martedì 15 aprile 2008

E' difficile passare dalle parole ai fatti


La perdita assolutamente non prevista nel primo trimestre di Wachovia Bank, una delle maggiori banche commerciali statunitensi, ha avuto l’effetto di tramortire gli operatori e gli analisti, ansiosi di vedere le reazioni del mercato finanziario globale al colpo di reni dei ministri finanziari e dei governatori del G7, che hanno cercato nel più intenso fine settimana di questi ultimi mesi di lanciare un fermo segnale di possibile governo di una crisi finanziaria che, ogni giorno che passa, sembra sempre meno prevedibile nei suoi sviluppi futuri.

D’altra parte, al di là dell’entità stessa della perdita, di poco superiore ai 300 milioni di dollari (ma che va confrontata con il rislutato positivo per 1,2 miliardi nello stesso periodo del 2007), quello che ha lasciato tutti perplessi è stata la richiesta che Wachovia ha fatto al mercato, lanciando un aumento di capitale misto per 7 miliardi di dollari, quasi equamente suddiviso tra l’emissione di 185 milioni di nuove azioni (con il prevedibile effetto di diluizione degli utili, ove mai vi saranno) ed il lancio di un prestito obbligazionario convertibile per oltre 3 miliardi di dollari.

La netta sproporzione tra la l’entità della perdita trimestrale e quella dell’aumento di capitale ha fatto risuonare nelle orecchie dei più il fermo monito lanciato dall’ex banchiere ed attuale ministro del tesoro statunitense, Henry Paulson, che, tra una riunione a porte chiuse del G7 ed una cena superblindata che gli esponenti del prestigioso organismo hanno avuto con il gotha bancario mondiale, ha trovato il tempo di annunciare urbi et orbi che non è più tempo di salvataggi come quello operato in extremis per l’orso di Stearns e che, quindi, i banchieri di investimento, cosi come quelli che gestiscono le banche commerciali, faranno bene a rivolgersi al mercato per ricostituire le riserve di liquidità necessarie per fronteggiare la difficile congiuntura.

La tempestiva mossa dei vertici di Wachovia rappresenta un’efficace dimostrazione del fatto che, come ha sostenuto Dario Draghi dopo aver inferto senza pietà le sue sessantacinque scudisciate ai principali attori del mercato finanziario globale, è ormai ora di passare dalle parole ai fatti, così come l’autorevole banchiere centrale ha fatto sapere che sono già tracorsi due dei cento giorni che ha concesso alle banche per tirare fuori il rospo, confessando dove si trova il malloppo delle perdite che ancora sfuggono ai radar delle autorità di vigilanza ed ai regolatori di ogni ordine e specie.

Come ho avuto modo di ricordare più di una volta, l’attivismo delle agenzie di stampa e dei media in questi mesi non sembra conosce soste ed è ancora una volta l’Associated Press, l’agenzia che sta conducendo un’aspra lotta con il Wall Street Journal per la conquista del ruolo di organo ufficiale della tempesta perfetta, ad informarci che un suo accurato sondaggio rivela che un mutuatario su sette teme fortemente di non essere in grado a breve di onorare le rate mensili del suo debito con le banche o le finanziarie, il che rappresenta una palmare dimostrazione del fallimento dell’ennesimo piano di Paulson, quell’Hope Now che, al pari del MLEC e delle altre invenzioni dell’instancabile ed immaginifico ex banchiere di investimento, sono abortiti prima ancora di vedere la luce.

Il perdente confronto tra Main Street e Wall Street si arricchisce così di un’altra ed alquanto desolante puntata, con gli inevitabili riflessi che tutto ciò finirà per avere su una campagna elettorale che non sembra proprio di avere bisogno che ulteriore benzina venga ad aggiungersi ad un fuoco già alto di per sé, con la Commissione bancaria del Senato ormai trasformatasi in un tribunale bipartisan dove gli avvocati difensori degli un tempo onnipotenti banchieri sembrano essersi letteralmente dissolti come neve al sole, anche perché nessuno sembra avere la voglia di prendere le parti di una categoria che, ogni giorno che passa, sembra fornire nuove prove di comportamenti al di sotto di ogni sospetto.

Né hanno aiutato le notizie provenienti da quello che, almeno sinora, sembrava un tempio di un modo più tradizionale di gestire gli affari, quella Berkeshire Hataway fondata e controllata dal leone di Omaha, Warren Buffett, che registra le improvvise dimissioni di una società impegnata nel ramo assicurativo, General Re Corp., a seguito dell’incriminazione di quattro suoi predecessori per vicende che ancora non appaiono chiare, un vero e proprio fulmine a ciel sereno che ha fatto scendere il valore dell’azione di 1.300 dollari, anche se va detto che continua a valerne 129.000.

Il disastroso andamento registrato stamattina dagli indici azionari asiatici, accompagnati da un sensibile recupero dello yen e dell’euro nei confronti di un dollaro già non proprio in salute, già lasciavano presagire che l’accoglienza riservata dal mercato alle misure proposte da Draghi e compagni non sarebbe stata proprio esaltante, né le cose si sono messe meglio nelle ore successive in Europa, con particolare riferimento al settore finanziario, né, tanto meno, si può parlare di un’accoglienza festosa da parte degli operatori statunitensi, che sembrano ancora alle prese con l’arduo compito di comprendere bene il senso vero delle prescrizioni contenute in quel rapporto di 90 pagine di cui tutti, o almeno quasi tutti, discutono ancora soltanto per sentito dire.

Scrivendo ai primi di settembre del 2007 in merito alle vere cause delle crisi, ho fornito dei numeri relativi alla montagna di titoli della finanza strutturata che, pur provenendo da fonti ufficiali, mi apparivano enormi e quasi non riuscivo a credere che si fosse accumulato un problema da 25-30 mila miliardi di dollari senza che nessun organismo regolatorio o di vigilanza o di vigilanza avesse fatto nemmeno un fiato, mentre ho appreso solo oggi da un quotidiano finanziario che si aggirano per il mondo credit default swaps per un ammontare nozionale di 45 mila miliardi, oltre tre volte il PNL nominale degli Stati Uniti, trattati su mercati non regolamentati e non soggetti, per definizione, ad alcuna forma di stress test, proprio quelli che Draghi, ed il G7 con lui, ha deciso di prescrivere obbligatoriamente alle banche di ogni ordine e specie.

Sempre oggi, i poveri operatori statunitensi non hanno fatto in tempo a rallegrarsi per le headlines delle agenzie che riportavano di un esile rialzo di delle spese per consumi che, aperti i takes, hanno appreso che, senza il sensibile effetto prezzi sui carburanti, le spese sono rimaste esattamente al palo.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL del 19 c.m. è disponibile nella sezione video (alla voce videoinformazione) del sito Free Lance International Press www.flipnews.org