venerdì 23 maggio 2008

Cantami o diva di Warren Buffett l'ira

skip to main | skip to sidebar

Se fossi nei panni dei top manager di Moody’s non sarei assolutamente tranquillo dopo le dichiarazioni rese alla stampa a Milano dal leone di Omaha, Warren Buffett, anche perché, al di là della normalità ostentata e della bonomia abituale, gli si leggeva in faccia che era, parlando in linguaggio “polite”, molto ma molto arrabbiato per lo scandalo che sta emergendo in questi giorni sugli errori nell’assegnazione dei ratings ad un elevato numero di titoli della finanza più o meno strutturata, ma ancor di più per il fatto che pare incontrovertibile che ai piani alti della società, di cui lui è, con il 19,6 per cento, il maggior azionista.

Come ho più volte avuto modo di ricordare, Buffett è noto per chiedere un posto nel consiglio di amministrazione delle società delle quali, direttamente o attraverso Berkshire, diviene azionista più o meno rilevante, anzi credo che sondi prima il Board of Directory della società in merito a questa possibilità che è per lui fondamentale per comprendere dall’interno quelle caratteristiche aziendali che non si possono desumere da una lettura, per quanto attenta dei bilanci ufficiali.

Non sono state poche le situazioni nelle quali gli importanti uomini di affari membri del Board della società che aveva attratto l’interesse del miliardario americano si sono sentiti oggetto di un attento ed a volte severo esame da parte di un uomo che, partendo veramente dal nulla, ha raggranellato un patrimonio personale che è stimato intorno ai 69 miliardi di dollari, arricchendo al contempo quanti hanno creduto nelle sue capacità sin dai suoi esordi.

Il leone di Omaha non è soltanto la personificazione dell’American Dream per il suo successo negli affari, ma anche perché impersona uno stile di vita alquanto semplice e rifugge da tutti quegli eccessi che normalmente caratterizzano i nuovi ricchi ed è proprio a partire dai valori classici dell’uomo medio americano, in particolare l’intolleranza assoluta nei confronti delle menzogne e dei raggiri, che credo sinceramente che quello che accadrà ai piani alti della più importante agenzia di rating statunitense sarà uno di quei repulisti che verranno ricordati per molto tempo all’ombra del Wall.

E’ proprio vero che in ogni trama che si rispetti, alla fine il colpevole di un delitto è sempre il maggiordomo (ossia, il più sospettabile) e non è un caso che, sin dall’inizio della tempesta perfetta, molti strali si sono addensati proprio sul ruolo quanto meno equivoco e in odore di conflitto di interessi giocato dalle agenzie chiamate a valutare la bontà dei titoli della finanza più o meno strutturata, ma che possedevano tutte un ramo separato che vendeva a peso d’oro la sua attività consulenziale che era quasi sempre appropriata allo scopo degli emittenti: quello di ottenere il massimo rating senza il quale non sarebbe stato possibile vendere i titoli emessi ai fondi pensione, ai fondi di investimento e al parco buoi.

Anche se lo scandalo di Moody’s non stupirà quasi nessuno tra gli smaliziati operatori di Wall Street, credo proprio che della vicenda si approprierà in modo molto bipartisan la politica, il che in un anno che vedrà la scelta del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, nonché il rinnovo semi completo dei due rami del parlamento, non promette niente di buono per gli abitanti di Wall Street, di cui i candidati stanno dicendo già da tempo tutto il male possibile, anche perché i loro vizi ed i loro peccati, vengono invariabilmente confrontati con le ipotetiche virtù dello sterminato numero degli abitanti di Main Street.

Che stia per accadere qualcosa di grosso in termini di nuova e più stringente regolamentazione delle attività finanziarie lo devono avere capito anche i sempre più frastornati operatori che oggi sembra proprio che stiano esercitandosi nel tiro al piattello delle principali banche e compagnie di assicurazione, nonché della sullodata Moody’s, tingendo così di rosso una settimana che, negli auspici degli ottimisti, avrebbe dovuto registrare l’inizio della vera inversione di rotta dei mercati dopo tanti mesi di sofferenza.

Quello che più si teme ai piani alti delle Investment Banks e della miriade di entità che popolano il grande casinò della finanza è che, già a luglio in Giappone, il vertice dei sette grandi del pianeta decida di passare dale parole ai fatti e faccia, quindi, proprie le 65 raccomandazioni presentate a metà aprile dal Presidente del Financial Stability Forum, l’italiano Mario Draghi, e che le stesse possano essere molto più simili alla versione originale di quanto sperassero, in modo molto interessato, i partecipanti a quella tragica cena, tenutasi sempre a metà aprile, nel corso della quale i ministri economici ed i governatori delle banche centrali pare abbiano detto al gotha del sistema finanziario globale che non vi erano più margini di salvataggio per nessuno e che non sperassero in riedizioni di quello che aveva avuto ad oggetto le spoglie dell’orso di Stearns.

Non credo sia utile fare il conto dei morti e dei feriti in questa desolante chiusura di ottava, anche perché non mi stancherò mai di ripetere è che l’ultimo indicatore che bisogna osservare in questa fase è quello rappresentato dai listini azionari, mentre continua ad essere molto significativo il livello dei tassi interbancari, l’ulteriore liquefazione del dollaro ed i livelli toccati dai prezzi delle materie prime energetiche e delle derrate alimentari, anche perché ormai stanno spingendo ogni giorno che passa verso quello scenario di stagflazione di cui si è accorta anche Morgan Stanley che inizia a temere i livelli negativi dei tassi di interesse reali negli Stati Uniti, ma che teme che lo stesso possa accadere in Europa a partire dalla seconda metà del 2008.

L’ennesima notizia negativa proveniente dall’ormai disastrato settore immobiliare, con lo stock annualizzato di case invendute ormai ai livelli più bassi degli ultimi 23 anni e l’ulteriore tonfo dei prezzi delle stesse, non rappresenta che l’ennesima ciliegina sulla torta, mentre quasi più nessuno crede nella possibilità che il tanto sbandierato piano per aiutare un milioncino di mutuatari vedrà realmente la luce o sia in grado di portare la calma sui mercati.

Ho trovato molto interessante l’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica in edicola oggi dall’avvocato Mussari, presidente del Monte dei Paschi di Siena e fino a poco tempo fa presidente anche dell’omonima Fondazione, un interesse non tanto legato alle pur giuste osservazioni sulle cause della tempesta perfetta in corso, osservazioni che peraltro lui stesso attribuisce ad altri, quanto alla sua abilità nello schivare le domande più insidiose postegli dal giornalista che voleva sapere se questo terzo polo bancario è da considerarsi realizzato con l’acquisizione di Antonveneta o se vi è qualcosa di altro all’orizzonte.

Anche in questo caso, non voglio assolutamente sciupare la sorpresa del lettore e rinvio volentieri al testo originale, ma quello che mi preme dire è che sembrava che il giovane e brillante avvocato calabrese di origine, ma senese d’adozione, si aspettasse proprio le domande che gli venivano rivolte, d’altra parte, se no, che ci starebbe a fare dove stà?


Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org

Nessun commento: