giovedì 19 febbraio 2009

I patrimoni di "carta" dei maggiori gruppi bancari italiani!

Confesso che non avevo mai pensato a un aspetto dei patrimoni della maggior parte dei gruppi bancari italiani, in particolare di quelli che sono stati protagonisti della terza fase di ristrutturazione del sistema bancario del nostro Paese, sino a che non ho ascoltato in una trasmissione radiofonica che la RAI dedica quotidianamente alle vicende di borsa e ai quesiti dei sempre più preoccupati risparmiatori/investitori alle prese con il meltdown fianziario in corso.

Ebbene, il bravo analista di una SGR, rispondendo ad un quesito su uno dei quattro grandi gruppi bancari italiani, caratterizzato come gli altri da un valore della quotazione azionaria realmente infimo, metteva in guardia l’ascoltatore dal considerare quel valore un’interessante opportunità di acquisto per il semplice motivo che i valori patrimoniali del gruppo in questione sarebbero solo apparentemente dei multipli della capitalizzazione di borsa, in quanto largamente inficiati dal cosiddetto goodwill, il valore di avviamento attribuito alle banche via, via inglobate nel gruppo stesso e che, ovviamente, è stato nella maggior parte dei casi valutato quando ci si strappava di mano gli sportelli anche a 9 milioni di euro cadauno.

Ricordo bene quando, negli oramai lontanissimi anni Ottanta, mi trovavo a spiegare, dalle colonne di un quotidiano, la questione dei cosiddetti profitti di carta, rappresentati da quegli interessi moratori legati ai crediti in sofferenza, quei credit non performing che già allora venivano prontamente messi a perdita nelle banche statunitensi, mentre da noi era pratica diffusa se non totalizzante quella di lasciarli agire almeno sino al livello del margine di contribuzione, se non addirittura sino al conto economico, manovre a volte addirittura costose sul piano fiscale, ma che, insieme all’altrettanto diffusa pratica del window dressing, rendeva particolarmente difficile farsi un’idea corretta dello stato di salute di una banca avendo come unico riferimento il bilancio di esercizio della stessa.

D’altra parte, se al proprietario della banca o della cassa di risparmio, spesso un’entità pubblica, non interessava particolarmente la redditività e il profilo di rischiosità dell’azienda guidata da spesso improbabili personaggi uscite dalle teleguidate terne della Banca d’Italia, poi “lavorate” da un Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio che, al momento fatale delle decisioni, lasciava il Governatore della nostra banca centrale rigorosamente al di fuori della porta a rigirarsi nervosamente tra le mani il foglio delle terne, ben consapevole che non sempre il nome prescelto sarebbe stato il migliore o il più adatto a occuparsi della gestione di quelli che erano allora colossi del credito a livello mondiale, spesso caratterizzati da una rete estera di rilevanti proporzioni, anche se altrettanto spesso non del tutto trasparente!

Non sempre le ciambelle riuscivano con il buco, come accadde, a solo titolo di esempio, quando il professor Gaetano Stammati, stimato studioso e democristiano doc, fu scelto per guidare la Banca Commerciale Italiana, istituto di credito storico a lungo gestito da Raffaele Mattioli e che aveva creato Mediobanca quasi al solo scopo di spedirvi un giovane Enrico Cuccia, reduce da incarichi nelle allora colonie e genero del potentissimo Alberto Beneduce, a sua volta fondatore dell’IRI e delle banche da questo possedute dopo i disastri bancari degli anni Trenta.

Il gruppo dirigente della grande banca italiana fece muro contro quello che, a torto o a ragione, venne da loro considerato come un corpo estraneo rispetto all’indiscussa tradizione laica dell’istituto e lo fece in modo tale da costringere il mite professore destinato a importanti incarichi ministeriali a prendere la per lui certamente dolorosa decisione di rimettere il mandato nelle stesse mani politiche che glielo avevano conferito!

Scusandomi per la digressione storica, devo dire che mi ha fatto una certa impressione sentire dall’analista della SGR i valori relativi al goodwill che fanno parte a pieno titolo del valore di libro dei principali gruppi creditizi italiani, in particolare di quello presente nel patrimonio di Unicredit Group che si ridurrebbe a poco di più della metà ove venisse nettato di questo valore immateriale, che, lo ripeto, viene iscritto nel pieno rispetto delle vigenti previsioni civilistiche relative alla corretta redazione dello stato patrimoniale e del conto economico di una società per azioni quale Unicredit Group certamente è.

Ovviamente, anche con riferimento a Intesa-San Paolo, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e UBI Banca questa voce relativa all’avviamento assume un rilevante peso percentuale nella determinazione del patrimonio, così come anche in questo caso, ma credo anche in quello dei “profitti di carta” del passato, il tutto avviene nel pieno rispetto delle norme e dei regolamenti vigenti, né mi risulta abbiano mai attirato l’attenzione della pletora di regolatori e vigilatori per quanto attiene alla loro corretta determinazione.

Purtroppo, se ci trasferiamo dal piano delle previsioni legislative e regolamentari a quello gestionale, il discorso assume contorni molto diversi e suscita inquietudini sia a carattere generale, sia, e certamente soprattutto, preoccupazioni collegate al fatto che ci troviamo nel pieno di una tempesta perfetta che, a più di un anno e mezzo dal suo avvio, sembra avere accresciuto il suo potenziale distruttivo, come è ben evidenziato dall’analisi proposta ieri dal sistema della riserva federale statunitense e dagli stessi andamenti delle principali borse mondiali, per il semplice motivo che, sottoposte a opportuni stress test e altre valutazioni proprie del risk management, gli stratosferici valori attribuiti all’avviamento andrebbero considerati con particolare cautela, un esercizio che renderebbe molto più comprensibili gli infimi livelli cui sono giunte le quotazioni azionarie dei cinque principali gruppi creditizi italiani e allineerebbero tali valori con quelli di un patrimonio nettato in tutto o in parte da questa voce, ma credo che di tutto ciò Draghi abbia parlato negli incontri periodici con i banchieri!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .