giovedì 29 maggio 2008

Ambac is the next?


L’ulteriore calo degli ordini di beni durevoli statunitensi in aprile (-0,5 per cento), in larga parte determinato dal forte calo registrato nel settore dei trasporti, è stato in realtà visto da molti analisti come positivo, in quanto escludendo appunto il settore più legato ai continui rialzi del prezzo dei combustibili alla pompa, nel mese in questione si sarebbe registrato un non disprezzabile rialzo del 2,5 per cento.

Cito questo dato non tanto per segnalare che, grazie anche a letture come queste i listini azionari continuano a galleggiare da qualche sedute appena al di sopra della parità, quanto per segnalare l’ansia degli analisti e degli operatori di cercare in ogni modo, spesso proprio attraverso queste operazioni (ex food, ex energy, ex transportation) di fornire un’informazione che alla fine risulta poco significativa, in quanto, come ha brillantemente sostenuto un premio nobel per l’economia operante negli USA, i dati importanti sono quelli relativi alla vita effettiva della gente, gente che ha il difetto di mangiare, di fare benzina ed anche di acquistare un’automobile.

Domani, salvo sorprese dell’ultima ora, gli azionisti di Bear Stearns dovrebbero decretare la fine della storica Investment Bank USA dopo 85 anni di vita, un periodo lunghissimo se si vive in una nazione che ha festeggiato da relativamente poco tempo il proprio bicentenario, accettando i termini proposti dall’acquirente J.P. Morgan-Chase ed imposti dalla tragica carenza di liquidità che ha determinato pochi mesi orsono l’intervento urgente della Fed di New York che ha concesso tambur battente 30 miliardi di dollari di prestito alla banca dei nipotini dei Morgan e dei Rockfeller perché salvasse l’orso di Stearns ed ha mantenuto sulla Fed stessa il rischio, al netto del miliardo messo in campo dalla banca, per l’ingente somma prestata.

Ho già avuto modo di commentare il rapido liquefarsi delle un tempo ampie schiere dei fondamentalisti del liberismo economico, quelli che vedevano l’intervento dello Stato in economia come il fumo negli occhi e che pensano, nonostante le tragiche evidenze fornite dalla Storia, che l’equilibrio raggiunto dal mercato sia sempre perfetto e che gli eventuali morti e feriti non siano altro che l’effetto di una sana selezione che, eliminati i rami secchi e potati quelli sani, porterà inevitabilmente ad una nuova e più elevata tappa delle magiche e progressive sorti del capitalismo, in particolare di quello finanziario.

Per fortuna, a frenare la conversione in massa dei liberisti e dei neoliberisti, ci hanno pensato le dure parole pronunciate da Mario Draghi e da Henry Paulson nel corso di quella sorta di cena delle beffe svoltasi a Washington a metà aprile di questo orribile 2008, esperienza cui hanno sottoposto il milieu della finanza globale e nel corso della quale sono state esposte le nuove regole ed è stata prevista l’ormai prossima scadenza del 30 di giugno per svelare la verità, tutta la verità, sullo stato di salute effettivo delle rispettive banche o compagnie di assicurazione, pena l’esclusione dalle possibili operazioni di salvataggio (rigorosamente private questa volta) e possibili forme di liquidazione coatta.

Dite la verità e chiedete soldi al mercato, è stata questa, in estrema sintesi, quanto gli atterriti ed un tempo potenti uomini della finanza si sono sentite dire da quei due loro ex colleghi che, impietosi come solo lo può essere un banchiere o, peggio, un ex banchiere di investimento, in particolare se hanno frequentato, per poco o tanto tempo non importa, quel prestigioso, preveggente, misterioso club esclusivo che porta il nome di Goldman Sachs.

A proposito di Goldman, comincia a trapelare tra concorrenti la sensazione che stia per realizzarsi, dopo quella fortunata intuizione di David Viniar nel settembre del 2006 e che ha consentito ai partner di evitare il peggio, una seconda svolta repentina e micidiale delle posizioni della prestigiosa e preveggente Investment Bank, stavolta su quel mercato dei derivati delle materie prime energetiche e non sul quale è stata attivissima negli ultimi mesi, portandosi in scia operatori di ogni ordine e rango, alcuni dei quali si sono decisi ad entrare solo dopo che il dollaro ha infranto la soglia dei 100 dollari all’inizio di gennaio e che adesso rischiano tanto se il gruppo di testa decidesse di girare repentinamente le proprie posizioni che, almeno per il momento, continuano ad essere one way.

Ricordo ancora una volta le mie previsioni per il 2008, che vedono l’euro a 1,70 dollari ed il dollaro a 90-95 yen, mentre per il petrolio la previsione rimane ferma ai 75 dollari al barile, previsione che attualmente è del tutto out of the money, ma che ho visto con piacere che non è lontana di quella del principe saudita Yamani, una persona che è considerata un profondo conoscitore di questo particolare mercato, nonché a lungo presidente del cartello dei cartelli: la famosa, per alcuni famigerata OPEC.

L’attuale tempesta pefetta sta, intanto, per fare la sua ennesima vittima, che prende il nome di Ambac, la compagnia di assicurazione monoline che ha visto oggi il suo titolo sfondare verso il basso la soglia dei 3 dollari (evito di dire quanto quotava un anno fa per timore di arrecare danno a cardiopatici ed iperansiosi), mentre le tempestive Moody’s e Standard & Poor’s ancora stanno decidendo se degradarla o meno, cosa che Fitch’s ha fatto già il 18 gennaio.

Non ho trattato adeguatamente la notizia riguardante gli “errori” di Moody’s, peraltro rea confessa e che teme più le ire del suo primo azionista Warren Buffett che le ire della giustizia e del Congresso, in quanto sa che con i giudici si trova sempre una soluzione e che i politici spesso sono solo un problema di quanto, mentre, se si arrabbia il Leone di Omaha, i rischi per l’incolumità dei manager sono molto più concreti e molto più elevati.

Credo proprio che a metà luglio in Giappone, i stte grandi del pianeta non potranno non dare mandato a Draghi & Company per realizzare la tanto attesa e radicale riforma delle agenzie di rating, una riforma ineludibile ed indispensabile per ridare ai mercati una fiducia vera, una fiducia che difficilmente tornerà senza un consistente taglio di teste al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/