L’annuncio choc proveniente dal colosso svizzero UBS non è ancora stato digerito dagli operatori, ancora increduli sulle dimensioni dello stock di titoli della finanza strutturata che ancora si intravede dopo le mega svalutazioni a ripetizione effettuate nei trimestri precedenti ed in quello appena reso noto, ma ancora di più per il maxi deal con il gestore BlackRock Inc. per un controvalore di 15 miliardi di dollari, a fronte di un valore facciale dei titoli ceduti pari a 22 miliardi di dollari, valori che sommati assieme rendono molto lontana dal vero la stima che attribuiva alla banca extracomunitaria una massa iniziale di titoli problematici nell’ordine di 80 miliardi di dollari circa, anche perché a questo livello ci siamo ormai già giunti senza che si intraveda la fine del tunnel.
Poiché continua ad essere vero che una banca, grande o piccola, globale o locale, non è rappresentata soltanto dalle sue passività ed attività, ma trae una parte rilevante del suo valore dal capitale umano, spesso frutto di accorte politiche di recruitment, di sviluppo professionale, di formazione specialistica, di esperienze lavorative mirate ad incarichi via, via più impegnativi, un insieme, cioè, di valori umani e professionali che rischiano di essere spazzati via dalle logiche di downsizing e dagli esperti di cost cutting che non guardano in faccia a nessuno e rischiano di distruggere in pochi mesi un qualcosa che è stato spesso realizzato in decenni di paziente lavoro da parte degli esperti interni ed esterni in gestione delle human resources (HR come amano dire i consulenti pagati in oro ad un tanto al chilo).
Questa situazione diviene oltre modo più complessa quando da una banca di tipo tradizionale passiamo a prendere in considerazione una Investment Bank o una divisione Corporate & Investment Banking di una banca di respiro internazionale, in quanto il discorso sulle risorse umane diviene molto più delicato, anche alla luce della netta prevalenza di specialisti di ogni ordine e specie presenti negli organici di queste entità che stanno alle banche ordinarie come una gioielleria sta ad un negozio dove si vendono articoli di bigiotteria, basti pensare soltanto alle qualifiche iniziali richieste ai candidati all’assunzione ed ai pacchetti di ulteriore formazione ed aggiornamento, nonché ai percorsi individuali attentamente pianificati, il tutto accompagnato da una gestione delle singole posizioni che sarebbe assolutamente impensabile gestendo organici delle dimensioni di quelli che caratterizzano le grandi banche commerciali.
Il clamore che stanno suscitando nell’ambiente degli addetti al wholesale banking i numeri forniti freddamente dal Chief Financial Officer di UBS può risultare difficilmente comprensibile se confrontato con la molto minore sensazione suscitata da tagli multipli che hanno caratterizzato nei mesi scorsi le banche specializzate nel mortgage o i colossi del credito ordinario e questo per il semplice motivo che parlare in UBS di 5.500 licenziamenti è una cosa, mentre parlare di un di cui di 2.900 donne ed uomini localizzati nei palazzi dorati delle attività CIB dislocati a Londra ed a New York, ma che dai loro desk seguono attività che si riferiscono ad un numero di nazioni/mercati quasi pari a quello delle delegazioni presenti nel palazzo di vetro dell’ONU assume le caratteristiche di un vero e proprio tsunami nell’un tempo fortunato e privilegianto mondo della finanza.
Pur comprendendo i sentimenti di rivalsi dei lavoratori dell’industria e del commercio, per non parlare degli sportellisti e degli addetti ai centri servizi ed ai call center delle banche al dettaglio, nei confronti dei loro privilegiati colleghi posti ai piani alti dell’alquanto scientifica divisione del lavoro nel mondo dell’intermediazione creditizia, devo confessare che desta una certa impressione vedere queste legioni di disoccupati provenire dalle fabbriche prodotto, dai reparti di fixed incombe, dalle gestioni patrimoniali, dalle sezioni specializzate nel montaggio di titoli talmente complicati che, se si perdeva il foglietto delle formule, sarebbe stato difficili agli stessi apprendisti stregoni che li avevano realizzati comprenderne il reale valore, il tutto aggravato dal fatto che, pur con rilevanti differenze quantitative, il processo di downsizing in corso è ormai generalizzato.
Non voglio dare credito ai rumor che indicano nel recente pool costituito dal Federal Bureau of Investigations, dalle varie procure che stanno indagando sugli eventuali reati commessi prima ed anche durante la tempesta perfetta e dalle altre entità federali coinvolte l’unica possibilità di sbocco per gli esperti provenienti proprio dalle entità sulle quali il pool sta indagando alquanto alacremente, anche se la tempistica è fortemente condizionata dal divergente interesse dei repubblicani e dei democratici, con i primi che vorrebbero che la conclusione delle indagini scavalcasse la scadenza delle presidenziali ed i secondi che puntano a fare del conflitto tra Wall Street e Main Street uno dei loro cavalli di battaglia contro un Mc Cain da dipingere come la fotocopia di Bush, universalmente visto come il protettore di Big Oil, Big Pharma e, soprattutto, dei principali attori del mercato finanziario ed assicurativo.
Personalmente, preferirei che le donne e gli uomini espulsi dai palazzi dorati avessero un sussulto di consapevolezza ed un minimo di resipiscienza della loro fetta di responsabilità nel grande disastro nel quale siamo tutti immersi, sarebbe meglio dire sommersi, dai marosi sempre più alti di quella tempesta perfetta che hanno contribuito, in piccola od in larga parte, a creare, spesso spinti dalla spirale perversa di sistemi incentivanti e da piani di stock options non proprio basati sull’innocuità relativa dei prodotti che ideavano o piazzavano, augurandomi, so bene quanto invano, che almeno una parte di loro decida di dedicarsi, pro bono, a quella tanto necessaria attività di alfabetizzazione finanziaria pro bono che renderebbe più ardua in futuro la creazione delle premesse di una ancora più grave, e forse definitiva tempesta perfetta, quando la presente, come tutti ci auguriamo, dovesse diventare un ricordo del passato e non, come qualcuno purtroppo inizia a pensare, una sorta di anticamera della celebre profezia di una antico popolo del Centro America.
Nel frattempo, stiamo assistendo ad un riavvicinarsi dei valori relativi tre l’economia reale e quella finanziaria, un mondo, per capirci, nel quale il modo di operare del leone di Omaha e quello del finanziere Soros fossero meno divergenti di quanto siano attualmente, anche se questo non potrà accadere se ai danni della tempesta perfetta non farà seguito quel processo, equo e non sommario, volto ad individuare le responsabilità di quanto è accaduto, il tutto condito da efficaci azioni risarcitorie che colpiscano nel portafoglio i responsabili veri del moral hazard continuato ed aggravato verificatosi nell’ultimo quarto di secolo.
Alle donne ed agli uomini ancora presenti nelle Investment Banks e nelle CIB vorrei, infine, rivolgere l’invito a ricordarsi che non basta operare in un desk o nei sotterranei di una fabbrica prodotto per essere o sentirsi uguali ai loro capi, né che è necessario imitarne l’abbigliamento, gli stili di vita e i tic, ricordandosi che la responsabilità sociale di azienda nasce, né potrebbe essere altrimenti, dalla responsabilità sociale dei singoli individui, donne ed uomini che non devono tornare a casa per lavare nella doccia la partecipazioni ad azioni di cui non si sentono fieri.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/