Nella puntata di ieri ho volutamente ignorato le colpe per le quali anche Effe O Ixs, l’ineffabile presidente della Securities and Exchange Commission, andrebbe trascinato, insieme al duo Bernspan ed Henry Paulson, andrebbe trascinato davanti ad un tribunale per i suoi comportamenti, ma ancor più per le sue più che evidenti omissioni, nel corso della tempesta perfetta ancora virulentemente in corso da più di dodici mesi.
Ebbene, basterebbe uno sguardo alle contrattazioni di ieri alla borsa più importante del mondo, quella di Wall Street, per comprendere l’ignavia dell’uomo che al secolo è noto come Christopher Cox, uno che assiste imperturbabile ad oscillazioni paurose quotidiane di titoli come quello di Fannie Mae e Freddie Mac che, in particolare nelle ultime settimane sono andate come se si trovassero su montagne russe letteralmente impazzite, salendo ieri impetuosamente dopo che J.P. Morgan-Chase è stata costretta a comunicare proprio alla Sec di avere una perdita mark to market di 600 milioni di dollari su uno stock di perpetual preffered shares di Fannie e di Freddie pari a 1,2 miliardi, perdita del cinquanta per cento che, ovviamente, riguarda tutti i sottoscrittori dei titoli della specie ( soltanto le banche detengono perpetual preferred shares per 36 miliardi di dollari, mentre non è noto l'ammontare posseduto dagli investitori istituzionali e dalle compagnie di assicurazione) emessi dalla gigantesca ma molto malandata entità semipubblica che tuttora rappresenta una colonna portante del settore del mortgage statunitense.
Si tratta di una notizia che, peraltro si accompagna alla alquanto ferale news dei giorni scorsi che denunciava come sui titoli a cinque anni piazzati da Fannie e Freddie gli investitori siano giunti a spuntare rendimenti effettivi nell’ordine del 16 per cento, un combinato disposto che chiarisce a chiunque sappia far di conto che ogni strada ordinaria di finanziamento per le due entità è di fatto o preclusa, come nel caso delle perpetual preferred shares (uno strumento utilissimo in una fase in cui il mercato risponde con una pernacchia ad ogni richiesta di aumento di capitale mediante l’emissione di azioni ordinarie) o divenuta talmente onerosa da sfasciare qualsivoglia gestione di tesoreria.
Il bello è che il rally di Fannie e Freddie avveniva mentre il Dow Jones perdeva 250 punti ed anche gli altri indici segnalavano forti perdite, una situazione nella quale anche le autorità preposte alla sorveglianza di mercati azionari meno evoluti di quello statunitense sarebbero intervenute per sospendere le contrattazioni sino a che non fosse stata chiarita la così evidente anomalia, anche perché non voglio pensare che dietro gli anomali rialzi vi siano informazioni riservate sul piano di salvataggio pubblico delle due entità, un piano che secondo molti analisti doveva essere annunciato nello scorso week end, ma che forse è stato ritenuto poco opportuno dopo quanto è emerso nel corso del seminario estivo annuale organizzato dalla Federal Reserve a Jackson, seminario che si è svolto nello stesso week end ed ha visto emergere parecchie perplessità rispetto alla gestione della politica monetaria statunitense, nonché forti critiche rispetto al salvataggio, a spese del contribuente, di Bear Stearns da parte di J.P. Morgan-Chase.
Quali che siano le cause dell’evidente anomalia segnalata, il mancato intervento da parte della Sec risulta particolarmente grave, anche perché fa seguito ad analoghe omissioni avvenute da quando la tempesta perfetta ha preso il suo avvio, questi dodici lunghi mesi che hanno visto innumerevoli casi di oscillazioni paurose su titoli quali quelli di Lehman Brothers, Citigroup, Merrill Lynch ed un buon numero di altre banche di investimento e banche più o meno globali, per non parlare di quanto è accaduto nel caso delle due maggiori compagnie di assicurazione monoline, MBIA ed Ambac, che sono giunte a perdere sino al 95 per cento rispetto ai massimi segnati negli ultimi due anni, attraverso variazioni quotidiane all’insù o all’ingiù che giungevano sino a livelli del 30-40 per cento.
Una delle ragioni alla base del forte rialzo delle quotazioni delle azioni di Freddie Mac, quelle di Fannie Mae sono state molto più contenute, starebbe nell’assorbimento da parte del mercato dei titoli a breve emessi da Freddie per 2 miliardi, anche se gli operatori hanno volutamente ignorato il fatto che, anche per scadenze comprese tra tre e sei mesi, gli acquirenti hanno spuntato rendimenti di gran lunga superiore a quelli offerti, mentre il problema vero è rappresentato dalla necessità di rimpiazzare, nel prossimo mese di settembre, GSE per oltre 250 miliardi di dollari e sarà allora che ne vedremo delle belle.
Nello stesso fine settimana che doveva vedere il salvataggio di Fannie e Freddie è fallita la nona banca statunitense, il che, anche si tratta della Columbus, una piccola banca, non rappresenta certo un segnale rassicurante sulla tenuta di quel tessuto di banche di medie e piccole dimensioni che, insieme alla miriade di finanziarie che hanno fatto simultaneamente ricorso l’estate scorsa alla protezione della legge fallimentare statunitense, rappresentavano spesso l’unico possibile ricorso al credito per gli americani che vivono in località di provincia, anche se non va mai dimenticato che la precedente crisi bancaria dei primissimi anni Novanta ha determinato il dimezzamento delle banche operanti negli USA, ridottesi da 14.500 a 7.200, un numero residuo che può anche apparire elevato, ma che è rappresentato in larga misura da piccolissime entità che molto difficilmente riusciranno a sopravvivere alla tempesta perfetta in corso, così come è molto difficile che la Federal Deposit Insurance Corporation potrà continuare a venire incontro alle richieste dei titolari di depositi che eccedono il limite molto basso previsto per la garanzia totale.
Sempre ieri, gli operatori non avevano fatto in tempo a felicitarsi per il rialzo del dato relativo alle vendite in luglio di case esistenti (+3,1 per cento) che è giunta loro una secchiata di acqua fredda rappresentata dal forte calo dei prezzi ai quali le vendite sono state realizzate e dal vero e proprio balzo in avanti dello stock di case invendute, che con 5 milioni di unità ha portato ad un massimo di tutti i tempi il numero di mesi (11,3) necessari per smaltire lo stock di case invendute sempre che il ritmo resti quello registrato a luglio.
Ma quello che ha colpito ancor di più gli analisti e gli operatori è rappresentato dall’abnorme crescita delle vendite di case all’asta a seguito delle procedure denominate foreclosure, un tipo di vendite che non ha certo aiutato a tenere alti i prezzi delle case e che ha rappresentato, secondo le stime di un analista, una percentuale delle vendite effettuate nel mese di luglio compresa tra il 33 ed il 40 per cento, ma, anche in questo caso, non va sottovalutato che buona parte delle 750 mila abitazioni entrate in possesso delle banche verranno messe all’asta nel prossimo mese di settembre, con l’effetto depressivo sui prezzi che è molto facile immaginare.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.