mercoledì 7 maggio 2008

UBS, You Loose & Us?


I beg your pardon Mr Buffett, sarebbero queste le prime parole della mia lettera di scuse al leone di Omaha per l’imperdonabile errore di aver prestato fede ai soliti lanci di agenzia ed articoli sulle sue presunte affermazioni sulla prossima fine della tempesta perfetta in corso, anche se devo dire che nella puntata in questione avevo usato molte cautele dovute all’abitudine di diffidare di quanto scrivono, in particolare in questi ultimi e cruciali nove mesi, i giornalisti embedded che ormai imperversano su tutti i media e che, spesso, non ricevono neanche una mancia per i loro servili servigi.

La lettura dell’attenta analisi di Nouriel Roudini e la lettura del vero e proprio j’accuse del Leone di Omaha contro il sistema finanziario americano e contro quello globale, nonché le roventi espressioni lanciate contro i regolatori ed i vigilanti del sistema che hanno consentito che accadesse quello che è accaduto e che venisse minata in modo così profondo quel ingrediente essenziale per un sano sviluppo del mercato finanziario che è rappresentato dalla fiducia degli investitori, una fiducia, peraltro, ampiamente subordinata al grado di trasparenza così scarso non solo ieri ma ancora oggi, ebbene queste due boccate di ossigeno sono state sufficienti per ridarmi fiducia nell’esistenza di persone integre ed ancora in grado di pensare con la propria testa.

Ciò è tanto più necessario rispetto al vero e proprio bollettino di guerra che scandisce oggi, per l’ennesima volta lungo tutti i fusi orari, una delle 24 ore più lunghe di questa di per sé già turbolenta fase, con le alquanto ferali notizie provenienti dal colosso creditizio svizzero UBS che, oltre ad annunciare un taglio dell’organico pari al 7 per cento del totale (un totale un po’ ridotto sai numerosi tagli precedenti), ma anche un taglio che si accompagna ad un mega deal con il gigante dell’assett management BlackRock Inc., un’entità che ha deciso di acquistare 22 miliardi di dollari di titoli per soli 15 miliardi, con uno sconto del 32 per cento circa rispetto al valore facciale che ha il pregio di dirla lunga sul valore effettivo della parte più pregiata della montagna di titoli della finanza strutturata ancora sul groppone di UBS, così come su quello delle Investment Banks e su quello delle altre banche più o meno globali che hanno deciso di imitare le allora Big Five, operando, spesso a rotta di collo, nel Corporate & Investment Banking.

Eh già, perché, in base alla regola non scritta delle cartolarizzazioni, non è consentito mettere in vendita il peggio di quello che si ha in cassaforte o presso le indulgenti e capienti discariche della Fed o delle altre banche centrali compiacenti, ma è necessario scegliere quanto risulti più appetibile per il compratore che decide di assumersi il rischio in tua vece, per non parlare poi del fatto che è oltremodo disdicevole mostrare al mercato che possiedi titoli che possono trovare acquirenti solo a prezzi largamente più bassi di quelli spuntati oggi da UBS.

Ma quello che più ha turbato gli addetti ai lavori è stato il particolare rivelato dal direttore finanziario di UBS, una persona che non ha esistato a rendere noto che la maggior parte, se non tutti, i 5.500 addetti da smaltire abitano nei moderni palazzi che ospitano le divisioni Corporate & Investment Banking di New York e Londra, facendo così capire che il rifiuto opposto alla proposta dell’ex numero uno della banca extracomunitaria ed attuale leader di un fondo azionista della stessa, una proposta, che lo ricordo, consisteva nello splittare la CIB dalla banca, riguardava più la forma che la sostanza, anche perché, con altre quattro o cinque operazioni come quella annunciata ieri, si giunge allo stesso risultato proposto dal pensionato di lusso e che tanto interesse aveva suscitato tra un folto numero di azionisti amareggiati dalle pessime performance della multinazionale del credito che in passato aveva avuto il pregio di dare loro tante, ma tante soddisfazioni.

Va segnalato, per dovere di cronaca, che la perdita trimestrale annunciata da UBS nel primo trimestre di questo orribile 2008 è pari a 11,5 miliardi di franchi svizzeri è appena inferiore a quella prevista dagli analisti e che si collocava intorno agli 11,9 miliardi: un ottimo risultato, almeno per chi ha deciso di riconsolarsi con l’aglietto.

Non c’è che dire, questi gnomi svizzeri una ne fanno e cento ne pensano, non come quei top manager di Fannie Mae che si ostinano a nascondere la polvere sotto il tappeto e che, pur dichiarando una perdita considerevole e pari a 2,2 miliardi di dollari per il primo trimestre (contro un utile di poco inferiore al miliardo nel corrispondente periodo del 2007), si ostinano a misurare le potenziali perdite su crediti con una molto ottimistica formuletta che ha reso necessarie svalutazioni per una cifra che non è stata resa nota nel comunicato, ma che ha reso necessario lanciare immediatamente un aumento di capitale per la cifra di 6 miliardi di dollari.

Come è gia accaduto altre volte, ad una comprensibile flessione iniziale cifrabile nel 6 per cento, l’azione ha ripreso quota e, mentre scrivo, è in progresso del 2 per cento circa, segno inequivocabile del fatto che gli operatori temevano realmente che, anche per effetto delle minacce di Draghi e Paulson nel corso della famosa cena in occasione del G7, i massimi esponenti di Fannie Mae decidessero di alzare finalmente il velo sui guai nei quali si trova la gigantesca entità da lor gestita.

Anche qui per dovere di cronaca, mi tocca segnalare che i massimi dirigenti di un tempo della stessa Fannie Mae furono rimossi in blocco e processati per false rappresentazioni di bilancio e qualche altra piacevolezza, al che seguì l’individuazione di un nuovo board of directors, nonche di un Chairman ed un Chief Executive Officer altrettanto nuovi di zecca, ma tutti riceventi la mission di operare affinché episodi del genere non avessero a ripetersi mai più nel futuro, il che, col senno di poi, si potrebbe dire che è stato appena meglio che affidare Fannie ad Angelo Mozilo di Countrywide ed alla sua “banda”.

Mentre i tassi interbancari continuano a mostrarsi incuranti degli sforzi e degli affanni di Bernspan e compagni, il petrolio continua ad esercitarsi nel suo sport preferito e che consiste nel macinare un record delle quotazioni algiorno (oogi è a 121 dollari al barile), mentre sembra già svanito il forte impatto che aveva avuto sulle quotazioni del dollaro la mega operazione effettuata dalla Banca Centrale Europea e dalla Banca Nazionale Svizzera che hanno avuto la bella idea di acquistare sul mercato ed ovviamente tutti insieme la bellezza di 50 miliardi di dollari, un’operazione che ha fatto ricordare ai cambisti più anziani le scorrerie di Florio Fiorini, quando, assieme ad altri sei suoi degni compari, si divertiva a far impazzire le sale operative delle banche centrali, almeno fino alla telefonata con la quale venivano messi puntualmente in riga.

Ricordo che il diario della crisi è presente anche sul mio blog http://www.diariodellacrisi.blogspot.com/ e che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/