L’approccio di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti allo strategico snodo rappresentato dal credito è stato da me illustrato in decine di puntate del Diario della crisi finanziaria, ma credo che sia necessario osservare le mosse dell’ibrido Bermonti da un’ottica leggermente diversa se si vuole comprendere il nesso tra la loro posizione sul controllo, diretto o indiretto non fa, in realtà, grande differenza, di quella parte del settore bancario italiano costituita dai primi cinque gruppi creditizi, che hanno accorpato, nell’arco di un quindicennio, centinaia di istituti di ogni dimensione.
Per quanto riguarda le fragilità e i ritardi dei primi cinque gruppi bancari italiani, rinvio alle cinque puntate del Diario della crisi finanziaria apparse nel mese di luglio del 2008, anche perché è proprio da questi ritardi e da queste fragilità che è possibile comprendere più agevolmente le ragioni della facilità con la quale Giulio Tremonti è riuscito a mettere sotto scacco i vertici di conglomerati che, messi tutti assieme, presentano un totale dell’attivo di dimensioni mostruose, ma che, sul piano dell’influenza politica sono poco più che dei nani, anche perché gran parte degli attuali esponenti di vertice sono visti, a torto o a ragione, come facenti parte di quel complesso finanziario-industriale che non solo si è pervicacemente rifiutato di riconoscere aspetti positivi e condivisibili nella filosofia economica implicita alla strategia politica incarnata da Silvio Berlusconi quale elemento di punta dello schieramento delineato nelle puntate precedenti, ma avrebbe anche costituito la sponda di quella parte dello schieramento politico avverso che è largamente influenzata dal ‘nemico’ numero uno Carlo De Benedetti!
La prima preda nella vorticosa campagna acquisti di Bermonti nel settore bancario è stata certamente rappresentata da Corrado Passera, uno dei due ex enfante prodige della finanza italiana, reo, peraltro, di aver intrecciato parte della sua esperienza professionale con lo stesso De Benedetti sino all’epoca della rottura consumatasi per ragioni che rimangono ancora del tutto oscure, che sembrava sulla via dell’uscita anche dal mega gruppo che aveva attivamente contribuito a costruire nella terza fase del processo di ristrutturazione del sistema creditizio italiano, grazie alla pressoché fulminea conquista del San Paolo-IMI, mentre nel carniere di Intesa era già finito in precedenza un pezzo di pregio quale la Banca Commerciale Italiana, orridamente smembrata e scomparsa perfino dal logo della banca acquirente (non credo sia il caso di ricordare come la Comit sia stata l’emblema storico della finanza laica e la Cariplo, elemento aggregante di Intesa, sia stata da tempo immemorabile un feudo della finanza cattolica).
L’acquisizione di Passera è avvenuta nel pieno della campagna elettorale, quando, l’entrata a gamba tesa effettuata dall’allora leader dell’opposizione, ma accreditato come sicuro vincitore delle elezioni, sulla trattativa in corso tra le nove sigle presenti in Alitalia e l’amministratore delegato dell’acquirente Air France-KLM, lo chiamò esplicitamente in causa, non provocando, come sarebbe stato doveroso da parte di un banchiere, un’esplicita smentita, bensì molto eloquenti ammiccamenti che fecero aumentare gli storici mal di testa del suo presidente, Giovanni Bazoli, amico e sostenitore di Romano Prodi, una scelta di campo che ribaltò i rapporti di forza tra l’amministratore delegato e il presidente e che, a vittoria elettorale certificata, diede luogo al conferimento allo stesso Passera del ruolo di Advisor ufficiale del Governo nella straordinaria procedura di vendita della compagnia di bandiera alla ventina di imprenditori volenterosi capitanati da un altro ex compagno di avventura di De Benedetti, quel Roberto Colaninno che, qui si è toccato il massimo della perfidia, era ed è anche padre di quel Matteo che è ministro ombra dello sviluppo economico per il partito democratico.
Lo schieramento è divenuto poi sistemico con la vittoria di Passera nei confronti del suo vice acquisito in uno con il San Paolo-IMI, quel Pietro Modiano che, alla guida della cosiddetta Banca dei Territori, non aveva affatto demeritato e che aveva come supporter niente di meno che il presidente del consiglio di gestione, Enrico Salza, e non era certo inviso al presidente del Consiglio di Sorveglianza, il già citato Bazoli, ma che doveva in ogni modo essere defenestrato per ragioni di ordine interno ed esterno alla banca.
Travolto dagli alti marosi della tempesta perfetta in corso e dalle sue stesse scelte gestionali in merito, all’acquisizione di Hipoverein con annesse province orientali, di Capitalia con i suoi cronici guai, dell’espansione autonoma nei paesi dell’Europa dell’Est, Alessandro Profumo ha cercato in ogni modo di risalire la china derivante dal chiaro non gradimento di Bermonti, sia riannodando i rapporti più che consumati con il rivale Passera, sia aprendo con sollecitudine a tutti o quasi gli input provenienti da Via XX Settembre e Palazzo Chigi, ma tutto ciò non servirà, con ogni probabilità, a salvargli la poltrona, quando e se verrà deciso che non servirà più a fare da bersaglio delle invettive Tremontiane e a fare da catalizzatore delle inquietudine degli azionisti, fondazioni bancarie in primis.
Saltati, per molto improbabili ragioni familiari, gli amministratori delegati del Banco Popolare e di UBI Banca, Fabio Innocenzi e Giovanni Auletta Armenise, inchiodata dalla lettera circolare di Tremonti la un tempo poco meno che onnipotente Fondazione Monte dei Paschi di Siena alle proprie responsabilità, a Bermonti non resta che sedersi sulla classica riva del fiume per attendere il passaggio dei più o meno odiati nemici, quelli, per intendersi, che, quando non andavano alle adunate di categoria in quel di Siena per ascoltare il verbo di Massimo d’Alema, si favoleggia mandassero il certificato medico.
Ma il dettagliato e insidioso questionario contenuto nella già menzionata lettera circolare di Tremonti a ‘tutte’ le fondazioni di origine bancaria ha anche lo scopo di ammorbidirne, e di parecchio, le posizioni in merito a quello che è in realtà il vero pilastro dell’architettura prossima ventura del sistema bancario italiamo, quella Cassa Depositi e Prestiti, amministrata da poco tempo da un fedelissimo del per la terza volta ministro italiano dell’Economia, che risponde al nome di Massimo Varazzani e alla cui presidenza è stato chiamato, con perfidia quasi craxiana, l’ex ministro Franco Bassanini, a suo tempo ministro di valore di diversi governi di centro-sinistra, una Cassa controllata dallo Stato e largamente partecipata dalle Fondazioni e alla quale è stato da pochissimo concesso di poter utilizzare una maggiore quota parte del risparmio postale.
L’altrettanto inviso Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha lanciato di recente un chiaro messaggio alle banche, seppur, come si usa, tra le righe e con linguaggio paludato, invitandole di fatto a non fare ricorso ai finalmente partoriti Tremonti Bonds, un passaggio essenziale per il disegno di Bermont, ma di questo parlerò più diffusamente domani!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .