Per la sesta volta consecutiva, il consumer spending ha registrato una variazione negativa in dicembre, un calo dell’uno per cento tondo che fa seguito a un dato rivisto allo 0,8 per cento relativo al mese di novembre, il che sta a dimostrare che la lunga stagione di acquisti che inizia con il Thanksgiving Day e si conclude con il Christmas Spending è stata, senza ombra di dubbio, la peggiore mai vissuta negli Stati Uniri d’America, così come il netto rialzo della propensione al risparmio delle famiglie americane sta inequivocabilmente a testimoniare che le imprevidenti cicale americane stanno sempre più trasformandosi in sagge e lungimiranti formiche molto european style.
Per chi non ha un’idea del modello di consumi a stelle e strisce, tutto ciò può apparire come un fenomeno positivo, e certamente, almeno dal punto di visto della conservazione del pianeta, lo è, ma il punto sta nel fatto che tutto questo non è dovuto a un sussulto di consapevolezza, quanto alle paure e i timori, tutt’altro che immotivati, suscitati nelle donne e negli uomini che abitano quel grande paese dai disastrosi effetti sociali dovuti ai sempre più alti marosi della tempesta perfetta che in poco meno di diciannove mesi di attività indefessa ha sgretolato alle fondamenta l’American Dream, basato sulla casa di abitazione, possibilmente di tipo individuale, sulla libertà di cambiare lavoro e spesso il luogo dove svolgerlo, una propensione al consumo pari o superiore all’unità che appariva quasi costituzionalmente garantita, l’utilizzo intelligente della forza lavoro immigrata dal resto del mondo, inclusi i migliori tra gli stranieri ammessi al sistema di istruzione superiore a stelle e strisce.
Non ha destato, invece, alcuno stupore che anche l’ultimo dato dell’anno relativo al construction spending sia stato disastroso come nei due mesi precedenti e in pressoché tutti i mesi dell’orribile 2008, un anno che ha visto un calo complessivo di poco inferiore al 6 per cento, l’aumento dello stock di case esistenti invendute, la prosecuzione delle procedure di foreclosure a ritmi esasperati, il crollo dei prezzi che, almeno in alcuni stati, quali la Florida e la California, sono giunti molto, ma molto al di sotto del correlato indebitamento, in particolare quando il mutuo originario è stato integrato da ulteriori finanziamenti offerti dalle banche e dalle finanziarie attraverso un apolitica dell’offerta che ha utilizzato tutte le tecniche del marketing, incluse le telefonate al domicilio di quanti avevano raggiunto quel livello di restituzione del prestito originario che consentiva il rifinanziamento stesso.
Non posso, peraltro, dimenticare come in una delle audizioni presso la commissione bancaria del Senato americano che si svolgono per due giorni due volte l’anno, il cattivo maestro Greenspan, ebbe a dire, con il suo suadente e basso eloquio (del tipo qui lo dico e qui lo nego), che i proprietari di case che non rifinanziavano il mutuo sulla loro casa stavano perdendo migliaia di dollari, peccato che buona parte di quei finanziamenti aggiuntivi non siano stati utilizzati per ristrutturare o rendere più autosufficienti sul piano energetico quelle abitazioni, ma siano stati destinati alle spese più o meno voluttuarie, una tendenza basata sulla credenza quasi superstiziosa che non si sarebbe mai interrotto il fenomeno della continua rivalutazione dei prezzi delle case in corso da alcuni anni, un fenomeno che si è, invece, bruscamente interrotto in un periodo a cavallo tra il 2006 e il 2007, producendo pochi mesi più tardi l’afflosciarsi di quel vero e proprio castello di carte che era stato edificato molto insensatamente dagli offerenti e richiedenti credito.
Una delle ragioni che mi hanno indotto, poche settimane dopo l’avvio della tempesta perfetta, a iniziare l’avventura editoriale del Diario della crisi finanziaria, è stata proprio il castello di bugie costruite ad arte sul fenomeno dei cosiddetti mutui subprime, dipinto come una sorta di truffa organizzata dai richiedenti mutui senza avere il merito creditizio per avanzare tali pretese, una bugia grossa come una casa che ha condizionato fortemente le prime risposte da parte dell’amministrazione Bush, in estrema sintesi basate sul principio molto accettato in ambienti politici wasp (bianchi, anglosassoni e protestanti) del chi sbaglia paga, un approccio molto miope al problema e che ometteva volutamente di guardare a quanto avevano fatto le banche e le finanziarie che avevano adottato il letale principio dell’originate to distribuite in luogo dello storico originate end hold, un modello imperante a partire dalla metà degli anno Ottanta e che ha indotto un progressivo e micidiale abbassamento del processo di valutazione dei requisiti creditizi dei richiedenti credito per il semplicissimo motivo che la permanenza sui libri del concedente durava spesso la spazio di un mattino.
Ai più recenti tra i miei lettori, vorrei ricordare che, grazie alle sempre più sofisticate e spesso incomprensibili invenzioni degli apprendisti stregoni delle oramai ex Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment banking della banche più o meno globali, buona parte dell’attivo delle banche veniva rapidamente cartolarizzato in titoli della finanza più o meno strutturata che venivano poi venduti anche sei o sette volte finendo, grazie alle alchimie autorizzate e spesso consigliate dalle agenzie di rating volte ad attribuire a questi stessi titoli la necessaria tripla A, nei portafogli dei fondi pensione, dei fondi di investimenti, nonché in quelli delle compagnie di assicurazione, per non parlare poi di quelle entità assicurative denominate monoliners che dalla originaria attività di prestatrici di garanzie relative ai cosiddetti munibonds, i titoli di debito della pubblica amministrazione statunitense ai suoi vari livelli locali, sono passate a garantire, sin dai primi anni del nuovo millennio, le emissioni di titoli più o meno complessi emessi dalle banche.
Così come ricordo che il problema nacque quando le maggiori finanziarie attive nel settore dei mutui fecero simultaneamente ricorso nell’estate del 2007 alla protezione contro i creditori offerta dalla legge fallimentare, il che impedì alle principali banche globali di far valere le clausole di riacquisto previste dai contratti!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .