martedì 29 aprile 2008

Il leone di Omaha ed il gatto delle Generali


Dopo due giorni di rimpatriata nel mercato finanziario italiano ancora alle prese con gli effetti dei vari Big One che hanno caratterizzato l’avvio della terza fase del processo di ristrutturazione del settore bancario assicurativo del Belpaese, non posso assolutamente non fare almeno un cenno a quanto di rilevante è accaduto nell’assemblea degli azionisti delle Assicurazioni Generali, una ricorrenza che, dopo decenni di sonnacchioso vivacchiare tra un’alzata di mano ed un'altra, tanto tutto veniva deciso dal vero padrone della compagnia, quell’Enrico Cuccia che, assunto per la sua intelligenza e per le nozze con una delle figlie del fondatore dell’IRI Beneduce dalla Banca Commerciale Italiana, fu molto saggiamente esiliato da Raffaele Mattioli nella merchant bank del gruppo e denominata, con scarso sforzo di fantasia, Mediobanca.

Come ho fatto di frequente, rinvio alla ricerca dell’introvabile libro del bravo Fabio Tamburini sul banchiere italiano giustamente più famoso, anche se in questo fortemente aiutato dall’aver operato in un panorama popolato da nani e da lottizzati politici, quel Un siciliano a Milano, che fece infuriare Cuccia al punto che dei volumi debitamente stampati se ne persero le tracce (tranne, forse, di quelle custodite nella fornita biblioteca della Banca d’Italia) e lo spinse, contrariamente al suo costume a scrivere una risentita ed alquanto avvelenato lettera all’autore che fu, anche per questo, costretto a cambiare editore e testata, per finire a redigere una scarna ma molto interessente colonna settimanale su Il Sole 24 Ore.

Ebbene, nonostante le paginate di articoli sulla sconfitta del giovane hedge funder Davide Serra, che ha se non altro avuto il merito di costringere un bel mucchio di settantenni ed ottantenni (assistiti da agguerriti legali e non, almeno mi auguro, da solerti infermiere) a restare incollati alle loro sedie per nove ore, fino al colpo di teatro della settima ora sulla presunta assenza di requisiti dell’eletto alla presidenza del collegio sindacale in rappresentanza di Assogestioni quale socio di minoranza in luogo del candidato proposto da Algebris, candidato passato anche grazie al decisivo voto del Fondo Pensioni dei dipendenti della nostra banca centrale, un gesto che molti hanno, non so quanto a ragion veduta, interpretato come una pugnalata alla schiena inferta dal più anziano e più importante tra gli amici del trentaseienne mandato da molti allo scoperto ed all’attacco di una compagnia che intrattiene ottimi affari con molti azionisti importanti di Algebris, come ha perfidamente sottolineato l’apparentemente vincitore dell’aspra contesa, il non più giovane ma molto combattivo Antoine Bernhaim, al momento incontrastato presidente del colosso assicurativo, un uomo che non dimentica e che non ha voluto rendere a Serra neppure l’onore delle armi.

Di una sola cosa sono certo, e vorrei che altrettanto lo fossero i miei pochi lettori, ed è che ne vedremo proprio delle belle sia nel settore bancario che in quello assicurativo operanti o basati nell’italico stivale, due settori, spesso intrecciati tra di loro (cosa che sarà ancora più vera in un futuro prossimo venturo) e che, non a caso, vorrebbero fondere le loro due associazioni di rappresentanza, ABI ed ANIA, anche al fine di creare quella che il presidente tedesco di Unicredit Group ha definito, secondo attendibili ricostruzioni del dibattito svoltosi di recente nel comitato esecutivo dell’ABI, una sorta di lobby delle lobbies, un entità che sarebbe caratterizzata, ove mai vedesse la luce, dalla somma del lack reputazionale esistente in ambedue, un’entità che troverà certo un adeguato posto al direttore generale dell’ABI che ha avuto modo di recente di sostenere che, anche in presenza di una legge sulle condizioni previste per la portabilità dei mutui, va lasciato alle banche il tempo di adattarsi alle prescrizioni della stessa, riuscendo con ciò a lasciare senza parole anche una persona di lunga esperienza quale certamente è il presidente dell’Antitrust, Catricalà.

Confesso che dedicare due puntata e un po’ ai bizantinismi del mercato finanziario italiano supera i limiti della mia capacità di sopportazione ed è per questo che annuncio con vero piacere un’altra efficace zampata del Leone di Omaha, Warren Buffett, che di intesa con un colosso dei dolciumi industriali che tanto ha fatto per rendere obesi e precocemente diabetici i bambini e gli adolescenti americani, nonché produttore di quella bomba calorica che è il Mars, ha lanciato una mega offerta di acquisto nei confronti di un’altra importante azienda del settore, operazione che, evidentemente, l’anziano uomo d’affari, noto alle cronache per la sua dieta alimentare non proprio salutistica, reputa più interessante che spingere con l’acceleratore sul suo progetto di ereditare le spoglie delle alquanto disastrate compagnie monoline statunitensi che, al pari della torre di Pisa, continuano ormai da settimane e da mesi a pencolare paurosamente senza, peraltro, mai decidersi a portare i libri in tribunale.

Nel frattempo, continua l’apparente paradosso del persistente clima di sfiducia reciproca esistente tra le banche che fanno il mercato dei tassi interbancari sulle principali valute, anche se voci di dentro iniziano a sostenere che non sono poche le Investment Banks e le banche globali che iniziano a non fidarsi più neppure di sé stesse, con il risultato che, punto base dopo punto base, siamo ormai tornati ad un passo dai massimi toccati dall’euribor nel dicembre del lontanissimo 2007, mentre i libor sulle altre valute continuano a viaggiare con spreads paurosi rispetto ai rispettivi tassi ufficiali di riferimento.

Cresce, intanto, a dismisura la popolarità del neotemplare e germanizzato presidente della Banca Centrale Europea, un uomo che ha resistito sprezzante del pericolo rappresentato dalle aperte minacce del suo conterraneo e sanguigno presidente della repubblica francese, quel Nicolas Sarkozy che ha avuto il merito di definire, forse ispirato dal clima che si respira nella millenaria India, il mercato finanziario globale come un qualcosa che è ormai fuori di testa e che sembra insofferente ai tempi biblici di riforma di quello che, ogni giorno che passa, appare sempre di più un immenso casinò a cielo aperto, un recinto dove imperturbabili dealers e brokers si scambiano scommesse che hanno portato il petrolio a 120 dollari e oltre metà degli abitanti di questo sofferente pianeta letteralmente alla fame.

A proposito di questo veramente drammatico argomento, vorrei suggerire un po’ di cautela agli importanti personaggi che stanno sostenendo l’idea di procedere al razionamento, mediante, ritengo, la distribuzione di tessere annonarie, anche perché si tratta di iniziative che vanno annunciate soltanto a tessere stampate e misure preventive volte a scoraggiare gli odiosi ma prevedibili accaparramenti.

A chi si fosse nel frattempo distratto, vorrei ricordare che non si contano più i paesi in via di sviluppo che hanno imposto forti limitazioni o totali divieti all’export di riso e di altre derrate alimentari, che non si contano le rivolte popolari che sono state alla base di tali drastiche decisioni, mentre non giunge la notizia dell’internamento in efficienti strutture psichiatriche dei leaders mondiali che hanno spinto in modo forsennato quella assurdità politica ed economica che è rappresentata dalla coltivazione di derrate alimentari all’unico scopo di ottenerne combustibili il cui prefisso bio suona veramente come offensivo per l’intelligenza delle donne e degli uomini del pianeta, che certamente ne hanno molta di più di coloro che, più o meno democraticamente, hanno ricevuto il mandato di guidarli.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito Free Lance International Press http://www.flipnews.org/