Ma la sola analisi della particolare stratificazione sociale che caratterizza l’Italia spiegherebbe solo in parte la radicale mutazione dell’orientamento politico-ideologico della maggioranza degli italiani, ove non venisse opportunamente integrata da un’analisi della collocazione geografica del fenomeno stesso, che, come è oramai largamente noto, è incentrato nelle regioni del Nord, con particolare riferimento a quelle del Nord Est e a una parte importante della Lombardia, ma attecchisce sempre di più in Emilia Romagna e in parti non marginali di quelle che un tempo erano considerate le regioni ‘rosse’, caratterizzate da un modello sociale ed economico altrettanto anomalo rispetto al modello prevalente europeo, seppur con la presenza di elementi solidaristici e culturali molto più forti di quelli presenti del Nord inteso in senso stretto.
Si può ironizzare quanto si vuole sugli aspetti folcloristici e chiaramente demagogici di quel movimento a suo tempo ideato dal politologo Gianfranco Miglio e guidato da un personaggio assolutamente originale quale è Umberto Bossi, ma sarebbe molto errato non comprendere che quello stesso movimento ha letteralmente scardinato in larga parte delle regioni settentrionali, partendo dagli interessi materiali di larga parte della popolazione, gli schemi classici destra-centro-sinistra che, a cavallo del cambio di millennio, erano ancora pienamente operanti nel resto del Belpaese, anche se è altrettanto vero che è solo dopo l’alleanza strategica con Berlusconi, quella del 2001 non quella del 1994, che vede la sua nascita quel partito del Nord che inizia a essere l’asse portante dello schieramento di centro-destra al punto di costringere la componente di destra, pena la certa marginalizzazione, ad aderire al progetto del partito unico che, non del tutto a caso, consente alla sola Lega la libertà di non aderire.
Paradossalmente, l’unico esponente del centro-sinistra che ha capito sino in fondo la mutazione genetica che stava avvenendo non solo nel Nord, ma anche in una parte significativa delle regioni del Centro, è stato proprio Romano Prodi, l’unico peraltro, ad avere sconfitto due volte Berlusconi, anche se la seconda di strettissima misura, ma che non è riuscito a intercettare le ragioni profonde di quel cambiamento, avendo avuto prima la missione dell’ingresso nell’euro e poi dovendo accettare, come elemento di garanzia, la presenza quale ministro dell’Economia, dell’euroburocrate Padoa-Schioppa, circostanze che per due volte visto trafitto più dal fuoco amico che da quello nemico.
Insomma, il capolavoro di Berlusconi quale elemento di punta degli atlantici di provata fede e dell’applicazione pratica e capillare dell’ideologica antieuropeistica e anticentralistica di Gianfranco Miglio effettuata da Bossi è stato quello di intercettare la pancia dei lavoratori autonomi e di quei milioni di imprenditori di ogni ordine e grado esclusi dal salotto buono di Mediobanca, in buona parte esclusi da quel rapporto preferenziale che legava le forze del Pentapartito e il maggiore partito di opposizione nella prima repubblica, il PCI, e che vedeva queste forze politiche sempre prone alle esigenze del capitalismo delle grandi famiglie, pur elargendo sostanziose mance a larghi strati della popolazione italiana, attraverso il proliferare di provvedimenti assistenziali che hanno del tutto scassato i conti pubblici per poi tradursi in quelle politiche di rigore forse inevitabili ma che hanno favorito l’insofferenza radicale sia di quanti ne venivano colpiti, sia di quelli che non pagavano né le sovrattasse, né le tasse, ma che temevano di essere colpiti dal progressivo affinamento delle capacità di accertamento del fisco!
Se questa è la base sociale dell’asse strategico Berlusconi-Tremonti-Bossi, è abbastanza facile capire le linee di una politica economica che sarebbe altrimenti del tutto incomprensibile, almeno alla luce dei criteri seguiti nei maggiori paesi dell’Unione Europea, una politica economica e fiscale che ha come obiettivo principale la creazione di un blocco dei produttori e dei lavoratori autonomi in grado di sostituire il capitalismo delle grandi imprese che, non a caso, non stanno ricevendo le stesse attenzioni loro dedicate in Gran Bretagna, Germania e Francia e che, anzi, vengono aiutate solo quel tanto che basta per non mettere in ginocchio l’indotto formato da piccole imprese.
Il banco di prova del nuovo approccio la si è avuta con l’apparentemente folle opposizione strenua al salvataggio di Alitalia da parte dell’unico pretendente in corsa, l’Air France-KLM, attraverso la costituzione di un gruppo di imprenditori di medie dimensioni che hanno dato via, grazie all’impegno profuso dall’amministratoe delegato di Intesa-San Paolo, Corrado Passera, alla CAI prima e all’acquisizione di parte delle attività di Alitalia poi, per poi aprire le porte alla sconfitta Air France che, alla fine dei giochi e tra qualche anno, spenderà la stessa cifra prevista in partenza, ma che ne dovrà corrispondere la parte più rilevante non allo Stato o ai creditori della vecchia compagnia di bandiera, ma ai molto lungimiranti capitani coraggiosi che hanno avuto il merito di credere alla visione di Silvio, un capolavoro che non sarebbe riuscito neanche alle oggi tanto vituperate Investment Banks e che vede i cittadini chiamati a pagare qualcosa come 3-4 miliardi di euro ancora più convinti a sostenere l’attuale governo.
Ma le ambizioni del citato asse strategico non si fermano certo a quella ventina di imprenditori, che scommetto avranno anche ottimi ritorni all’Expo e dintorni, puntando a creare un blocco di centinaia di imprenditori di riferimento che, a loro volta, divengano il volano di altre attività di minori dimensioni, un progetto, però, che per marciare appieno ha bisogno non solo di appalti e commesse, ma anche di un sostanzioso e costante sostegno dal sistema creditizio, il che appare perlomeno difficile nell’attuale contesto di crisi finanziaria e che richiede, quindi, l’inderogabile necessità di mettere le mai e/o condizionare pesantemente le scelte almeno dei primi cinque grandi gruppi creditizi, cosa in larga parte già riuscita con riferimento al gruppo Intesa-San Paolo, in particolare dopo l’uscita del poco omogeneo, anche per motivi familiari, Pietro Modiano, ma che richiede opportuni interventi in Unicredit Group, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e UBI Banca, interventi che non possono solo basarsi sui finalmente approvati e molto onerosi Tremonti Bonds, ma richiedono anche qualcosa di cui parlerò nella puntata di domani!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .