giovedì 24 aprile 2008

Il giorno più lungo delle compagnie monoline


Dopo aver affrontato ieri le inquietudine e le vicessitudini del consumatore medio americano, è proprio difficile parlare per gli abitanti di quella grande nazione di risparmiatori, mi vedo costretto a tornare nell’empireo della grande finanza, anche perché sono sospinto verso di esso dai disastrosi dati di una delle due grandi, almeno un tempo, compagnie di assicurazione monoline, quella Ambac che ha già provato l’onta del downgrade da parte della Fitch il 18 gennaio di quest’anno e che è sotto la costante, anche se non gradita, attenzione da parte delle altre due agenzie di rating, Moody’s e Standard & Poor’s, che credo proprio saranno costrette a rompere gli indugi e a degradare sul campo la sciagurata compagnia che disse sì pochissimi anni orsono alle sirene delle Investment Banks e delle CIB delle banche più o meno globali, impegnandosi in compagnia della monoliner numero uno, MBIA, nelle garanzie delle emissioni di quei titoli della finanza strutturata che nessuno più, fatta eccezione per quegli spazzini del mercato rappresentati da Bernspan, Trichet, King e compagnia cantante.

D’altra parte non stupisce proprio nessun la perdita di 1,6 miliardi di dollari registrata da Ambac nel primo trimestre di questo anno bisesto (anno funesto?) che il 2008, un dato che si raffronta ad un primo trimestre del 2006, those were the days, my friend, nel quale la ormai decotta compagnia riusciva a chiudere i conti segnando un utile di 213 milioni di dollari, un risultato più che ragguardevole per un’entità delle sue dimensione e che assicura, insieme a MBIA, emissioni di titoli di ogni specie e natura per oltre mille miliardi di dollari.

Mentre si avverte sempre più vicino il battere delle ali del leone di Omaha, Warren Buffett, che ha assunto ormai da tempo le sembianze dell’avvoltoio e che ha, ovviamente, deciso di aspettare fino al momento in cui le agenzie di rating, leste nell’affondare la lama nel cadavere almeno come sono lente nel diagnosticare i primi sintomi di malattia dei pazienti paganti, decideranno di portare, come hanno già fatto da tempo per le consorelle di minori dimensioni di Ambac e MBIA, d’un colpo solo lo stellare rating al livello dei tanto vituperati junk bonds, sempre che, prese dalla disperazione, non accettino in estremis la proposta non del tutto disinteressata dello squalo miliardario Ross che propone loro di slittare la parte che contiene le garanzie sulla montagna di titoli della finanza strutturata, garanzie che, purtroppo, valgono ormai meno della carta sulla quale le stesse sono stampate.

Se qualcuno continua a stupirsi del fatto che mentre tutto ciò sta accadendo, ben testimoniato da una perdita dell’azione di Ambac che prima di iniziare a scrivere avevo letto essere del 38 per cento circa inferiore a quella del giorno prima ed in valori assoluti ormai al di sotto dei 4 dollari (ne valeva 96 meno di un anno fa), i tre principali listini di new York continuano ad ostinarsi a restare in territorio moderatamente positivo, vuol dire proprio che è alla sua prima visita a questo Diario della crisi finanziaria, che penso proprio sia giunto il momento di rititolare nel ben più appropriato Diario della tempesta perfetta.

Gli operatori e gli analisti operanti all’ombra del Wall, d’altro canto, continuano a capare le notizie più confortanti, quali i buoni risultati di una Boeing che sembra non essere influenzata da quel vero e proprio disastro in atto per le compagnie, come è il caso delle due che si sono appena unite per sommare, assieme, una perdita trimestrale di appena 10 miliardi di dollari, letteralmente affondate da un caro greggio che testa con sempre maggiore convinzione la soglia psicologica posta al livello di 120 dollari al barile, in una rincorsa senza fine tra la progressiva liquefazione del dollaro e i rialzi senza fine del Brent o WTI, una rincorsa senza fine che sembra dare maggior credito alle orignali tesi del preidente iraniano che, lo ricordo per chi si fosse sintonizzato solo ora, è diventato il nemico pubblico numero uno degli Stati uniti d’America più per la proposta di creare la prima borsa petrolifera con standard espressi in euro che per quella bagattella delle aspirazioni nutrite nei confronti di un progetto atomico militare che ha, almeno al momento, la stessa credibilità delle provette agitate in pieno Consiglio di Sicurezza dell’ONU dal generalissimo Colin Powell, allo scopo di ottenere l’assenso dei riottosi membri di quel nobile consesso alla guerra decretata da Bush Junior contro Saddam Hussein, consenso che come è a tutti noto non riuscì ad ottenere a dispetto della brillante rappresentazione.

Fa sempre piacere vedere quanto siano ascoltati dai mercati i severi moniti delle banche centrali, in particolare quelli sui tassi interbancari e sulle valute, in quanto i tassi non scendono di un lenticchia, anzi salgono ogni giorno che passa e sono ormai in vista dei massimi di dicembre e, comunque sempre molto al di sopra di quei tassi ufficiali che sembrano ormai rispettati meno dei divieti di sosta, mentre la poco felice uscita del Governatore della Banca di Francia sulla possibilità di rialzare i tassi di riferimento, uscita non solo poco felice ma gravida di rischi vista la poca distanza della sede della banca centrale dalla residenza del bellicosissimo presidente della repubblica francese, che, dopo aver minacciato di passare alle vie di fatto nei confronti del conterraneo presidente della BCE, non ci penserebbe due volte a disporre l’arresto di Noyer, per flagrante stupidità e manifesta incompetenza nel vigilare le tre principali banche francesi che, in un’operazione verità, stanno facendo filtrare la notizia di essere afflitte da perdite complessive legate ai titoli della finanza strutturata per la bella cifra di 28 miliardi di euro, di cui 18 solo con riferimento ala verdissima Credit Agricole.

Così va il mondo e, come sosteneva Matteo Pantaleoni, non c’è proprio modo di scendere, né di difendersi da questo consesso di decision makers a tutti i livelli che ormai da tempo sono d’accordo su una sola cosa che consiste nell’affermazione più sentita in questi mesi: non sappiamo quanto sia grave il problema, così come non sappiamo assolutamente dove siano collocate le montagne di titoli della finanza strutturata, ma, comunque, non vi è assolutamente motivo di preoccuparsi, il che, almeno alla luce delle due affermazioni precedenti sembra mancare alquanto di alcuna forma di senso logico.

In tutto ciò, prosegue, quasi all over the world, la più sanguinosa guerra per banche che si sia mai vista dalla fine del secondo conflitto mondiale, spesso combattuta a suon di dossier volti a danneggiare il nemico, dossier che spesso otengono il solo risultato di compromettere ulteriormente, ove questo sia possibile visto l’infimo livello ormai raggiunto, quel che resta della credibilità di tutti, come sempre accade quando si abbandona il gioco cooperativa per dedicarsi al to beggar my neighbour.

Dimenticavo che, grazie alla gaffe di Noyer e all’andare contro vento delle banche centrali, l’euro sta testando con sempre maggiore convinzione la soglia degli 1,60 dollari, mentre lo yen si prepara a tornare tra non molto al livello di 100 per dollaro.

Ricordo che mentre il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito Free Lance International Press www.flipnews.org