giovedì 5 febbraio 2009

Obama mette un tetto alla compensantion dei manager bancari e buca i paracaduti d'oro!


Come era più che prevedibile un più che infuriato Barack Obama, con a fianco il nuovo ministro del Tesoro, Timothy Geithner, si è scagliato contro la pioggia di bonus ricevuti dai vertici delle principali entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, gratificazioni che, seppur in misura ridotta rispetto al recente passato, hanno gratificato per 18,4 miliardi di dollari gli inquilini dei grattacieli che ospitano i quartier generali di quelle stesse banche e delle compagnie di assicurazione che hanno ricevuto aiuti pubblici per centinaia di miliardi di dollari, per non parlare delle migliaia di miliardi ricevuti dalla Federal Reserve in cambio dei titoli più o meno tossici della bilancia strutturata.

Desideroso di passare dalle parole ai fatti, Obama ha imposto un tetto di mezzo milione di dollari ai compensi dei primi venti manager di ogni istituzione finanziaria che richiederà aiuti pubblici, mentre ha dichiarato che verranno tolti di mezzo i cosiddetti paracadute d’oro per i manager costretti a lasciare il loro posto eche questo avverrà in maniera integrale per i primi dieci manager, mentre per i loro immediati subordinati non saranno possibili liquidazioni aggiuntive che siano superiori a una annualità di stipendio.

Da buon legale, il presidente degli Stati Uniti d’America ha anche previsto i trucchetti volti a ottenere dall’assemblea una ratifica di eventuali deroghe, prevedendo che le stesse siano analiticamente discusse e non più proposte in blocco, mentre ha annunciato anche limitazioni alle fantasiose forme di benefit e all’utilizzo delle flotte aeree aziendali, prevedendo, inoltre, che qualsiasi forma di incentivazione ulteriore sia congelata in un fondo e che possa essere erogata solo dopo che sarà stato restituito anche l’ultimo dollaro degli iuti pubblici ricevuti.

Per fugare fino in fondo i sospetti di una mossa statalista, se non da socialismo reale, Obama ha chiarito che la giusta rabbia dei contribuenti americani non è rivolta contro i simboli del successo che abbiano dimensioni e caratteristiche ragionevoli, ma è indirizzata contro un sistema che non tiene conto della situazione disastrosa delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario globale, anche perché è del tutto inconcepibile che esista un sistema in cui si vince sia che la barca abbia il vento in poppa, sia che imbarchi acqua, sia che venga rimessa in grado di galleggiare solo grazie a vagonate di dollari a totale carico dei contribuenti.

Il lungo periodo intercorso tra l’Election Day e l’insediamento del nuovo presidente è, peraltro, apparso davvero eterno a quanti volevano vedere una chiara inversione di rotta rispetto all’atteggiamento molto accomodante verso i protagonisti del disastro finanziario tenuto dal trio Bush-Paulson-Bernspan, un gruppo del quale è rimasto ancora in sella solo il mite professore di Princeton trasformatosi nell’emulo del cattivo maestro Greenspan che ha contribuito grandemente, nei suoi diciannove anni di presidenza della Fed a gettare le basi del meltdown finanziario attuale, anche se sono certo che anche per Bernspan si avvicina l’ora dell’addio.

Il disastroso avvio d’anno per il settore automobilistico in terra americana ha assunto l’aspetto di una vera e propria debacle per le due case automobilistiche beneficiate da aiuti pubblici per 13,4 miliardi di dollari, con la Chrysler che ha registrato vendite in calo del 55 per cento in gennaio e la General Motors che le ha viste ridursi esattamente della metà, ma le cose non sono andate meglio per la Ford, la Toyota e le altre case automobilistiche presenti sul sempre più striminzito mercato statunitense, mentre la controllata svedese della Ford, la Volvo, è riuscita a surclassare tutti i concorrenti registrando una flessione delle vendite di oltre il 60 per cento.

Anche se gennaio è tradizionalmente un mese fiacco per le vendite di auto e trucks, il crollo delle vendite è stato di dimensioni tali da gettare molte ombre sulle possibilità di sopravvivenza dei tre colossi a stelle e strisce e ha chiarito meglio il senso della recente affermazione del numero uno operativo di Fiat, Sergio Marchionne, che ha definito il deal con la Chrysler come l’acquisto di un biglietto della lotteria, cioè qualcosa che di solito si fa senza avere molte speranze di essere il fortunato possessore del biglietto vincente!

L’accordo faticosamente raggiunto dalla Total con i sindacati inglesi in merito alla vicenda dell’appalto per la ristrutturazione di una raffineria vinto da una ditta siciliana che si vedrà costretta a dimezzare l’organico previsto di maestranze italiane, integrandole con operai inglesi, non lascia presagire nulla di buono sul fronte del risorgente protezionismo e nazionalismo, preoccupazioni che sono state rafforzate dal fermo invito rivolto dal governo francese alle case automobilistiche destinatarie di consistenti aiuti pubblici privilegiare gli acquisti di componenti prodotti da aziende nazionali, un suggerimento ridimensionato dopo le proteste in sede europea, ma che è certamente destinato a lasciare il segno nelle menti dei vertici delle traballanti case automobilistiche francesi e che rischia di rappresentare un esempio per gli altri paesi dell’Unione europea.

Il prossimo vertice del G20 che si terrà nei primi giorni di aprile in Gran Bretagna dovrebbe tenersi dopo l’approvazione del pacchetto Obama da 819 miliardi di dollari che andranno ad aggiungersi a 7.600 miliardi già stanziati al di là dell’Oceano Atlantico e ai poco meno di 2.000 messi in campo dai tre principali paesi europei, Germania, Gran Bretagna e Francia, uno sforzo gigantesco che, tuttavia, appare ancora insufficiente e che rende del tutto ridicoli gli sforzi finanziari degli altri paesi membri dell’Unione europea, in particolare quei 40 miliardi di euro tanto sbandierati dal premier italiano, Silvio Berlusconi, che sembra non rendersi assolutamente conto delle dimensioni del problema e che sembra non accorgersi che non sono ancora disponibili, tre mesi dopo l’annuncio, i finanziamenti pubblici per le banche!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .