L’ennesimo uno-due per il mercato finanziario statunitense è venuto ieri di prima mattina con il rilascio pressoché contemporaneo di un disastroso dato sul Consumer Price Index che ha registrato un +0,8 per cento (+0,4 per cento il cosiddetto core che esclude alimentari ed energia ed è utilizzabile per i non umani) contro una già pessimistica previsione degli analisti che vedevano un rialzo “solo” dello 0,4 per cento, mentre il tasso anno su anno si è portato al 5,6 per cento, e di un’ulteriore crescita delle foreclosure, le procedure che danno l’avvio all’esproprio della casa del mutuatario in arretrato sulle rate, un dato che, pur confrontandosi con il già pesante dato del luglio dell’anno scorso è riuscito a registrare un ulteriore balzo in avanti del 55 per cento, passando da 175 a 272 mila procedure, mentre si è appreso che sono ben 750 mila le case in attesa di essere messe all’asta, ben il 17 per cento delle 4,5 milioni di case messe in vendita in giugno in tutti gli Stati Uniti d’America.
Non bastasse tutto ciò, sempre ieri le implacabili agenzie hanno provveduto a battere la notizia dell’ennesimo calo dei prezzi delle abitazioni statunitensi, nel trimestre concluso a giugno, come testimonia la National Association of Realtors, una flessione del 7,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007, il che lascia intuire che, quando verranno messe all’asta in settembre la maggior parte delle case entrate in possesso dei concedenti i prestiti, si potrebbe tranquillamente verificare una flessione percentuale a due cifre, sempre espressa su base annua, al netto ovviamente di quei pochi fortunati che rientrano nelle previsioni molto a maglie larghe del provvedimento bipartisan finalmente approvato dal Congresso e che, secondo le stime più ottimistiche, dovrebbe salvare 400 mila proprietari di casa, lasciando negli attuali guai poco meno di tre milioni di brave famiglie americane.
Se non vuole rischiare di essere il primo presidente della Federal Reserve ad essere messo sotto accusa per attentato alla stabilità del sistema finanziario, Bernspan farebbe bene a riflettere sul non marginale aspetto segnalato dalla fiammata inflazionistica in atto, in quanto non appare saggio avere un tasso sui Fed Funds negativo in termini reali di 360 punti base, nonché un tasso ufficiale di sconto che risulta a sconto, sempre ove deflazionato con il CPI, di 335 punti base, anche perché si corre il serio rischio di indurre qualche malevolo a ritenere che la Fed sia pronta a tutto per Wall Street, ma non abbia nessuna intenzione di preoccuparsi di Main Street, come peraltro sostengono da tempo entrambi i candidati alla presidenza, per non parlare di quello che dicono nei comizi la maggior parte dei candidati ai posti in lizza nei due rami del Congresso, di quelli che si contendono i governatorati degli Stati, delle Contee, giù, giù sino all’ultimo municipio in cui si voterà nel corso della prima settimana di novembre.
Mentre fanno ancora discutere le affermazioni “estorte” dalla molto chiacchierata anchorwomen di CNBC e vera colonna di Business Week, Mary Bartiromo, al CEO di Merrill Lynch ed ex numero uno del New York Securities Exchange, nonché ex top manager della potente e preveggente Goldman Sachs, John Thain, i più smaliziati tra gli analisti del mercato finanziario oramai scommettono tra di loro sul doppio impatto sui già disastrati bilanci delle banche di investimento e di quelle più o meno globali derivanti dall’applicazione alle loro rispettive montagne di titoli della finanza strutturata di quello sconto del 78 per cento che Thain ha concesso gridando a tutta voce: Yours! e dell’estensione alle altre banche di ogni ordine e grado coinvolte nel bidone delle ARS di deals più o meno equivalenti a quelli già sottoscritti da J.P. Morgan-Chase e l’extracomunitaria ed alquanto disperata UBS.
Lo stesso canale televisivo per il quale lavora Mary, ha diffuso nei giorni scorsi un’indiscrezione su un offerta fatta in blocco da tutte le altre banche coinvolte nell’affare un po’ sporco delle auction-rate securities che propone allo sceriffo Cuomo ed agli altri General Attorney delle diverse procure dei numerosi Stati di metterci una pietra sopra impegnandosi a riacquistare titoli dalla loro clientela per 27 miliardi di dollari, notizia che non apparendo sul giornale di bordo della tempesta perfetta, quel Wall Street Journal che da un anno non sbaglia un colpo, è, amio modesto avviso, destituita di ogni fondamento che non sia quello scambio dei sogni con la dura realtà che caratterizza i sonni alquanto agitati dei top bankers statunitensi ed oriundi che dal 9 agosto dell’anno scorso non si fanno uno straccio di week end, non riescono ad andare in ferie e stanno affrontando, oltre a tutto il resto, non poche grane sull’agitato fronte matrimoniale!
Dopo tanta confusione sul non marginale aspetto delle rispettive consistenza dell’offerta e della domanda di petrolio a livello mondiale, apprendo che si trattava di 85 milioni di barili prodotti e di 86,5 milioni consumati prima che venisse reso noto che USA e Cina avevano ridotto di 1,3 milioni di barili le loro importazioni, il che lascerebbe un divario di soli 200 mila barili, esattamente quanto prodotto in più dall’Arabia Saudita e, ovviamente, senza considerare le sensibili contrazioni dei consumi che stanno caratterizzando l’Europa e gli altri continenti, il che lascia intuire che, dietro le durissime parole pronunciate dal Re dell’Arabia Saudita, dall’esperto Yamani e da tanti altri, vi era una verità allo stesso tempo semplice, drammatica e banale, rappresentata dall’evidenza di un eccesso di offerta, seppur recente, che evidenzia senza ombra di dubbio il ruolo giocato dagli investitori istituzionali, le banche di investimento e quelle più o meno globali in una sorta di aggiotaggio continuato ed aggravato di questa come di altre materie prime, derrate alimentari purtroppo comprese, un reato gravissimo, seppur effettuato da colletti bianchi, ove si pensi alle drammatiche conseguenze vissute in questi ultimi mesi dalle centinaia di milioni di persone che vivono nei paesi più poveri e che è stato determinante per le numerose rivolte scoppiate in alcuni di questi paesi.
D’altro canto, appare molto difficile credere che dietro il calo molto rapido del petrolio dai suoi molto poco realistici massimi, ma ancor di più di fronte al crollo verticale dei prezzi di alcune derrate alimentari (esemplare il caso del riso, calato di oltre due terzi rispetto al massimo toccato nei mesi scorsi), vi siano stati dei meri errori nelle stime dei fabbisogni e degli output, per non parlare poi delle stime catastrofiche allegramente diffuse dagli analisti di Goldman Sachs e di altre banche di investimento ed, anche in questo caso, anche di altre entità finanziarie, previsioni che hanno a loro volta drogato ancor di più il mercato e delle quali qualcuno dovrà pur rispondere nelle sedi più opportune!
Non ci crederete, ma, poche decine di minuti dopo la diffusione delle ben poco rassicuranti notizie descritte all’inizio di questa puntata, si è assistito ad un rimbalzo dei titoli delle maggiori entità finanziarie che non è assolutamente spiegabile soltanto in termini di ricoperture legate alle forti vendite avvenute nelle sedute precedenti, ma che rappresentano l’ulteriore evidenza della totale schizofrenia di un mercato finanziario globale sempre più simile ad un grande casinò a cielo aperto!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno, informando che gli stessi sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.