Sta suscitando molto scalpore in Italia la rivolta dei lavoratori britannici contro le maestranze italiane impegnate da una ditta che ha vinto un appalto per la realizzazione di una raffineria nel regno Unito, una situazione alquanto incresciosa che vede un centinaio di italiani bloccati sotto la protezione di un vasto schieramento delle forze dell’ordine inglesi nella nave-alloggio nella quale sono ospitati, una protesta che lo stesso premier Gordon Brown ha giudicato intollerabile e inqualificabile, il che, tuttavia, non ha impedito al governo di Sua Maestà britannica di dare prontamente il via a una commissione di inchiesta sugli appalti ottenuti da ditte straniere, in particolare se con operai al seguito, in Gran Bretagna.
Purtroppo, la reazione degli inferociti disoccupati britannici non rappresenta un episodio isolato, in quanto nel corso del weekend è apparso in rete un lungo articolo dell’Associated Press che denuncia il fatto che negli ultimi sei anni le dodici banche a stelle e strisce destinatarie di 150 miliardi di fondi pubblici hanno richiesto alle autorità competenti l’autorizzazione ad assumere 21.800 lavoratori stranieri, spesso destinati a ricoprire ruoli di rilievo, una situazione che è andata in totale controtendenza con l’ondata di licenziamenti avvenuti nel settore negli ultimi due anni e che ha portato a un incremento di poco meno del 30 per cento di questa particolare forma di immigrazione di vice presidenti, analisti, legali specializzati in questioni legate alla finanza, gestori di human resources e via discorrendo, caratterizzati da una retribuzione media di 90.721 dollari, al netto ovviamente dei famosi bonus che stanno facendo infuriare Obama e i suoi più stretti collaboratori.
Ben due eletti dal popolo degli Stati Uniti d’America nel corso dell’Election Day svoltosi nei primi giorni di novembre 2008, hanno deciso di dedicare il loro preziosissimo tempo per redigere una proposta di legge che ha come principale obiettivo quello di dare le occasioni di lavoro ai soli cittadini americani, una pensata che sostituisce l’America First con Americans First e che è molto in linea con quelle alquanto balzane idee che le fervide menti partorite dalla Padania sono solite sfornare un giorno sì e l’altro pure e che puzzano di xenofobia lontano un miglio!
Non è peraltro un caso se gli sforzi del ministro svizzero incaricato di coordinare i lavori di un nutrito numero di suoi colleghi stranieri presenti a Davos sulla globalizzazione e sullo sblocco delle difficoltà che rendono impossibile il raggiungimento di un’intesa sugli appositi negoziati bloccati oramai da anni siano stati del tutto vani, con buona pace della infervorata allocuzione di Frau Merkel, la cancelliera tedesca che è ecologista finché non si toccano gli interessi delle aziende manifatturiere tedesche ed è una fervente paladina della globalizzazione per il semplice motivo che ha una fifa blu che un’eventuale ondata protezionistica finisca per ledere il surplus tedesco nella bilancia commerciale, ma che ha in odio la tendenza dei suoi concittadini ad approfittare dei paradisi fiscali più o meno sulla lista nera dell’agenzia mondiale che si occupa di contrastare il riciclaggio di capitali legato alla delinquenza economica, inclusa quella dei colletti bianchi, al narcotraffico e al terrorismo jadista e non.
Chiunque abbia anche solo una vaga nozione della storia economica e, più in particolare, dei tristi capitoli legati alle ricorrenti crisi economiche e/o finanziarie, sa benissimo che una delle vittime predestinate della tempesta perfetta in corso ininterrottamente da poco meno di diciannove mesi è proprio quel fenomeno noto come globalizzazione, così come accadde con la crisi del 1929 e la successiva Grande Depressione che mandarono letteralmente in soffitta la globalizzazione sviluppatasi a cavallo del 1900 e che, prima del grande crollo del 1929, aveva in larga misura provocato la prima tempesta perfetta, quella del 1907 che a paragone di quella in corso era poco più che un ondeggiamento in un bicchiere d’acqua!
Se qualcuno si fosse preso la briga di ascoltare i discorsi di Vladimir Putin e di Wen Jiabao in apertura dei lavori di Davos, avrebbe facilmente compreso come quello della possibile inversione di marcia sul cammino della piena libertà di movimento delle persone, dei capitali e delle merci sia stato il vero tema dominante, forse ancor più delle tristi conseguenze della crisi finanziaria e dei travagli dell’economia cosiddetta reale, una preoccupazione particolarmente sentita dai leaders della Russia e della Repubblica Popolare Cinese che, a torto o a ragione, si sentono le principali vittime di quanto è accaduto negli ultimi anni a Wall Street e dintorni e che vedono drammaticamente sfumare i loro sogni di egemonia nel terzo millennio.
Tralascio le ambasce di quella cricca di ex appartenenti al PCUS e al KGB che hanno visto polverizzarsi i loro gruzzoli miliardari in dollari e in euro, così come i crucci del loro capo indiscusso al di là della carica che volta per volta assume, ma credo proprio che l’Occidente dovrebbe preoccuparsi, e anche molto, delle conseguenze della brusca frenata dell’economia cinese, uno stop che viene solo parzialmente espresso dalle cifre ufficiali e che sta inducendo ad un fenomeno di ritorno nelle campagne di decine di milioni di donne e di uomini che avevano contribuito, spesso in condizioni veramente disumane, al balzo in avanti di un paese dalle dimensioni continentali e che ospita un quarto degli abitanti del pianeta.
La stima della nuova falcidia di buste paga statunitensi in gennaio e il previsto concomitante raggiungimento della soglia psicologica del 7,5 per cento di disoccupati non aiuterà certo a mitigare quel vento protezionistico che sta agitando, dalla costa atlantica a quella pacifica, gli Stati Uniti d’America e la stessa prevista nomina di un senatore repubblicano alla poltrona di ministro del Commercio, così come la decisione di mantenere Robert Gates alla Difesa, non promettono davvero nulla di buono!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .