sabato 31 maggio 2008

Investitori istituzionali sotto inchiesta per l'oil!


Sembra avviarsi a soluzione uno dei maggiori misteri della tempesta perfetta in corso, sostanzialmente rappresentato dall’operare concreto degli investitori istituzionali, in particolare fondi pensione, fondi di investimento ed hedge funds, proprio quei soggetti cui l’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale, presentato poche ore prima dell’avvio dei lavori dell’ultimo G7 finanziario di metà aprile, addebita perdite finali nell’astronomico ordine di 665 miliardi di dollari, perdite almeno doppie rispetto a quelle previste per le Investment Banks e le banche più o meno globali.

Ebbene, proprio ieri è finalmente trapelata la notizia che il temutissimo Coomodities Futures Trading Commission (CFTC), sì proprio la commissione che inchiodò Raul Gardini alle sue responsabilità in merito al trading di futuri sulla soia e chiuse d’autorità le posizioni che avevano reso la Ferfin monopolista per un intero raccolto dell’importante derrata alimentare, sta facendo lavorare alacremente i suoi esperti da oltre sei mesi per verificare l’operatività in materia di futures sul petrolio e le altre materie prime, derrate alimentari comprese, con particolare riferimento ai comportamenti degli investitori istituzionali che stanno agendo aggressivamente e con scommesse one way che, in scia all’indubitabile aumento della domanda cinese di petrolio, si stanno mostrando come dellle self fulfilling prophecies e mandando letteralmente alle stelle il prezzo del greggio e quello della benzina e del gasolio alla pompa.

Non posso dimenticare una infuocata riunione sull’argomento dell’incidenza dei derivati sui prezzi dei beni sottostanti la scommessa finanziaria svoltasi negli anni Novanta, una riunione nel corso della quale osai porre timidamente la questione della stessa liceità di scommesse che nel 99 per cento dei casi già allora non si traducevano in effettivi scambi fisici del prodotto sul quale la scommessa stessa veniva effettuata, innocente domanda che scatenò un vero e proprio putiferio non degno dei corsi di comunicazione cui tutti i partecipanti si erano diligentemente sottoposti, con il risultato che la domanda non ottenne risposta e per poco non volarono le sedie ed i blocchi per gli appunti di cui eravamo tutti dotati.

Dalle testimonianze di alcuni manager di hedge fund di fronte ai membri del Congresso degli Stati Uniti d’America, è, per esempio, emerso che, solo nei primi 52 giorni lavorativi di questo invero orribile 2008, gli investitori istituzionali hanno messo sul piatto di questo particolare casinò della finanza la bellezza di 55 miliardi di dollari (per dare soltanto un’idea, ricordo che Hillary Rodham Clinton realizzò qualche tempo fa centomila dollari grazie ad una scommessa di soli mille dollari), una scommessa che avrebbe consentito di realizzare, ove l’operazione fosse stata chiusa al record di 135 dollari al barile, una vera e propria fortuna ai fortunati detentori dei preziosi tickets, mentre si è scoperto che, negli ultimi cinque anni, gli investimenti in indici collegati, appunto, alle materie prime più o meno energetiche, sono passati dai 13 ai 260 miliardi di dollari.

Per onestà intellettuale, va ricordato che il solo aumento della domanda di petrolio nel corso dello stesso quinquennio da parte della sola Cina è stato pari a 920 milioni di barili, mentre la domanda di futures è stata pari a 848 milioni di barili, ma è altrettanto evidente che, sommando i due fenomeni, il prezzo del petrolio non poteva che risentirne drammaticamente, il che si è puntualmente verificato, pur in presenza da sei mesi almeno di un sensibile rallentamento dell’economia americana, di un più moderato rallentemanto nell’area europea e di non lievissimo rallentamento in Cina e negli altri paesi asiatici.

La strategia degli investitori istituzionali aveva, ricordano sempre i manager rudemente intervistati dagli infuriati politici pressati a loro volta dai loro elettori, era basata, da un lato, sul tentativo di prevenire un eccesso di inflazione (sic), mentre, dall’altro, vi era il neanche troppo celato di rifarsi di quel vero e proprio bagno di sangue legato al meltdown in corso in pressocché tutti i comparti del mercato finanziario statunitense, così come in quello globale, una discesa media che è ormai introno al 50 per cento rispetto ai massimi di inizio 2007, mentre per alcune categorie come quella delle compagnie di assicurazione monoline è meglio non fare confronti con i massimi toccati appena un anno fa senza avere un cuore veramente forte.

Non va sottovalutato, inoltre, il piccolo particolare rappresentato dal massiccio delisting di tutte quelle banche specializzate nel mortgage che hanno fatto ricorso in massa e nello stesso week end alla protezione della legge fallimentare statunitense, il che non solo ha impedito alle banche di grandi dimensioni di rivalersi su di loro per le “sole” ricevute, ma anche ridotto a zero il valore delle azioni di queste entità possedute dagli investitori istituzionali nei loro molto diversificati portafogli.

Come non mi stancherò mai di ripetere, i sentimenti dominanti nel mercato finanziario locale e globale sono la paura e l’avidità, entrambe pessime consigliere, sentimenti cui non sono certo immuni gli amministratori delegati ed i presidenti pagati in oro un tanto al chilo, persone che sono talmente panicate che non riescono nemmeno più a dotarsi di quegli opportuni strumenti di stop losses e take profit rigidamente imposti invece ai loro collaboratori, il che li porta a non comprendere quando un gioco altamente speculativo deve trovare la sua opportuna e redditizia conclusione,anche al sano fine di non essere travolti dallo scoppio della stessa gigantesca bolla speculativa che si è contribuito a creare.

Come sto ripetendo da giorni, il gioco in corso sul mercato dei derivati del petrolio e di tutte le altre materie prime è condotto da Goldman Sachs, dalle altre tre appartenenti al gruppo delle Big Four (dopo la scomparsa prematura dell’orso di Stearns), dalle banche più o meno globali e, the last but not the least, dagli investitori istituzionali, hedge funds, ovviamente, in testa, per finire infine ai medi, piccoli e piccolissimi individuals che si sono messi sulla scia di questa variegata flotta non avendo, spesso, neanche il salvagente a bordo delle loro fragili imbarcazioni esposte agli alti marosi della tempesta perfetta in corso.

Consiglio vivamente a tutti i naviganti, in particolare ai piccoli tra di loro, di osservare attentamente i segnali sempre più vistosi di scricchiolio provenienti dalle quotazioni e di non fidarsi assolutamente dei reports in pieno conflitto di interessi provenienti dagli esperti in carico a Goldman o altre grandi entità che stanno facendo da apripista di questo pericoloso gioco altamente speculativo, a meno di non utilizzarli per fare esattamente il contrario di quanto sarebbe logico fare in base a quanto vi è scritto, anche perché, personalmente, non modifico la previsione fatta l’ultimo giorno del 2007 e che vede il prezzo del barile nel 2008 a 75 dollari, con l’euro a 1,70 dollari e lo yen nell’area dei 90-95 contro dollaro.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/