è assai frequente la presenza del bellissimo libro scritto tre secoli prima di cristo da un gruppo di generali cinesi, ma che viene attribuito al loro leader Sun Tsu, intitolato “L’arte della guerra”, anche se è certo che è stato, e forse ancora è, testo obbligatorio in numerose scuole di management e in molti MBA (Master in Business and Administration), ma credo che non siano pochi coloro che stanno cercando di far assumere a sè stessi ed ai propri collaboratori la forma dell’acqua, forse unica e residua possibilità di quella che, ogni giorno che passa, appare sempre più come una guerra irrimediabilmente persa.

Con buona pace dell’ottima Elsa Fornero, la docente universitaria torinese che, secondo molti, sarebbe la madre di tutte le numerose riforme previdenziali intervenute nel nostro Paese, dalla riforma Dini a quella operata dal duo Damiano- Padoa Schioppa, l’arretratezza tutta italiana del sistema finanziario e l’atavica avversione al rischio dei nostri saggi conterranei ci sta evitando di dovere spiegare ad allibite/i lavoratrici e lavoratori che la loro liquidazione e, almeno in parte, la loro pensione proprio non ci sono più e che, se proprio vogliono prendersela con qualcuno, si rivolgessero agli gnomi svizzeri, agli avidi speculatori di Wall Street, ai poco trasparenti banchieri giapponesi e chi più ne ha allegramente ne metta.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL del 19 c.m. è disponibile nella sezione video (alla voce videoinformazione) del sito Free Lance International Press http://www.flipnews.org/