C’era un’aria molto mesta tra i partecipanti alla tavola rotonda indetta da Goldman Sachs poche ore dopo il discorso nel corso del quale il nuovo ministro del Tesoro, pur tenendo accuratamente coperte buona parte delle sue carte, ha delineato le sue intenzioni sull’utilizzo dei 350 miliardi previsti dalla seconda tranche del TARP approvato nell’ottobre del 2008 da un Congresso terrorizzato all’idea che, dopo il fallimento di Lehman Brothers, potesse andare letteralmente a carte quarantotto l’intero sistema creditizio statunitense, il che avrebbe determinato il collasso del mercato finanziario globale.
La riunione, presieduta dai due vicepresidenti di Goldman, John Winkelried e Gary Cohn, ha visto la partecipazione di alti esponenti di una ventina di hedge funds e private equity ed è stata smentita fino a che ciò è stato possibile, cioè sino a quando un bravo reporter d’assalto è riuscito a ottenere dichiarazioni da alcuni dei partecipanti che ha riportato in un breve articolo per CNBC, al che l’ultima difesa dei vertici della potente e molto preveggente Goldman hanno ammesso che la riunione vi è stata ma era stata programmata da tempo, peccato che i loquaci partecipanti hanno confessato di essere stati convocati su due piedi e di aver deciso di partecipare a quella sorta di funerale delle residue speranze che il successore dell’amico Paulson avrebbe continuato a pensare prima ai loro interessi che a quelli dei milioni di donne e uomini americani che hanno perso la casa, il lavoro, mentre una parte rilevante di loro li hanno purtroppo persi entrambi!
Certo, si i padroni di casa che gli esponenti di entità quali KKR, Fortress Investment Group, Bain Capital, Perry Capital, Putnam e Citadel, hanno condiviso le forti preoccupazioni per la ventata di aria nuova che proviene dalla Casa Bianca e dintorni, così come si confermavano a vicenda nell’idea che di quel giovane civil servant di Geithner c’era davvero poco da fidarsi, in quanto ha, almeno ai loro occhi, due principali difetti, quello di essere maledettamente bravo e di non essere uno di loro, avendo vissuto tutta la sua vita professionale tra il Tesoro, organismi internazionali e, infine, presidente della più importante tra le banche che costituiscono il sistema della riserva federale, sì, proprio quella Fed di New York che ha aperto sin dall’inizio della tempesta perfetta la più grande discarica di titoli più o meno tossici della finanza strutturata e che è stata al centro di tutte le operazioni di salvataggio avvenute in questi venti mesi di turbolenze finanziarie, anche se non è mai stata chiarita la sua posizione in merito alla decisione presa dal trio Bush-Paulson-Bernspan di togliere bruscamente dalla scena Lehman Brothers, forse la più temibile rivale di Goldman Sachs.
Come ho avuto modo di ripetere più volte in questi mesi, il fallimento di Lehman rappresenta forse il capitolo più oscuro della tempesta perfetta, una decisione assolutamente illogica e in assoluto contrasto con le stesse motivazioni che hanno condotto alla nazionalizzazione di colossi come Fannie Mae, Freddie Mac, American International Group, al salvataggio di Bear Stearns, Merrill Lynch, Wachovia Bank, Countrywide, Washington Mutual, tutte operazioni gestite da un team che ha avuto sempre al centro il quarantasettenne presidente della Fed di New York, mentre, ripeto, nulla si sa del suo ruolo nella decisione che ha portato fatalmente il sistema finanziario globale sull’orlo del precipizio, come ebbe a sostenere il numero uno del Fondo Monetario Internazionale in margine al vertice del G8 che decise di tentare il possibile e anche l’impossibile per correre ai ripari.
Come ha sostenuto George Soros nei due articoli pubblicati dal quotidiano La Repubblica, alla base della peggiore decisione presa dall’ex (?) investment banker Paulson nel corso della sua lunga e fortunata carriera vi sarebbe il suo fondamentalismo mercatista, un’opinione che non condivido e che credo sia dovuta più che altro ad una comprensibile reticenza di Soros su un argomento molto delicato, anche perché una persona attenta come lui non può avere ignorato l’evidente metamorfosi in senso statalista del banchiere di investimenti già agli albori della tempesta perfetta, un cambiamento fattosi via, via più evidente nei mesi successivi, quando divenne chiaro a lui come a tutti che non era assolutamente possibile trovare una soluzione mobilitando le risorse private, anche perché nessuno, come Hank, era perfettamente consapevole delle effettive dimensioni della montagna di titoli della finanza strutturata, così come gli bastava uno screen allo schermo del suo computer o una telefonata alla ‘sua’ banca per aver un’idea di quanto stesse montando l’altrettanto gigantesco ammontare dei Credit Default Swaps, così come era del tutto consapevole che si trattava, almeno all’incirca, di 150 mila miliardi di dollari!
Così come non è del tutto un caso, se, non più tardi di tre mesi dopo il suo insediamento al ministero del Tesoro, il suo successore in Goldman, Larry Blankfein, approvò, nel settembre del 2006, l’apparente balzana idea del Chief Financial Officer, David Viniar, di girare le posizioni della banca, vendendo il vendibile alle altre banche statunitensi e a quelle più o meno globali, decisione che fu poi imitata, seppure con un ritardo di due-tre mesi, dal colosso extracomunitario UBS, due mega operazioni che non indussero immediatamente sospetti nei concorrenti, inizialmente felici di rafforzare le proprie posizioni in filoni di attività che si presentavano ancora come lucrosissime e relativamente sicure, ma che non consentirono comunque alle due banche di liberarsi completamente dei prodotti tossici, ma che hanno certamente permesso loro di non fallire.
Quello che nessuno ha mai spiegato è come mai Paulson avvertì le principali banche operanti negli Stati Uniti d’America dei rischi connessi alla finanza strutturata, con particolare riferimento ai CDO soltanto nei primi mesi del 2007? Possibile che nessuno dei suoi ex partners in Goldman Sachs avesse sentito la necessità di informarlo di quanto stava avvenendo nella banca che aveva guidato con pugno di ferro per così lungo tempo?
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .