martedì 27 maggio 2008

Geronzi dixit sed Arpe fecit

Credo proprio che i banchieri italiani ed europei avrebbero preferito oggi essere americani per godere della pausa dei mercati azionari legata al Columbus Day (e poi dicono che gli italiani sono contrari alla mobilità!) per evitare il protrarsi del bagno di sangue che sta colpendo in particolare le grandi banche italiane e non poche banche europee ormai da molti mesi, anche se alcuni dei problemi sono addirittura precedenti all'inizio della tempesta perfetta.
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Approfitto anche io della festività statunitense che mi lascia alquanto disoccupato e, peraltro, in giro per l'Italia, anche perché è nei giorni di chiusura di Wall Street che è possibile vedere quanto ancora sia rilevante il peso degli USA nel mercato finanziario globale, per fare un ragionamento un po' più approfondito su quanto sta accadendo nel sistema bancario italiano, che, lo ricordo a chi si è messo in ascolto soltanto ora, è dal 2005 alle prese con la terza, e credo proprio non ultima, fase di ristrutturazione e di concentrazione.
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Le prime due fasi appartengono ormai al passato, ma vorrei ricordare che molte delle contraddizioni attuali sono proprio legate alle modalità che, dopo la grande innovazione normativa e regolamentare iniziata nei primi anni Ottanta e che aveva semplicemente dato luogo alla scissione tra le banche pubbliche in senso lato ed i soggetti cui ne veniva conferita la proprietà, hanno accompagnato la costruzione dei due macro gruppi, Unicredit ed Intesa, due entità diverse tra di loro come il giorno e la notte, tranne che per le criticità legate al modello su base federale che ne ha accompagnato lunga parte della storia, prima di essere dismesso come un panno vecchio.
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Come si sa, le ombre dei peccati, in particolare di quelli originali, hanno il brutto vizio di proiettare le proprie lunghe ombre molto lontano nel futuro, ed è proprio questo il caso della governance dei due maggiori gruppi creditizi, nei quali le Fondazioni bancarie, uscite dalla porta, sono bellamente rientrate dalla finestra, anche se, come direbbe un mio carissimo amico, con garbo.
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Entrando nella terza fase del processo di concentrazione, che nasce dopo il tentativo, riuscito ma con qualche differenza rispetto ai progetti iniziali, di due banche estere di acquisire due banche italiane di stazza medio grandi e il vero e proprio sconcerto di Corrado Passera e Alessandro Profumo nello scoprire che i gruppi da loro guidati ed altre banche più importanti di quelle appena acquisite dagli stranieri non sono più al riparo da taKe over più o meno ostili, ma che, anzi, i possibili autori della scalata ce li hanno in casa da anni ed in posizioni di tutto rispetto, anche se di nessun comando.
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Pensa che ti ripensa, Corrado ed Alessandro, così come Cesare Geronzi e gli azionisti italiani di San Paolo-IMI, decidono che bisogna proprio bruciare i tempi e nel gior di pochi mesi accadono le due fulminee operazioni, che danno luogo, spesso dopo poco più di una telefonata tra i massimi vertici, neientepopodimeno che ad Intesa-San Paolo e ad Unicredit-Capitalia (subito ribattezzato Unicredit Group).
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Ma i peccati originali di cui parlavo sopra hanno creato subito un problema: come si fa ad accontentare tutti i partecipanti alle due operazioni che, in realtà sarebbero lineari visto che Intesa ha acquistato il San Paolo e Unicredit ha acquisito Capitalia, ma che in realtà lineari non lo sono per nulla, in quanto si è soltanto eseguito un arrocco difensivo al grido di dalli allo straniero?
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Si trattava di qualcosa di più difficile di koan zen o degli indovinelli della sfinge egiziana, ma il genio italico ha prevalso ed ecco che la soluzione venne trovata nella Mitbestimmung alla amatriciana, prendendo del modello duale soltanto il nome, infatti, i nostri legislatori avevano previsto, in luogo dell'obsoleto modello di governance monocratico, la possibilità di avere amplissimi consigli di governance e meno ampi, ma non troppo, consigli di gestione.
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La cosa divertentente di tutto ciò è che era talmente evidente lo scopo reale che aveva spinto i banchieri nostrani ad abbracciare il nuovo modello che gli unici sacrificati nelle fusioni sono stati alcuni componenti dell'ormai preistorico collegio sindacale, che, secondo logica e spirito della pur mal fatta legge, dovevano costituire l'ossatura del consiglio di sorveglianza (come, peraltro, dice la parola stessa).
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Ma poi come si fa a far contenti tutti i vecchi azionisti, dalla grande Fondazione al costruttore che garantisce gli equilibri, come si fa a trovare posto per tutti? Semplice, via una parte di questi sindaci e spazio a tutti gli altri, anche se accontentare tutti, come suol dire il banchiere anziano di Marino, non è sempre possibile.
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Mai come nel caso dei due colossi creditizi italiani, il mercato ha capito tutto sin dall'inizio e non si è fatto scrupoli di fare strage delle quotazioni ex ante, così come ha fatto per quel vero capolavoro che è stata l'acquisizione "fulminea" della sola Antonveneta a molto di più di quello che gli scozzesi avevano pagato per l'intero pacco; ma credo proprio che il bello è acora di là da venire, ma, soprattutto, che molto poco di buono può venire da operazioni congegnate per escludere qualcuno (Arpe dixit) piuttosto che per fare qualcosa.