lunedì 16 febbraio 2009

Ma qual'è il male oscuro di Unicredit Group?


Pur avendo inibito la possibilità di esprimere commenti sul blog, ricevo spesso e-mail contenenti richieste di chiarimenti o suggerimenti da parte di lettori che ottengono il mio recapito dai vari siti che pubblicano le puntate del Diario della crisi finanziaria, in particolare dal sito dei giornalisti free lance che, insieme a quello della UILCA e a Rosso di Sera, le pubblicano sin dall’avvio di questa avventura editoriale che ha preso il suo avvio il 4 settembre del 2007, meno di un mese dopo lo scoppio della tempesta perfetta.

Nei limiti delle mie possibilità, ho cercato di rispondere a tutti, evitando soltanto le richieste relative a consigli sul modo migliore per investire il loro denaro, anche perché non posso, né tanto meno voglio esprimere su prodotti finanziari che non siano quelli tradizionali e sempre nei limiti di garanzia previsti dai rispettivi ordinamenti, ma devo confessare che nessuno dei miei lettori abbia sentito il bisogno di chiedersi e chiedermi per quale motivo l’azione di uno dei due principali gruppi bancari, Unicredit Group, abbia perso l’83 per cento del suo valore massimo toccato più o meno in concomitanza con la fulminea acquisizione su base amichevole di Capitalia, a sua volta un gruppo bancario di dimensioni notevoli e che aveva aggregato un certo numero di banche italiane.

A prescindere dalle mie opinioni personali su queste fusioni a freddo sostanzialmente decise a seguito di contatti telefonici tra i vertici, una fattispecie che, almeno in Italia, aveva visto pochi mesi prima il precedente dell’acquisizione del San Paolo-Imi (un gruppo che aveva aggregato, attorno al San Paolo di Torino, non solo l’Imi, ma anche il Banco di Napoli, Cardine e numerose altre banche di varia dimensione) e pochi mesi dop la nascita di Unicredit Group, quella altra fusione che aveva dato luogo a UBI Banca, tutte operazioni avvenute in quella che anni orsono ebbi a definire la terza fase del processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano, una fase nata in gran parte come reazione all’espugnazione di due banche italiane da parte di due gruppi bancari basati nell’Unione europea e per mettere alla porta altrettanti importanti azionisti stranieri presenti nell’uno o nell’altro gruppo che andava a fondersi, se non in tutti e due.

In questo contesto di operazioni aventi nullo o poco senso industriale, o il cui senso industriale lo si andava poi affannosamente cercando ex post, quella scaturita dall’intesa tra Alessandro Profumo e Cesare Geronzi, presentava in aggiunta un’ulteriore anomalia, quella di avere come obiettivo aggiuntivo più o meno confessato quello di spingere alle dimissioni, come poi accadde pressocché in tempo reale, le dimissioni del giovane amministratore delegato di Capitalia, Matteo Arpe che Geronzi non era riuscito a defenestrare per via ordinaria, a causa delle resistenze di alcuni importanti e molto influenti soci, ma che Cesare evidentemente non sopportava al punto che accettò, se non propose, l’offerta del gruppo milanese, ottenendo in cambio di non avere ruolo alcuno nel nuovo gruppo ma di sedere sulla massima poltrona di Mediobanca, importante partecipata di ambedue i gruppi che andavano a integrarsi, prima come presidente del Consiglio di Sorveglianza, poi eliminato il sistema duale appena applicato, come presidente del Consiglio di Amministrazione, una posizione di estremo prestigio, ma che, per l’opposizione di Mario Draghi, non si è trasformata nel trampolino di lancio verso il vertice massimo delle Assicurazioni Generali, a loro volta controllate dalla stessa Mediobanca.

Sperando che ai miei lettori non sia venuto il mal di testa di fronte a tanto funambolismo riuscito e mancato, vorrei interrogarmi insieme a loro sui motivi di tanta incomprensione da parte del mercato delle mirabili e progressive sorti del primo gruppo bancario ad avere compiuto un’importante acquisizione niente di meno che in Germania, il più importante e popoloso paese membro dell’Unione europea, ma anche l’unico ad avere, sia prima che dopo questa acquisizione, un ruolo di primo piano nella cosiddetta Nuova Europa, quella composta in gran parte dai paesi un tempo appartenenti al Patto di Varsavia, cioè satelliti di quella che sino all’inizio degli anni Novanta era l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Certo, se Alessandro Profumo si fosse interrogato sui motivi per i quali l’industria e la finanza del nostro paese non sono mai riuscite a compiere scorrerie di successo al di fuori dei confini nazionali, si pensi alle clamorose sconfitte subite da persone del calibro Carlo De Benedetti e di Marco Tronchetti Provera, per non parlare di imprenditori di minore calibro ma di grandissima determinazione, forse qualche dubbio sulla validità nel medio-lungo periodo dell’acquisizione dell’importante banca tedesca e delle sue colonie gli sarebbe pure venuto, ma l’ex enfante prodige della finanza italiana non è uomo da amletici dubbi, né tantomeno uno che si fa frenare nelle sue ambizioni dall’ostacolo di una lingua ostica come quella tedesca, che, infatti, ha diligentemente studiato e, pare, anche con profitto, mentre quelli che ha fatto più fatica a trovare sono stati proprio i profitti derivanti dall’operazione!

L’ex pupillo di Lucio Rondelli mi ha incantato quando, annunciando, nell’ottobre del 2008, la mega ricapitalizzazione che tanto sta impegnando le un tempo fedeli fondazioni bancarie azioniste di Unicredit, ha affermato che forse lui e i suoi principali collaboratori non si erano resi conto della portata delle tempesta perfetta che allora compiva i suoi primi quindici mesi di vita, ma, portandomi avanti con il lavoro, prevedo che, fra qualche tempo, se sarà ancora amministratore delegato del grande gruppo creditizio (carica nella quale è stato appena confermato da tutti e ventitré i consiglieri di amministrazione), ci informerà che sempre lui e sempre i suoi collaboratori non si erano resi conto del fatto che gran parte di quei paesi nei quali Unicredit è presente sia prima che, in misura maggiore dopo, l’operazione tedesca, sarebbero diventati le principali vittime della tempesta perfetta allora ancora in corso, circostanza che farebbe dire a un uomo prudente come Giulio Andreotti che peccare è umano, perseverare è diabolico!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .