L’ipotetica ricostruzione delle varie fasi che potrebbero portare alla costruzione del terzo polo bancario assicurativo italiano proposta nella puntata di ieri voleva essere solo una prima risposta alle tante sollecitazioni che ricevo dai miei lettori che seguono il Diario della crisi finanziaria sul sito della UILCA, che, oltre ad essere quello sul quale è nata questa iniziativa editoriale, è anche l’unico dal quale mi pervengono commenti che ho inibito sul blog per l’assoluta impossibilità che ho, almeno in questa fase, di fornire le risposte ai tanti quesiti che mi sono pervenuti prima che prendessi la decisioni di interrompere questo, peraltro importantissimo e meritevole della massima attenzione, flusso di ritorno rispetto ai ragionamenti che vado proponendo quotidianamente da poco meno di nove mesi.
Più di uno di questi lettori mi rimprovera, infatti, l’eccessiva attenzione a quanto sta avvenendo nel cuore del mercato finanziario globale, un famoso regista americano e autore di una fortunatissima saga avrebbe detto il cuore dell’Impero, e cioè il mercato finanziario statunitense, con, al massimo, qualche fugace puntata sul sempre più importante mercato finanziario europeo, con le sue appendici extracomunitarie (UBS e Credit Suisse) o pervicacemente sfruttanti l’opting out rispetto all’euro strappato all’Unione Europea, quali sono le entità finanziarie britanniche, operanti, peraltro, in un Paese che ha pagato un prezzo altissimo alla tempesta perfetta a causa della assura e del tutto anomala divisione della vigilanza sul mercato creditizio tra due entità, condita dall’insipienza dell’attuale governo di Sua Maestà britannica.
Vorrei rassicurare i lettori che hanno sentito il bisogno di scrivermi e quanti condividono il loro pensiero che non ho mai pensato che il Belpaese sia immune agli effetti derivanti dagli alti marosi della tempesta perfetta, anzi; così come non condivido l’assurda ed antistorica tesi che vedrebbe nella arretratezza del nostro mercato finanziario una sorta di cintura di protezione rispetto a fenomeni quali quelli derivanti dalla finanziarizzazione spinta dell’economia che ci caratterizza, seppure con qualche lag temporale, più o meno come tutti i competitors europei, statunitensi ed asiatici.
Ho non a caso usato l’anzi, in quanto ritengo che l’assenza o la lacunosità delle regole, seppure in un mercato finanziario globale di per sé alquanto deregolamentato, la sempre troppo lunga permanenza in carica di quell’improbabile Governatore che è stato Antonio Fazio, una persona più presa dalle sue rispettabilissime convinzioni religiose che dalla preoccupazione di stimolare un’azione di prevenzione di quanto stava accadendo nel mondo bancario italiano, con particolare riferimento a quei cantieri perennemente aperti che sono stati, e tuttora sono i primi due grandi gruppi creditizi, peraltro ulteriormente cresciuti dopo la fine del suo lunghissimo mandato a seguito di operazioni lampo che la dicono lunga sull’implementazione dei sistemi di controllo sui rischi finanziari e sugli altrettanto importanti rischi reputazionali.
Come ho già avuto modo di ricordare, la terza, e non ultima, fase di concentrazione del processo di ristrutturazione e, soprattutto, di concentrazione in corso nel mercato finanziario italiano è motivata in larga misura dalla reazione al tormentato successo delle due scalate straniere ad Antonveneta ed alla Banca Nazionale del Lavoro, fortemente osteggiate da un Fazio che aveva platealmente smesso i panni di arbitro per indossare la casacca di dodicesimo uomo di una squadra formata da Fiorani, Consorte, Gnutti, Caltagirone (a sua volta contornato da personaggi al limite dell’equivocità e giustamente definiti i furbetti del quartierino), nonché da esponenti di vario livello del mondo della politica che, a mio avviso, avrebbero fatto meglio ad occuparsi di altro.
L’improvviso sussulto di consapevolezza in merito all’evidenza del fatto che i soci stranieri di riferimento presenti in Banca Intesa, nel San Paolo-IMI, in Capitalia (ben due), nonché il giocare in proprio del giovane e brillante Matteo Arpe, sopravvissuto al trappolone ordito dall’anziano e pluri rinviato a giudizio banchiere Cesare Geronzi, attivamente coadiuvato nel tendere la rete da un potentissimo e fino a quel momento imbattuto avvocato d’affari, ha consentito la realizzazione delle due operazioni fulminee che solo i giornalisti embedded non hanno visto per quello che realmente erano: la messa alla porta, e senza troppi riguardi degli importanti soci stranieri sino a quel momento occupanti poco più che degli strapuntini e le inevitabili dimissioni di Arpe (ripeto il consiglio alla lettura della bellissima intervista da lui la rilasciata alla più potente giornalista economica de L’Espresso, dall’eloquente titolo Arpe diem).
Se unite l’approssimazione estrema vissuta dalle singole componenti che hanno dato vita ai due maggiori gruppi bancari italiani nel realizzare le loro rispettive corazzate operanti nel rutilante mondo della finanza, gestite da squadre di manager casalinghi spesso cresciuti in ambiti operativi diversi e posti in un colpo a capo di squadre agguerrite di dealers, traders, apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto di CIB delle più disparate banche estere, manager a cui è stato necessario spiegare quale era il ruolo di un Chief Financial Officer, di un Chief Operating Officer (ove, mi auguro vivamente, previsto), del di per sé complesso ruolo che andavano loro stessi ad assumere di Capo delle molteplicied alquanto complesse attività di Corporate & Investment Banking, ma, e in questo caso davvero soprattutto, della necessaria ed impenetrabile separatezza che doveva dividere l’attività operativa da quella dei controlli di ogni ordine e specie, al pari della totale indipendenza ed autonomia che doveva caratterizzare le funzione di Compliance, ebbene, se prendete in esame tutto questo, avrete un’idea molto pallida del disastro potenziale prossimo venturo.
Tutto questo è ulteriormente aggravato dalla guerra per banche scoppiata a seguito delle difficoltà in cui è incorso il gruppo guidato da Alessandro Profumo a seguito delle iniziative prese da una Consob subissata di denuncie e segnalazioni di numerosi clienti di Unicredit, che sostenevano, a torto o a ragione, che la banca, nel montare (e spesso rimontare più volte) le operazioni loro destinate, li avesse danneggiati, tesi analoga a quella sostenuta da una parte degli enti locali che puntavano il dito su un nutrito numero di banche italiane e straniere che avevano offerto e venduto loro prodotti che avrebbero richiesto che gli enti locali interessati disponessero di personale in grado di valutare le implicazioni presenti e future dei prodotti offerti dagli abili e preparati venditori.
Il dispositivo della Consob di questa estate, oltre a comminare pesanti sanzioni a Profumo e decine di altri manager di vario livello del gruppo, ha anche emesso un dispositivo impietoso e che ha dato la stura alle fortunate trasmissioni che Report ha dedicato all’argomento, è stato acquisito agli atti dal magistrato Francesco Greco, forse il maggiore esperto di reati finanziari della Procura di Milano (e non solo), ha spinto il giovane preparato Governatore della Banca d’Italia a sparare una raffica mirata di ispezioni (quattro, solo una, quella nei confronti della BNL, giunta a compimento e, pare, con una assoluzione condita da un giudizio comparativo che ha allarmato non poco i vertici delle restanti tre), ma ha sortito anche l’effetto di accentuare il solco che separa da tempo i due ex golden boys della finanza italiana, il già citato Profumo e Corrado Passera, due che ormai in comune hanno solo la notevole altezza ed il comune trascorso nell’alquanto decaduta McKinsey.
A differenza di ieri, in questo caso ogni riferimento a fatti o persone è puramente voluto.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito Free Lance International Press http://www.flipnews.org/