giovedì 17 aprile 2008

Se non ci fosse Algebris, bisognerebbe proprio inventarla!


Ho esitato a lungo prima di affrontare l’intricatissimo, seppur fondamentale, nodo rappresentato dall’evoluzione dei modelli di governance nei principali attori del mercato finanziario italiano, con riferimento, in particolar modo a quanto sta accadendo di recente nelle banche e nelle compagnie di assicurazione di ogni ordine e specie, ma ritengo che, anche alla luce degli ultimi avvenimenti, sia giunto ormai il momento di rompere gli indugi.

Fanno riflettere, infatti, le recenti vicende che riguardano il rinnovo del organi collegiali della Telecom Italia e di quelli delle Assicurazioni Generali, il primo già avvenuto nella tutt’altro che tranquilla e pacifica assemblea svoltasi nei giorni scorsi sotto la presidenza del blasonatissimo Gabriele Galateri di Genola, mentre per il secondo è necessario ancora attendere l’assolutamente non prevedibile esito assembleare, in vista del quale si fa sempre più aspro lo scontro legale tra Daniele Serra, il determinato leader del fondo Algebris e l’ampia famiglia Benetton, naturale alleata di Mediobanca.

Dopo tante discussioni e tonnellate di carta sulla democrazia economica e sulla tutela dei diritti delle minoranze azionarie, che poi spesso, sommate assieme, sono larghe, se non larghissime, maggioranze, questi episodi non rappresentano che l’ultimo anello di una lunga catena di violazioni sistematiche del principio che vorrebbe garantire pari dignità agli investitori, ovviamente tenendo conto dei rispettivi pesi, che, a loro volta, dovrebbero essere correttamente correlati alla diversa entità dell’investimento effettuato e non essere il frutto di patti di sindacato, più o meno palesi, o di intese riservate e spesso segrete che avviluppano le SpA di ogni livello in una sorta di ragnatela spesso del tutto inestricabile, legami raramente noti alle Autorità di vigilanza.

L’una volta tanto netta presa di posizione della Consob guidata da Lamberto Cardia, sulla vicenda che vede opposte Algebris ed i Benetton ha il pregio di dire, finalmente, una parola chiara sulla posizione di Mediobanca quale socio di riferimento delle Generali, incontrastata leader delle polizze in Italia e gigante del settore anche a livello mondiale, circostanza che rende automaticamente non di minoranza liste, quali quella presentata dai Benetton, facenti capo a membri del patto di sindacato imperante a Piazzetta Cuccia.

Sprezzanti come spesso loro accade nei confronti dei pronunciamenti delle Authority che hanno il compito di vigilare sui tanti settori di interesse di questa famiglia che, in meno di una generazione, è passata dai telai spesso collocati al domicilio delle lavoratrici e dei lavoratori alle concessioni autostradali, ai punti di ristori altrettanto spesso operanti in regime di monopolio, alla finanza e chi più ne ha ne metta, i Benetton hanno rinunciato a fare ricorso ma si sono scordati di ritirare la lista, innescando così l’azione giudiziaria mossa dall’intraprendente finanziere italiano operante in prevalenza sulla piazza di Londra, un’azione che, auspicabilmente, dovrebbe produrre i suoi effetti in tempo per la prevista e tanto attesa assemblea della Compagnia delle Compagnie di assicurazione, almeno di quelle operanti nel nostro Paese.

Pur evitando di addentrarmi nel ginepraio rappresentato dal duale all’amatriciana, un sistema più basato sulla necessità di dare i resti ai tanti protagonisti delle fusioni decise spesso nel corso di un fine settimana, con pletorici consigli dei sorveglianza che dei modelli tedeschi e nord europei conservano solo il nome ma assolutamente non il ruolo di partecipazione congiunta di azienda e lavoratori, non posso che convenire su quanto sta dicendo, e per fortuna anche facendo, il giovane Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in materia di conflitti di interesse e di finanziamenti alle parti correlate, un’azione doverosa che solo i maligni e quanti sono in aperta malafede possono banalizzare come una sorta di Lodo Geronzi, con riferimento alle non celate aspirazioni dell’anziano banchiere, peraltro da lungo tempo amareggiato e preoccupato per ben altre vicende che per la poltrona di vice delle Generali.

Il problema dei problemi, tuttavia, è rappresentato dalla distanza, a volte abissale, esistente tra ciò che è previsto da leggi, regolamenti, codici interni e quanto altro previsto e spesso sancito nei bilanci sociali o nei codici di principi vigenti all’interno delle singole società per azioni e lo stato effettivo delle cose che vede, ad esempio, i consiglieri indipendenti esserlo spesso più di nome che di fatto, nonché caratterizzati da un cumulo di incarichi che rende arduo l’efficiente ed efficace svolgimento del loro ruolo, per non parlare delle effettive possibilità per le liste di minoranza di avere un’effettiva rappresentanza nel CdA o nel collegio sindacale, possibilità resa ancora più difficile pur negli alquanto pletorici Consigli di Sorveglianza.

E’ per questo che lo strumento principale per garantire una maggiore democrazia economica consiste nell’operare un riavvicinamento trai principi stabiliti dai cosiddetti “Testi” (leggi, regolamenti e codici interni di ogni ordine e specie) e la realtà fattuale, spesso figlia dell’ostinato tentativo dei gruppi che detengono la maggioranza negli organi collegiali di impedire in vario modo l’ingresso dei new comers, che siano rappresentati dalle associazioni dei piccoli investitori, da quelle degli azionisti dipendenti, dai fondi investimento di ogni specie e natura, da investitori proprietari di aziende operanti nello stesso od in altri settori..

L’allargamento dei diritti dei soci di minoranza e le garanzie di maggiore indipendenza dei consiglieri attualmente spesso solo denominati come tali passa proprio attraverso questa opera di ravvicinamento tra i sacri princìpi e le best practices prevalenti a livello delle altre realtà nazionali che, come noi, partecipano all’alquanto malmesso mercato finanziario globale, mentre oggi prevalgono nel Belpaese quelle che è quasi un eufemismo definire “worst practices” (peggiori pratiche), che sono, purtroppo, tuttora largamente prevalenti da noi e non solo in ambito societario.

Portandomi avanti nel lavoro, penso sia utile riflettere sull’altrettanta distanza esistente tra i Testi e la realtà effettiva per questioni di non poco momento quali il rispetto delle norme della MIFID e, più in generale, le attività generalmente denominate come Compliance che tanto hanno a che fare con quel rischio reputazionale, termine che richiese, quando venne pronunciato per la prima volta da Draghi, per molti dei banchieri presenti il ricorso frenetico al dizionario, tanto non era, e non è, al centro delle loro preoccupazioni, in quanto ad essere oggetto del pubblico ludibrio sono adusi da lunga pezza.

Credo proprio che molta maggiore preoccupazione deve caratterizzare le lavoratrici ed i lavoratori operanti nel mercato finanziario e chi li rappresenta, in quanto, alla fine della fiera, caratteristica costante delle leggi, dei regolamenti di ogni ordine e specie è la riaffermazione costante dell’ovvio principio che la responsabilità penale, a volte anche pesante, è personale e che se, quindi, le aziende pensano di mettersi a posto con le norme emanando carte di integrità o dei valori, nonché circolari spesso solo apparentemente rispettose della MIFID o di quanto altro, credo proprio che la risposta dovrà essere netta e chiara, così come ritengo che la proposta sulla moratoria delle stock options e su un ripensamento coraggioso e radicale sui sistemi incentivanti sia ormai d’obbligo, come peraltro il mio sindacato, la UILCA, propone in solitudine da tempo e, soprattutto, da tempi assolutamente non sospetti.
*
Apprendo solo ora che Davide Serra ha vinto, in quanto i Benetton hanno indotto i loro candidati al collegio sindacale a ritirarsi e che, non pago dei successi che sta ottenendo nel duro confronto con il gotha del capitalismo, spesso ancora familiare, italiano, il giovane Serra, di cui non è un mistero l'amicizia con i più anziani Mario Draghi e Davide Croff, ha deciso di valorizzare un'altra, consistente, chip, da tempo posta sulla Banca Popolare di Milano, attualmente scossa da un durissimo scontro che avviene, proprio, sulla governance e che vede un ampio fronte, che fa perno sull'attuale presidente Roberto Mazzotta, uno scontro che potrebbe portare alla fine di un anomalia che data ormai da lungo tempo e che dimostra, ogni giorno che passa, il suo carattere antistorico e paralizzante per lo stesso sviluppo della storica banca.