domenica 17 agosto 2008

Le scelte di UBS determineranno l'abbandono del modello di banca universale? (prima parte)


Avendo deciso di approfittare della pausa di Ferragosto per prendere, come si suol dire, il toro per le corna, mi sono deciso ad esaminare il complesso argomento della sempre più evidente crisi del modello di banca universale, un modello che affonda nelle scelte successive alla crisi bancaria statunitense dei primissimi anni Novanta ed ha portato, via fusioni ed acquisizioni successive, agli attuali colossi del credito operanti pressoché in ogni ramo dell’attività finanziaria ed a livello assolutamente globale, una scelta che ha prodotto entità quali Citigroup, J.P. Morgan-Chase, UBS, ma che, e forse soprattutto, ha determinato una sempre minore distinguibilità tra le allora Big Five dell’investment banking statunitense e le banche universali originate, nella maggior parte dei casi, da solide banche commerciali che si accontentavano di esercitare al meglio delle loro possibilità e capacità l’arte dell’intermediazione creditizia, lasciando alle Investment Banks attività che era molto difficile esercitare sotto i vincoli della legge bancaria statunitense e l’occhiuta, almeno allora era tale, vigilanza della Federal Reserve presieduta da Paul Volker.

Il ruolo di uomini quali David Weill nel vincere le resistenze al nuovo modello bancario da lui propugnato per approfittare al meglio della fusione tra Citicorp e Travellers, nonché per utilizzare al meglio le acquisite Salomon Brothers e Smith Barney, è stato certamente molto più significativo di quello esercitato successivamente dall’avvocato d’affari e suo pupillo, Chuck Prince III, cui Weill, al termine del suo lungo regno, lasciò il compito di gestire l’immensa baracca ed occuparsi dei dettagli, cose che lui fece da par suo, finendo per essere drasticamente licenziato dopo un burrascoso colloquio tra lo stesso Weill ed il principe saudita Bin Al Whaleed svoltosi nella tenda ipertecnologica nel deserto di proprietà del miliardario arabo (sì, proprio quel Al Whaleed che si vide respingere l’assegno di 10 milioni di dollari per le vittime dell’11 settembre 2001 dal sindaco Giuliani), un colloquio dal quale scaturì non solo la messa alla porta del povero Prince, ma anche la promessa estorta allo stremato Weill che mai più un avvocato avrebbe guidato la banca, ottenendone, in cambio, la partecipazione del principe saudita all’aumento di capitale di Citigroup.

Non molto diversa è la storia della genesi, di UBS, YOU & US, nata dalla strombazzatissima fusione avvenuta, nel 1997, tra la Swiss Bank Corporation e la Union Bank of Switzerland, o quella del deal che portò alla fusione tra J.P. Morgan e Chase Manhattan Bank, dando così luogo a J.P. Morgan-Chase o il mega deal finalizzato a rendere britannico il colosso asiatico Hong Kong Shanghai Banking Corporation, formalmente acquisito da una banca britannica, né diverse, molto probabilmente furono le motivazioni che spinsero l’un tempo banca di proprietà statale Banque Nationale de Paris ad acquisire Paribas, dando luogo a BNP Paribas e via discorrendo.

La crisi delle Home & Saving Loans, una crisi costata nei primi anni Novanta oltre 400 miliardi di dollari, il salvataggio preteso ed ottenuto da Alan Greenspan dell’hedge fund LTCM nel 1998 ad opera di importanti banche statunitensi, la sempre più spinta deregolamentazione dell’attività finanziaria intervenuta negli Stati Uniti d’America, gli intrecciatissimi fenomeni della globalizzazione e delle finanziarizzazione, i crescenti conflitti di interesse delle società di rating, quelli ancora più clamorosi riguardanti le società di revisione/consulenza hanno contribuito a creare un mondo della finanza in cui tutti facevano tutto, pensando o illudendosi che questo avrebbe rappresentato la migliore polizza di assicurazione rispetto alle sempre possibili crisi o nei confronti dei sempre in agguato incidenti di percorso.

Ed è stato proprio un incidente di percorso, il clamoroso fallimento del colosso energetico Enron, guidato da un personaggio strettamente legato al clan dei Bush, seguito da quelli di Tyco e di Worldcom a mettere profondamente in crisi il modello, determinando la cancellazione della multinazionale della revisione, la mitica Arthur Andersen, un forte moto di reazione dell’opinione pubblica statunitense di fronte agli intrecci perversi tra le società fallite, le società di revisione ma che, allo stesso tempo, esercitavano attività di consulenza nei confronti degli stessi soggetti che erano chiamate a revisionare ed il mondo delle banche e della finanza, furono questi gli elementi che portarono all’approvazione di una legge bipartisan molto severa, la Sorbanes-Oxley che è stata alla base dei numerosi delisting di società europee che si erano fatte un vanto dell’essere state ammesse alla quotazione al New York Stock Exchange.

La decisione di UBS, YOU & US di cedere alle pressioni sempre più forti e sempre più popolari tra i suoi molto infuriati azionisti esercitate dall’un tempo amministratore delegato Anrold Luqman, a capo del fondo Olivant che di UBS è importante socio, affinché venissero splittate le attività di Corporate & Investment Banking dalle altre attività del colosso creditizio extracomunitario, annunciando, in contemporanea alla presentazione dei risultati del quarto trimestre consecutivo in rosso, di voler suddividere in tre tronconi le proprie attività, iniziando a separare le attività CIB da quelle di wealth management che, lo ricordo ai più distratti, rappresentano il vero core business di UBS e le consentono di essere leader indiscusso nel gestire i patrimoni dei ricchi di un numero di paesi appena inferiore a quelli rappresentati all’ONU.

Sarà un caso, ma credo proprio che le disavventure con la giustizia ed il fisco statunitensi abbiano pesato almeno quanto le critiche sempre più veementi di Luqman e la clamorosa ed inedita rivolta dei suoi solitamente tranquilli e satolli azionisti in una recente assemblea, anche perché gli impegni finanziari e quelli comportamentali assunti dal vertice di UBS in terra americana sono di quelli che rischiano veramente di lasciare il segno!

Come è accaduto nel caso pronto accoglimento da parte di J.P. Morgan-Chase e di UBS delle richieste ultimative del giovane ed ambizioso General Attorney di New York, Andrew Cuomo, e, nel caso di UBS, dei suoi colleghi del Massachussetts, che ha costretto o sta costringendo tutte le altre banche a precipitarsi a sottoscrivere accordi altrettanto impegnativi con i giudici, così anche nel caso della profonda riforma annunciata, una riforma che, almeno di fatto, rappresenta la fine definitiva del modello di banca universale, la decisione di UBS rischia di avere un impatto clamoroso sulle scelte che verranno presumibilmente assunte dai suoi maggiori competitors.

Anche se se ne sono perse le tracce, quel poco che è dato di sapere delle 65 misure annunciate dal presidente di turno del Financial Stability Forum, il giovane e preparato Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, con a fianco Henry Paulson e Benjamin Bernanke, rispettivamente ministro del Tesoro USA e presidente della Federal Reserve, nell’ormai famosa cena delle beffe svoltasi in margine ai lavori delle assemblee del FMI e della Banca Mondiale a metà di aprile, è dato proprio dall’estensione delle regole previste per le banche commerciali anche alle Investment Banks ed alle gigantesche attività finanziarie delle maggiori Corporations statunitensi, così come un irrigidimento delle stesse norme previste. La puntata di domani approfondirà le implicazioni dell’abbandono del modello di banca universale al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno, informando che gli stessi sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.