Non so proprio se l’attuale numero uno di Merrill Lynch, John Thain, prenderà il posto di Henry Paulson come responsabile dello strategico dicastero del Tesoro degli Stati Uniti d’America nel caso che Mc Cain, per il quale svolge la funzione di responsabile del comitato finanziario elettorale, anche perché ho molti dubbi che il candidato repubblicano abbia serie chance di successo, pur favorito in un modo che è ai limiti dell’incredibile dalla lotta fratricida in corso in campo democratico, con Hillary Clinton che pervicacemente si ostina a non riconoscere nella novità rappresentata da Obama l’unica possibilità per il comune partito di prevalere nella gara per le presidenziali.
Quello che è certo è che una simile eventualità porterebbe per la seconda volta al tesoro un uomo che ha avuto in precedenza le mani in pasta in una Investment Bank, ossia in una realtà che da tempo definisco una CIB delle CIB, ossia una realtà che ha, almeno al quadrato, tutti i vizi e tutte le virtù della finanziarizzazione spinta di ogni aspetto della realtà economica, un’eventualità che presenta, inoltre, un’ulteriore curiosa coincidenza, in quanto anche se non con l’anzianità di servizio e la stessa preminenza del ruolo, anche Thain, come Paulson, nasce in Goldman Sachs, come, sempre in Goldman Sachs, ha per lunghissimo tempo operato un altro ministro del Tesoro, quel Robert Rubin che Bill Clinton volle fortemente alla guida di quel dicastero e che ora si gode la sua remuneratissima sinecura presso il travagliatissimo Citigroup.
Già in una puntata precedente del Diario mi ero chiesto quello che tanti si chiedono da lunga pezza: ma cosa è in realtà questa Goldman Sachs? E’ una domanda tutt’altro che peregrina e che non trova risposta alcuna in una visita all’asetticissimo sito web ufficiale della casa di investimenti, un sito ermetico che più ermetico non si può e che riesce a non dire nulla che non sia passato al vaglio dello stuolo di avvocati partner che sono probabilmente in numero pari a quelli che si occupano, a vario titolo, dei tanti e multiformi affari multinazionali della Ditta.
Il poco che si riesce a sapere di Goldman sono certamente più gli effetti che le insondabili cause, al massimo qualche aspetto di colore come i cento colloqui cui si sottopongono le donne e gli uomini che aspirano a entrare nella Ditta, un calvario a cui sono stati sottratti solo personaggi come Mario Draghi o quanti sono stati premier o ministri dello sterminato numero di paesi ove, con marginali differenze numeriche rispetto all’ONU, Goldman opera, così come, attraverso la dorata porta girevole della sede centrale, altre donne ed altri uomini formatisi alle dure ma altrettanto dorate regole della prestigiosa casa ne escono per assurgere a dicasteri, governatorati di banche centrali, due almeno al momento, o incarichi al vertice di altre Investment Banks o banche più o meno globali.
Vorrei rassicurare il funzionario del Dipartimento di Stato americano che ha visitato con una certa assiduità il primo sito che ha ospitato il Diario della crisi finanziaria suk fatto che non sono assolutamente a conoscenza dei segreti della Ditta, a meno che non sia considerato tale il gossip riportato da alcuni quotidiani e che rivela che tra le tante prestazioni gratuite offerta dalla assistenza sanitaria garantita ai partner vi è anche la possibilità di cambiare sesso, una novità rispetto alla probabile ma assolutamente non accertata opportunità di assumere anche, ove sia necessario, una nuova e diversa identità, cosa obbligatoria, peraltro, se si ricorre all’operazione che rende possibile il citato cambiamento di sesso.
Anche i conflitti di interesse o l’insider trading, applicati ad un’entità così variegata e multiforme, nonché così mutevole, sfumano invariabilmente in un qualcosa di indistinto ed inafferrabile, quasi come il voler considerare estremi di reato le conversazioni che avvengono sul green di confortevoli campi di golf ospitati da esclusivi club, le cui costosissime rette sono giustamente detratte dalle denuncie dei redditi dei soci quali spese di rappresentanza veramente necessarie, se non indispensabili, per gli affari delle fortunate donne e gli altrettanto baciati dalla fortuna uomini che li frequentano non da imbucati o da caddies.
Capisco l’insofferenza degli abitanti dell’Olimpo del mercato finanziario globale per le inopportune vocine di quanti hanno la temerarietà di sostenere che buona parte dei protagonisti del processo di riforma delle istituzioni che hanno il compito di vigilare sui diversi soggetti che operano, spesso in modo alquanto disinvolto, sul suddetto mercato, così come sull’individuazione delle nuove regole del gioco, non godono del necessario grado di terzietà, proprio a causa della più o meno lunga militanza ai vertici delle stesse entità che dovrebbero essere vigilate o riformate, giungendo all’ardire di porre l’altrettanto inopportuno paragone che vede una riforma del diritto e/o della procedura penale affidato a qualificati esponenti della Cosa Nostra.
Pur non volendo allinearmi a queste tesi “estremistiche”, ritengo opportuno dire che trovo intollerabile lo sforzo che è stato richiesto ad Henry Paulson, Mario Draghi, Jean Paul Trichet ed ai tanti esponenti delle banche centrali o responsabili dei dicasteri economici dei paesi del G7 nel dover fingere di fare la voce grossa e la faccia feroce nei confronti dei tanti ex colleghi costretti da loro a sorbirsi le loro reprimende nel corso, almeno a quanto dicono i maligni, di una pessima cena, che aveva il solo pregio di essere a spese del contribuente, al pari delle spoglie dell’orso di Stearns graziosamente regalate dalla Federal Reserve ai nipotini di Pier Point Morgan e di Nelson Rockfeller.
E poi c’è qualcuno che si stupisce che si fa e si pensa ormai di tutto, fatta eccezione del passare dalle parole ai fatti nel tante volte proclamato mantra della ferma volontà di governi e banche centrali di punire con estrema severità il moral hazard da chiunque compiuto, mentre tutte, ma proprio tutte, le azioni di gigantesche dimensioni ma dai pressoché nulli effetti compiuti da banche centrali e governi sono state finalizzate, usando una semplificazione estrema, al salvataggio delle entità dissestate e al contrasto del libero e prevedibile agire delle forze del mercato in reazione alle vere cause della tempesta perfetta, cause che hanno proprio a che vedere con quell’azzardo morale assurto a sistema che ha caratterizzato l’agire concreto dei vertici delle Investment Banks e delle CIB delle banche più o meno globali.
Non ho mai creduto nella neutralità dei media, tanto meno quando si occupano professionalmente od occasionalmente delle vicende economiche, non fosse altro che per la semplice ragione che gli editori, fatte salve poche e lodevoli eccezioni, sono nelle mani di conglomerati economici con interessi in tutti i settori e con scarsa propensione all’autolesionismo e con ancora minore tolleranza verso gli eccessi di zelo o le pruderie deontologiche di qualche inguaribile redattore con romantiche pulsioni idealistiche, ma credo proprio che, dopo la guerra in Irak, quello che stiamo vedendo in questi mesi è il più grande processo di mistificazione della realtà, un proliferare di fumogeni che passa spesso attraverso una una rappresentazione della stessa che mette insieme reportage dettagliatissimi sugli effetti e nessuno sforzo di analisi sulle cause, un gioco degno di miglior causa ma che credo proprio che stavolta non avrà il successo sperato dai suoi registi.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito Free Lance International Press www.flipnews.org