Evidentemente non pago del surplus di credibilità ed autorevolezza di cui sta godendo personalmente e come collettivo, il presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, ha deciso di togliersi anche lo sfizio di sbeffeggiare dai microfoni della BBC di Londra quel manipolo di ministri economici e quel folto plotone di giornalisti e commentatori alquanto embedded che ormai da settimane affermano un giorno sì e l’altro pure che la crisi finanziaria sta ormai volgendo al termine, che il peggio è ormai passato e che è, quindi giunta l’ora che i quegli scioperati di investitori e risparmiatori riprendano ad acquistare quanto viene prodotto, seppur a ritmi estremamente ridotti, dalle fabbriche prodotto delle Investment Banks o delle CIB delle banche più o meno globali.
Ebbene il sempre più germanizzato Trichet, posto alla guida del suo fido gruppo di consiglieri neotemplari, non ha certo perso l’occasione per riaffermare che la crisi c’è ed è profonda, così come non ha resistito alla tentazione di togliersi qualche manciata di sassolini dalla scarpa nei confronti di quei non pochi governanti europei che, almeno in passato, gli rimproveravano di essere la causa della possibile catastrofe economica dell’Europa e, rivolgendosi proprio a loro, ha ricordato che è compito comune della BCE e dei governi quello di combattere contro l’inflazione, perché poi la ripresa, come già sta accadendo in Germania, seguirà e sarà sana.
Vedendo che la puntata odierna è la numero 200, credo proprio che bisognerebbe prestare ascolto all’emulo del mitico Hans Tietmeyer, un uomo che assieme al ministro delle finanze olandese Zalm fece vedere i sorci verdi all’Italia che tutti gli italiani, tranne Antonio Fazio, volevano vedere nel primo gruppo dei paesi fondatori dell’euro, come in realtà fu, un personaggio controverso come banchiere, ma che ha dato punti a tutti come presidente del Board con sede a Frankfurt um Mein, uno che non si è lasciato intimorire dal bellicoso presidente francese Nicolas Sarkozy, avendo pochi mesi dopo la soddisfazione di vedere l’estrema divergenza dei rispettivi indici di popolarità, lui alle stelle, mentre il povero Nicolas si trovava alle stalle.
Credo proprio che nessuno ignori la lezione di stile fornita da Paul Volker al suo successore Alan Greenspan o al suo successore e sosia Bernspan (che ha giustamente messo al lavoro un manipolo di studentesse e studenti della sua Università per capire perché si formano le bolle speculative), ricordando, forse unico tra gli abitanti degli Stati Uniti d’America, che per una banca centrale che si rispetti la credibilità e l’autorevolezza sono tutto, opinione che gli valse ben poca simpatia da parte di più di un Presidente USA, ma che oggi gli consente di spiegare che un presidente della Fed tutto deve fare meno che accomodarsi behind the curve, tanto meno, come Bernspan fa da mesi, behind the market.
Non voglio ignorare che anche nell’operato degli emuli della Bundesbank vi è qualche pecca, dovuta alla indigestione di liquidità cui sottopongono un mercato interbancario, come quello dell’euribor che è tutto meno che un modello di trasparenza, una liquidità relativamente a basso prezzo che non riesce proprio ad indurre le primarie banche partecipanti a decidersi finalmente a fidarsi l’una dell’altra, cosa facilmente desumibile dall’incontestabile fatto che i tassi alle varie scadenze continuano ostinatamente a mantenersi a livelli molto più elevati rispetto a quelli che potrebbero essere definiti normali alla luce dell’attuale tasso di riferimento.
Devo dire, tuttavia, che ho molto apprezzato che Trichet non sia incorso nel rischio dell’auto incensamento, così come è da notare l’innata eleganza francese che lo ha spinto a non commentare la lunga ed articolata presa di posizione di Christine Lagarde, una donna che condivide con Sarkozy e con il presidente della Germania un giudizio non proprio lusinghiero sui banchieri di casa sua, ma, più in generale, su quelli a capo delle banche di investimento e delle banche più o meno globali ovunque basate, gente che la costringe ad interrompere le più che meritate vacanze in località esotiche, come accadde nell’agosto del 2007, e le rovina quasi tutti i fine settimana che Iddio manda in terra, anche se ha finalmente avuto la soddisfazione di far abbandonare all’ormai celeberrimo Daniel Bouton di Socgen l’incarico esecutivo che il banchiere francese si ostinava in ogni modo a voler conservare, a dispetto dei santi e di Sarkozy.
Non vi è, d’altra parte, dubbio che lo stato dei mercati non induce in alcun modo all’ottimismo, con le banche di ogni ordine e grado che non sanno se è finalmente giunta l’ora di leccarsi le più o meno vistose ferite, mentre il meltdown dell’immobiliare statunitense si estende anche all’Europa, come è testimoniato dal nettissimo calo delle domande di mutuo nell’area dell’euro ed ancor di più nella più che atlantica Gran Bretagna, con le valute forti che si ostinano, nonostante tutto, a recuperare livelli di guardia nei confronti dell’ormai evanescente dollaro e con i prezzi del petrolio e delle altre materie prime che macinano un record al giorno, mentre è meglio non parlare di quanto sta accadendo alle derrate alimentari.
Eppure, le ultime vicende nei mercati dove si trattano le materie prime e le derrate alimentari, in particolare quando quelli che ci si scambiano sono pezzi di carta relativi ad impegni ad acquistare o a vendere in futuro qualcosa che si sa sin dall’inizio che non si possiederà mai, potrebbero essere un utile case study per le studentesse e gli studenti del professore di economia di Princeton prestato alla gestione della politica monetaria in quel di Washington, anche perché la frenesia di rifarsi delle perdite subite su altri mercati non è proprio quel che si definirebbe una buona consigliera per quella che è una vera e propria orda di speculatori che rischiano, almeno la maggior parte di loro, di rimanere con il classico cerino in mano, non appena Goldman Sachs, le altre banche di investimento statunitensi, UBS ed i grandi hedge funds decideranno che è finalmente giunta l’ora di girare le proprie posizioni, determinando così un autentico bagno di sangue per i soggetti più piccoli e meno informati che si ostinano a mettersi in scia ai più grandi.
Da una tipologia di moral hazard ad un'altra, insomma, tanto quel che conta è portare a casa pane e companatico, un qualcosa che il normale mercato finanziario più o meno globale non offre nelle solite quantità, per non parlare di quella vera e propria moria prevista per le abituali stock options che rischiano di evaporare ben prima che qualcuno decida di mettere un po’ di sano ordine nel casinò della finanza globale.
Se devo essere sincero, non avrei mai pensato quel 3 di settembre del 2007, che sarei giunto alla 200^ puntata di questa avventura editoriale, o, almeno, che vi sarei arrivato senza che si intravedesse la luce, anche da lontano, in fondo al tunnel buio nel quale ci troviamo, anche se venticinque anni di gestione allegra e caratterizzata da una crescita quasi esponenziale non è certo roba che si smaltisce in pochi mesi.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/