giovedì 15 maggio 2008

Le banche italiane sotto la lente dell'Antitrust


Mentre non vi è nulla da segnalare sul fronte dell’ulteriore scivolamento delle quotazioni delle sempre più traballanti monoliner, in particolare MBIA ed Ambac esposte assieme per garanzie per complessivi mille miliardi di dollari ed oltre, e si aspettano gli outing delle altre investment e commercial banks statunitensi, dopo quello alquanto coraggioso del nuovo CEO di Citigroup, il mercato ha tirato un breve e temporaneo sospiro di sollievo dopo i dati meno peggiori delle attese sul fronte dei prezzi al consumo in aprile, al netto della prevedibile, forte crescita di quelli relativi ai generi alimentari che sembrano ormai fare a gara con la performance che quelli energetici stanno evidenziando nel mese in corso.

Nel frattempo, dopo i pesanti segnali provenienti ieri dal settore immobiliare, con la più netta flessione delle vendite di quelle case individuali degli ultimi 26 anni e con il prezzo mediano delle stesse giunto ormai a poco più di 196 mila dollari, non ha certo sollevato gli animi degli operatori la notizia che in aprile sono state avviate 243.353 nuove procedure di esproprio di case, con una crescita del 65 per cento rispetto alle 147.708 dello stesso mese del 2007, un incremento che,tuttavia, non è sufficiente per spiegare quello che è accaduto in California, Florida, Nevada ed Arizona, stati che hanno registrato incrementi delle procedure, nonché una concentrazione delle stesse, a livelli ben superiori della media nazionale.

Mentre i teorici dell’economia continuano a discutere sulle caratteristiche tecniche della recessione che per alcuni è prossima ventura, mentre per altri è bella che incorso ed anche da alcuni mesi, il consumatore medio americano si trova a fronteggiare un mix di difficoltà sul fronte della casa, su quello del prezzo crescente della mobilità e su quello ancora più caldo dei generi di prima necessità, senza, per la prima volta da decenni, poter giocare a slalom tra le predette criticità grazie al solito ricorso al credito facile ed abbondante, anche perché sempre più scosso dalle alquanto letali conseguenze derivanti dall’eccessivo utilizzo dello zip zip delle sue molteplici carte di credito e privo, al contempo, del solito e comodo rifinanziamento del mutuo consentito da quella costante rivalutazione del prezzo della casa che ha caratterizzato gli ultimi e sempre più rimpianti anni.

Anche l’ineffabile ministro del Tesoro USA, Henry Paulson, non sembra più tanto sicuro degli effetti del piano di restituzione fiscale, anche perché cresce il numero di quanti sostengono che un assegno che va dai 600 dollari per i single ai 1.200 previsti per le coppie in cui entrambi i coniugi lavorano, difficilmente sarà in grado di fare qualcosa di più che consentire un attimo di sollievo rispetto al crescente indebitamento delle famiglie, mentre verrà visto come un qualcosa di veramente ridicolo da chi ha perso la casa, il lavoro o, come sempre più di frequente accade, entrambe le cose.

Di più, c’è un numero crescente di rompiscatole che continua ad insinuare che i 165 miliardi previsti dal piano di restituzione fiscale non siano altro che uno dei tanti sostegni diretti ed indiretti che le autorità monetarie ed il governo statunitense stanno mettendo in campo in favore delle banche, delle finanziarie e degli altri soggetti operanti nel mercato finanziario statunitense, che, come è sempre utile ricordare, costituisce la parte più rilevante dell’immenso mercato finanziario globale, un’ulteriore manina che si aggiunge ai forsennati tagli ai tassi di interesse, agli interventi senza precedenti a sostegno del mercato interbancario, per non parlare di quelle immense discariche a cielo aperto intasate di titoli della finanza strutturata gentilmente aperte dal compiacente Bernspan e dai suoi colleghi europei ed asiatici.

Con il solito ritardo dovuto alle diverse regole imperanti al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico, iniziano finalmente a pervenire in questi giorni le radiografie dell’andamento dei conti delle banche europee nel primo trimestre di questo anno bisesto che si manifesta sempre più come un anno funesto, conti, che, in particolare per le maggiori tra le banche francesi così come per le prime della classe tra le italiane, sono proprio tutt’altro che esaltanti.

Forse perché presenti nell’ancora inedita lista dei banchieri ammessi alla ormai famosa cena di quel venerdì di metà aprile a Washington nel corso della quale furono costretti a sorbirsi le ramanzine e le minacce neanche troppo velate provenienti dagli ex colleghi Draghi e Paulson, i vertici di Socgen, Credit Agricole, BNP Paribas, Unicredit Group ed Intesa-San Paolo non si sono potuti esimere dal mostrare in tutta la sua evidenza un calo dell’utile netto che in più di un caso è equivalso al dimezzamento dello stesso, mentre nessuno ha cercato di nascondere a sé stesso ed agli analisti che difficilmente il resto dell’anno si presenterà a tinte più rosa.

Per uno strano scherzo del destino, le minori flessioni del risultato netto registrate dalle tre banche francesi si sono accompagnate, almeno per l’Agricole e Socgen, a mega svalutazioni legate alla crisi dei mercati finanziari (mentre svalutazioni di importo nettamente minore sono presenti nei conti di BNP Paribas), mentre i due colossi italiani del credito continuano a segnalare criticità minori su questo fronte, anche se la controllata tedesca di Unicredit Group, continua a destare non poche preoccupazioni dalle parti di Piazza Cordusio.

Almeno per il momento, inoltre, soltanto il Credit Agricole ha ritenuto di doversi rivolgere ai propri azionisti ed al mercato per sollecitare un immediato aumento di capitale per la non proprio piccola cifra di 5,9 miliardi di euro, anche se va ricordato che Socgen è appena reduce dall’aumento resosi necessario dopo il buco di poco meno di 5 miliardi di euro (mentre non è ancora quantificato quello conseguito sul piano reputazionale) attribuito, come spesso avviene in questi casi, al solito trader infedele.

Mentre le banche francesi si leccano le ferite, quelle italiane sono già alle prese con un’altra grana derivante dall’istruttoria appena aperta nei confronti di dieci banche da un alquanto furente Catricalà, un uomo che ha subito sulla sua stessa pelle gli effetti della ostinazione delle banche nel non attuare in pieno le disposizioni delle lenzuolate di Bersani e gli stringenti chiarimenti contenuti nell’ultima legge finanziaria in merito alla piena e gratuita trasferibilità dei mutui.

Il particolare curioso è dato dal fatto che, anche per effetto del processo di concentrazione in corso, ben quattro delle banche messe sotto esame dall’Antitrust appartengono ad Unicredit Group (Unicredit, Banca di Roma, Bipop-Carire e Banco di Sicilia), mentre le altre sono Intesa-San Paolo, BNL, Monte dei Paschi di Siena, Antonveneta, UBI, Deutsche Bank Italia, Carige, Banca Popolare di Milano e Banca Sella, quindi le banche citate dai giornali sono in realtà, e per la precisione, tredici e non dieci.
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Ricordo che il diario della crisi è presente anche sul mio blog http://www.diariodellacrisi.blogspot.com/ e che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/