Nella sua seconda giornata di audizioni innanzi al Senate Banking Committee, Ben Bernanke ed una schiera di alti esponenti della Federal Riserve e della Securities and Exchange Commission sono stati letteralmente messi sulla graticola da un nugolo di arrabbiatissimi senatori che, in una audizione durata ben cinque ore, volevano, in buona sostanza, sapere per quale motivo erano stati messi a rischio 30 miliardi di dollari per garantire l’acquisizione di Bear Stearns da parte di J.P. Morgan-Chase, mentre tre milioni di famiglie americane corrono seriamente il rischio di perdere la propria casa nell’anno in corso, dopo che altri due milioni di loro concittadini l’hanno già persa nel corso del 2007.
Senza tediare i miei pochi lettori sul botta e risposta tra gli alti papaveri di Fed e Sec e gli infuriati senatori in schieramento assolutamente, quanto prevedibilmente bipartisan, mi preme sottolineare che si è trattato di uno scontro tra le ragioni di Wall Street e quelle di Main Street e, cioè, tra le aspettative di protezione e di sicurezza avanzate dalle investment banks e le commercial banks da un lato e quelle delle donne e degli uomini che abitano gli Stati Uniti e che vedono farsi concreto il rischio che, dopo decenni di profitti stellari e di compensi ai top manager altrettanto esorbitanti, il conto delle perdite delle banche debba ricadere sulle loro non proprio larghe spalle, determinando una questione che è morale prima ancora di essere economica e politica.
Tra le domande rivolte agli esausti Bernspan e complici, però, una merita certamente di essere citata ed è quella di un senatore che tentava di scoprire quale è la dimensione che attualmente determina il too big to fail, facendo finta, il senatore medesimo, di non ricordare le alte promesse di Bush junior e del suo governo, in coro con i massimi vigilatori e regolatori del mercato finanziario statunitense, che tale principio da sempre invalso in economia non sarebbe stato assolutamente rispettato nella tempesta perfetta in corso e che, anzi, i responsabili dell’attuale disastro sarebbero stati fermamente perseguiti e conseguentemente puniti.
L’altro aspetto che vorrei non cadesse nell’oblio è contenuto nella maliziosa domanda di un altro senatore che mirava a scoprire quanto accurati erano stati i criteri seguiti dagli esponenti della Fed di new York nel valutare la congruità dei titoli posti a garanzia da Bear Stearns per ottenere la maxi linea di credito di 30 miliardi di dollari, domanda maliziosa ed alquanto retorica, in quanto non vi sono dubbi che si sia trattato, per l’ennesima volta da mesi, del solito “pacco” di titoli della finanza strutturata, valutati come se fossero titoli del Tesoro.
Cercando di giustificarsi in merito alla assoluta non previsione dei guai di Bear Stearns, che era peraltro l’oggetto prediletto delle voci e dei rumors all’ombra del wall da vari giorni prima del crollo, il numero uno della Sec, tal Christopher Cox, ha avuto l’ardire di affermare che nessun modello in uso nella sua istituzione aveva mai preso in considerazione la possibilità che non si potesse, come è stato invece il caso di Bear, ottenere credito, pur fornendo come collaterali titoli del Tesoro USA o di qualità assolutamente equivalente (speriamo almeno che Bernspan abbia avuto i Treasury come collaterali).
A pochi giorni dalla Pasqua, tutto vorrei meno che tirare la croce addosso a Cox, ma mi chiedo quanta conoscenza lui ed i suoi collaboratori abbiano di storia e non di cronaca economica, di genesi, sviluppo e deflagrazione di una crisi finanziaria o di una tempesta perfetta quale è l’attuale, o, quanto meno, se abbiano visto e compreso l’esilarante episodio dell’assalto agli sportelli della banca presente nel meraviglioso film che porta il nome di Mary Poppins, personaggio magistralmente interpretato da un’indimenticabile Julie Andrews, episodio di recente andato in scena in Gran Bretagna a seguito della triste vicenda della ormai statalizzata Northern Rock.
Al candido Cox e al mite Bernspan, vorrei porre una semplice domanda alla quale vorrei rispondessero come se avessi quattro anni: ma dove eravate quando le allora Big Five richiavano di bruciarsi dita, mani e braccia, maneggiando un leverage compreso tra i 32,6 a 1 di Bear Stearns (e un soffio di meno per Lehman Brothers) ed il più modesto 26 a 1 di quella J.P. Morgan-Chase che non a caso è stata a chiamata a salvare la cicala Bear e, forse, dovrà provvedere a raccogliere le spoglie dei fratelli Lehman, se non ad occuparsi anche della pesante eredità di Merrill Lynch o di Morgan Stanley?
Quello che veramente mi stupisce è il finto stupore manifestato da uno stuolo di anime belle che si indignano, dall’alto dei loro editoriali o nei loro commenti ad uso della televisione, per la pretesa apertamente avanzata dai vertici delle variegate entità operanti nel mercato finanziario statunitense, così come di quelle che popolano il mercato finanziario globale, di ottenere la protezione di quelle pubbliche istituzioni che hanno per anni, se non per decenni, tacciato di essere obsolete e non al passo dei maginifici e progressivi progressi testimoniati, ad esempio, dagli ipertecnologici laboratori denominati fabbriche prodotto delle investment banks o delle CIB delle banche più o meno globali, laboratori nei quali qualificatissimi scienziati producevano, del tutto indisturbati dalle autorità di vigilanza e dai loro stessi superiori, quella montagna di cartaccia che sta rischiando seriamente di mandare a zampe all’aria non la finanza ma l’economia stessa dei paesi maggiormente sviluppati.
Purtroppo, le cronache da oltre oceano ci hanno informati ieri che vi è stato il tanto temuto balzo in avanti dei sussidi di disoccupazione settimanali che, per la prima volta dal 2005, si sono portati al di sopra della soglia psicologica dei 400 mila nuovi sussidiati, mentre il dato che segnala l’entità dello stock di quanti per sopravvivere si affidano all’assegno pubblico si è portato ad un soffio dall’altrettanto psicologica soglia dei 3 milioni (2 milioni e 940 mila persone, per la precisione, ma il dato risale al 22 marzo, mentre quello relativo al flusso è del 29 marzo).
Il forte aumento dei sussidi di disoccupazione, assolutamente non previsto da quei gattini ciechi degli analisti, determina un aumento delle preoccupazioni per il rilascio, oggi, del Non Farm Payrolls, in assoluto l’indicatore che produce il maggior impatto sugli operatori, in quanto anticipa i consumi e, di conseguenza, l’andamento del PNL statunitense del primo trimestre, forse il più atteso da decenni; non voglio certo spargere sale sulle recenti ferite, ma mi vedo costretto a ricordare che, proprio ieri, L’American Bankers Association ha reso noto che i consumatori americani sono in ritardo con i pagamenti sui prestiti da loro ricevuti come non mai da oltre sedici anni, mettendosi così in scia ai mutuatari ed ai possessori di carte di credito revolving.
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL del 19 c.m. è disponibile nella sezione video (alla voce videoinformazione) del sito Free Lance International Press www.flipnews.org
Senza tediare i miei pochi lettori sul botta e risposta tra gli alti papaveri di Fed e Sec e gli infuriati senatori in schieramento assolutamente, quanto prevedibilmente bipartisan, mi preme sottolineare che si è trattato di uno scontro tra le ragioni di Wall Street e quelle di Main Street e, cioè, tra le aspettative di protezione e di sicurezza avanzate dalle investment banks e le commercial banks da un lato e quelle delle donne e degli uomini che abitano gli Stati Uniti e che vedono farsi concreto il rischio che, dopo decenni di profitti stellari e di compensi ai top manager altrettanto esorbitanti, il conto delle perdite delle banche debba ricadere sulle loro non proprio larghe spalle, determinando una questione che è morale prima ancora di essere economica e politica.
Tra le domande rivolte agli esausti Bernspan e complici, però, una merita certamente di essere citata ed è quella di un senatore che tentava di scoprire quale è la dimensione che attualmente determina il too big to fail, facendo finta, il senatore medesimo, di non ricordare le alte promesse di Bush junior e del suo governo, in coro con i massimi vigilatori e regolatori del mercato finanziario statunitense, che tale principio da sempre invalso in economia non sarebbe stato assolutamente rispettato nella tempesta perfetta in corso e che, anzi, i responsabili dell’attuale disastro sarebbero stati fermamente perseguiti e conseguentemente puniti.
L’altro aspetto che vorrei non cadesse nell’oblio è contenuto nella maliziosa domanda di un altro senatore che mirava a scoprire quanto accurati erano stati i criteri seguiti dagli esponenti della Fed di new York nel valutare la congruità dei titoli posti a garanzia da Bear Stearns per ottenere la maxi linea di credito di 30 miliardi di dollari, domanda maliziosa ed alquanto retorica, in quanto non vi sono dubbi che si sia trattato, per l’ennesima volta da mesi, del solito “pacco” di titoli della finanza strutturata, valutati come se fossero titoli del Tesoro.
Cercando di giustificarsi in merito alla assoluta non previsione dei guai di Bear Stearns, che era peraltro l’oggetto prediletto delle voci e dei rumors all’ombra del wall da vari giorni prima del crollo, il numero uno della Sec, tal Christopher Cox, ha avuto l’ardire di affermare che nessun modello in uso nella sua istituzione aveva mai preso in considerazione la possibilità che non si potesse, come è stato invece il caso di Bear, ottenere credito, pur fornendo come collaterali titoli del Tesoro USA o di qualità assolutamente equivalente (speriamo almeno che Bernspan abbia avuto i Treasury come collaterali).
A pochi giorni dalla Pasqua, tutto vorrei meno che tirare la croce addosso a Cox, ma mi chiedo quanta conoscenza lui ed i suoi collaboratori abbiano di storia e non di cronaca economica, di genesi, sviluppo e deflagrazione di una crisi finanziaria o di una tempesta perfetta quale è l’attuale, o, quanto meno, se abbiano visto e compreso l’esilarante episodio dell’assalto agli sportelli della banca presente nel meraviglioso film che porta il nome di Mary Poppins, personaggio magistralmente interpretato da un’indimenticabile Julie Andrews, episodio di recente andato in scena in Gran Bretagna a seguito della triste vicenda della ormai statalizzata Northern Rock.
Al candido Cox e al mite Bernspan, vorrei porre una semplice domanda alla quale vorrei rispondessero come se avessi quattro anni: ma dove eravate quando le allora Big Five richiavano di bruciarsi dita, mani e braccia, maneggiando un leverage compreso tra i 32,6 a 1 di Bear Stearns (e un soffio di meno per Lehman Brothers) ed il più modesto 26 a 1 di quella J.P. Morgan-Chase che non a caso è stata a chiamata a salvare la cicala Bear e, forse, dovrà provvedere a raccogliere le spoglie dei fratelli Lehman, se non ad occuparsi anche della pesante eredità di Merrill Lynch o di Morgan Stanley?
Quello che veramente mi stupisce è il finto stupore manifestato da uno stuolo di anime belle che si indignano, dall’alto dei loro editoriali o nei loro commenti ad uso della televisione, per la pretesa apertamente avanzata dai vertici delle variegate entità operanti nel mercato finanziario statunitense, così come di quelle che popolano il mercato finanziario globale, di ottenere la protezione di quelle pubbliche istituzioni che hanno per anni, se non per decenni, tacciato di essere obsolete e non al passo dei maginifici e progressivi progressi testimoniati, ad esempio, dagli ipertecnologici laboratori denominati fabbriche prodotto delle investment banks o delle CIB delle banche più o meno globali, laboratori nei quali qualificatissimi scienziati producevano, del tutto indisturbati dalle autorità di vigilanza e dai loro stessi superiori, quella montagna di cartaccia che sta rischiando seriamente di mandare a zampe all’aria non la finanza ma l’economia stessa dei paesi maggiormente sviluppati.
Purtroppo, le cronache da oltre oceano ci hanno informati ieri che vi è stato il tanto temuto balzo in avanti dei sussidi di disoccupazione settimanali che, per la prima volta dal 2005, si sono portati al di sopra della soglia psicologica dei 400 mila nuovi sussidiati, mentre il dato che segnala l’entità dello stock di quanti per sopravvivere si affidano all’assegno pubblico si è portato ad un soffio dall’altrettanto psicologica soglia dei 3 milioni (2 milioni e 940 mila persone, per la precisione, ma il dato risale al 22 marzo, mentre quello relativo al flusso è del 29 marzo).
Il forte aumento dei sussidi di disoccupazione, assolutamente non previsto da quei gattini ciechi degli analisti, determina un aumento delle preoccupazioni per il rilascio, oggi, del Non Farm Payrolls, in assoluto l’indicatore che produce il maggior impatto sugli operatori, in quanto anticipa i consumi e, di conseguenza, l’andamento del PNL statunitense del primo trimestre, forse il più atteso da decenni; non voglio certo spargere sale sulle recenti ferite, ma mi vedo costretto a ricordare che, proprio ieri, L’American Bankers Association ha reso noto che i consumatori americani sono in ritardo con i pagamenti sui prestiti da loro ricevuti come non mai da oltre sedici anni, mettendosi così in scia ai mutuatari ed ai possessori di carte di credito revolving.
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL del 19 c.m. è disponibile nella sezione video (alla voce videoinformazione) del sito Free Lance International Press www.flipnews.org