giovedì 21 agosto 2008

Il meltdown di Fannie Mae e Freddie Mac rinvia la resa dei conti su Lehman Brothers!


Una raffica di reports su Lehman Brothers da parte delle maggiori concorrenti ed una conferenza dai toni molto cupi, ma supportata da forti e valide argomentazioni, tenuta dall’ex Chief Economist dell’International Monetary Fund, non hanno certo aiutato a rasserenare il clima venato di forti preoccupazioni per le sorti della più piccola ma blasonata Investment Bank statunitense, alla cui guida è oramai rimasto soltanto Richard Flud, l’uomo che ha rimosso in modo fulmineo la precedente Chief Financial Officer ed il Chief Operating Officer, rei soltanto di aver cercato di rappresentare in modo onesto il difficile percorso di deleverage intrapreso da Lehman all’indomani dell’avvio della tempesta perfetta, impedendo di fatto alla brava e preparata Erin Callan di svelare alcuni dettagli nella conference call che avrebbe accompagnato i dati del secondo trimestre 2008 e che si sarebbe svolta soltanto pochi giorni dopo la precedente.

Senza più alibi per la sua guida molto ondivaga, Flud si sta muovendo in un modo che preoccupa molto gli analisti delle maggiori case di investimento, così come quelli a libro paga delle maggiori banche globali, anche perché è oramai perfettamente chiaro a loro, ma a questo punto anche al mercato, quale è il costo necessario per sbolognare quella roba alquanto tossica (la definizione è dell’attuale CEO di Merrill Lynch, John Thain, nella più volte citata intervista rilasciata a mary Bartiromo della CNBC) e credo proprio che non basterà frazionare la vendita tra più acquirenti, in quanto le locuste che si sono candidate all’acquisto dei poco meno di 30 miliardi di dollari al valore nominale di titoli della finanza strutturata non sono proprio dei benefattori disposti a pagare qualcosa dei più dei 22 centesimi per dollaro spuntati dopo defatiganti trattative da un duro come Thain in occasione della recente vendita di un analogo importo di CDO.

Quello che colpisce è che nessuno si stia prendendo la briga di calcolare quanti titoli della finanza strutturata stiano uscendo dai forzieri apparentemente senza fondo delle maggiori banche statunitensi e globali, quanti siano parcheggiati presso l’amplissima discarica gestita dalle donne e dagli uomini della Fed di New York (l’unico posto al mondo dove siano ancora valutati al 100 per cento), quanti siano stati svalutati e quanti siano ancora parcheggiati al di fuori dei conti delle banche e custoditi in appositi contenitori.

Ma quello che veramente manca è una stima anche soltanto approssimativa sugli ammontari di titoli nela disponibilità, si fa per dire, dei fondi di investimento, dei fondi pensione, nelle mostruose per dimensione divisioni finanza delle compagnie di assicurazione, ma soprattutto una suddivisione per area geografica che dia modo di capire, a prescindere dalla origination, le dimensioni delle fette di questa immensa torta dal sapore sempre più sgradevole e dall’aroma non proprio gradito al fine olfatto dei sensibilissimi investitori.

Quella dei top bankers delle banche globali appare, inoltre, come una sorta di moderna fatica di Sisifo, in quanto, grazie all’ostinazione dei procuratori di vari distretti giudiziari statunitensi, validamente supportati dalle donne e dagli uomini del Federal Bureau of Investigations, nonché di un vero e proprio stuolo di organismi federali e statali deputati al controllo delle varie componenti del mercato finanziario statunitense e di un non meglio precisato numero di gole profonde, le banche si stanno vedendo costrette a riacquistare un ammontare di titoli di dimensioni pressoché analoghe al volume complessivo di svalutazioni e messe a perdita faticosamente e dolorosamente realizzate in questi lunghissimi e travagliatissimi dodici mesi e spicci trascorsi dall’ormai storico 9 agosto del 2007, il giorno che vide il blocco totale della liquidità sul non certo secondario mercato interbancario europeo e la maxi immissione di liquidità da parte della BCE prima e dalle altre banche centrali poi, un aiuto al mercato che non è mai stato interrotto nei dodici mesi successivi.

Come ben sanno i miei pochi ma affezionati lettori (lo vedo dalle accurate statistiche gentilmente fornitemi dal servizio Analytics del mio provider Google), la questione del molto deteriorato clima di fiducia esistente tra le banche che si contendono il mercato finanziario globale rappresenta una questione cruciale che spiega in larga misura la persistenza e la virulenza di quella crisi finanziario che si è conquistata sul campo l’appellativo di tempesta perfetta e che le ha consentito di surclassare alla grande quella verificatasi nel 1907.

Avendo diffusamente parlato della grave crisi di Lehman Brothers, non voglio sottrarmi ad una possibile obiezione che qualcuno tra i più attenti tra i miei lettori potrebbe farmi se non avessi inibito i commenti su quanto scrivo in questo blog e che è rappresentata dalla notizia apparsa in questi giorni sull’acquisto di 9,5 milioni di azioni di Lehman effettuato da quel George Soros da me eletto, insieme al Leone di Omaha, Warren Buffett, come stelle di riferimento nella navigazione tra gli alti marosi della tempesta perfetta.

Non avendo alcuna pretesa di giudicare le decisioni di Soros, mi permetto di notare sommessamente che, nel mese di giugno, la quotazione di Lehman Bros. Si era riportata sul minimo toccato a febbraio a seguito di rumors provenienti da Singapore e che avevano determinato un calo verticale dell’azione del 50 per cento circa, un livello da cui aveva recuperato significativamente sino a tornare intorno ai 40 dollari, il che chiarisce perché il ritorno intorno ai 20 dollari verificatosi in giungo rappresentasse, per una vecchia volpe come Soros, l’occasione per una piccola scommessa che, ove si fosse rivelata azzeccata, gli avrebbe consentito di passare delle belle vacanze o di fare qualche altra opera di beneficenza!

Quello che veramente inizia ad inquietare gli analisti e gli operatori è invece i livello molto elevato raggiunto dagli interessi che le diverse grandi entità operanti nel mercato finanziario globale sono costrette a pagare per ottenere il denaro, un livello che è giunto a valori veramente elevatissimi per quanto riguarda le preferred shares che stanno consentendo rendimenti effettivi del 16 per cento nel caso di Freddie Mac, ma che si pongono appena al di sotto di quel livello per le altre banche di investimento o per le banche più o meno globali che sono state costrette in questi ultimi dodici mesi a fare ampio ricorso a questo tipo di emissioni, alla luce delle più che evidenti difficoltà incontrate nell’effettuare aumenti di capitale per via ordinaria, aumenti peraltro fortemente avversati dagli azionisti che temono come la peste l’effetto diluitivo derivante da tali operazioni, nonché il fatto che, come è accaduto nel caso dell’aumento di Socgen e di molti altri colossi creditizi, il prezzo richiesto si ponga spesso molto al di sotto di quello di mercato, finendo spesso per anticipare una tendenza che poi quasi invariabilmente si è tramutata nel livello delle quotazioni effettive, ove ovviamente non siano giunte a livelli anche molto inferiori.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.