Se si vuole avere un’idea efficace dell’intensità degli alti marosi della tempesta perfetta è sufficiente dare un’occhiata al deal appena realizzato da Ambac Financials, una delle due maggiori compagnie di assicurazione monoline sotto tiro da parte dell’ampia schiera di ribassisti da almeno dieci mesi e che ha segnato non molte sedute fa un minimo a 1,02 dollari che si pone a poco più di un centesimo rispetto al massimo toccato dall’azione nella prima parte del 2007.
Ebbene, per evitare di ritrovarsi a pagare la somma di 1,4 miliardi di dollari in relazione alle garanzie prestate ad un ‘emissione di Collateralized Debt Obligations (CDO), Ambac ha accettato di pagare ben 850 milioni di dollari in anticipo sul momento nel quale l’eventuale default del sottostante avrebbe potuto determinare l’escussione della garanzia stessa, il che equivale ad una valutazione del titolo garantito pari a poco più del 39 per cento, una valutazione che un analista di Goldman Sachs interpellato dall’Associated Press ha prontamente definito in linea con il prezzamento corrente in relazione a titoli della finanza strutturata aventi caratteristiche similari, ma lontanissima da quella effettuata dalle donne e dagli uomini di Bernspan impegnati a tenere aperta giorno e notte l’ampia discarica aperta dalla Fed di New York che sconta questi titoli al valore nominale, fornendo in cambio liquidità per 84 giorni (erano 28 sino a pochi giorni fa) al tasso del 2,25 per cento, un tasso negativo in termini reali per poco meno di 300 punti base.
Alla luce di queste cifre, diviene molto più chiaro il motivo della brusca rimozione di Erin Callan dalla sua carica di Chief Financial Officer di Lehman Brothers alcune settimane orsono, così come quella del suo sfortunato collega allora impegnato come Chief Operating Officer nella stessa pencolante casa di investimenti, all’indomani di una lunghissima e molto eloquente conference call con analisti delle maggiori banche globali e pochi giorni prima di quelle spiegazioni che aveva loro garantito in sede di presentazione ufficiale dei dati del secondo trimestre e che avrebbero forse chiarito il mistero di una maxi svendita del 20-25 per cento degli assett di Lehman che era avvenuta senza l’emersione di un livello di perdite in linea con quelle evidenziatesi, ad esempio, in analoghe operazioni effettuate da UBS era stata pari al 22,5 per cento.
Il deal di Ambac chiarisce quello che molti dicono da molti mesi a questa parte, e cioè che anche una stima che valuta al 40 per cento il valore di buona parte dei titoli della finanza strutturata non è sempre attendibile, in quanto per alcune famiglie di titoli tale disastrosa valutazione appare ancora troppo generosa per la montagna di titoli della finanza strutturata (per un valore complessivo di migliaia, se non di decine di migliaia, di miliardi di dollari) che le Investment Banks e le banche più o meno globali sono state costrette dai regolatori statunitensi a classificare come Level 3, quegli stessi titoli che, per una decisione alquanto fatale assunta solo pochi anni fa, le monoliners avevano accettato di garantire, sedotti dalle allettanti sirene dell’alta finanza.
Il fatto che una notizia del genere abbia portato ieri sulle montagne russe le azioni di Ambac e delle altre maggiori compagni di assicurazione monoline (Ambac ha chiuso con una crescita del 50 per cento, pressoché dimezzata nell’after hours) testimonia efficacemente quali fossero le preoccupazioni nutrite dagli operatori sulle valutazioni effettivi delle attività sottostanti a buona parte dei titoli partoriti dalle fervide ed immaginifiche menti degli apprendisti stregoni operanti presso le fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, ma non credo di andare lontano dal vero ipotizzando che che, anche con oneri quali quelli evidenziati dal deal appena raggiunto da Ambac, la quinta ondata della tempesta perfetta avrà un’intensità tale da far apparire il tragico tsunami abbattutosi sull’Indonesia ed altri paesi limitrofi come un’innocua ondina di risacca!
Non se so corrisponda al vero la diceria che vorrebbe che, ieri sera, il leone di Omaha, Warren Buffett, abbia stappato più di una lattina di Coca Cola (azienda della quale il nostro è azionista rilevante) appena uno dei suoi collaboratori gli ha passato i primi dispacci di agenzia relativi alla transazione appena sottoscritta dai tremebondi vertici di Ambac, ma quello che è certo è che le prospettive della sua neonata compagnia monoline, così come quelle delle omologhe iniziative messe in piedi da altri miliardari coraggiosi si fanno, ogni giorno che passa, più rosee e tali da compensare dispiaceri provenienti da altri investimenti che risentono del clima generale.
L’uno due venuto, infatti, nelle due ultime sedute dell’ottava conclusasi ieri dalle notizie riguardanti il flop delle aspettative su un GDP statunitense rinvigorito dal fiscal restore attribuito in maggio dal Governo e dal Congresso degli Stati Uniti d’America ai contribuenti di quella nazione, così come l’ennesima perdita di buste paga evidenziata, anche nel mese di luglio, da quel Non Farm Payrolls che è giustamente considerato l’indicatore dall’impatto psicologico maggiore tra la miriade di dati e datarelli generosamente forniti dagli enti statistici federali, ha avuto un effetto sulle residue speranza degli operatori di ogni ordine e rango impegnati quotidianamente nel mercato finanziario globale, anche perché tutto si voleva, meno che vedere il tasso di disoccupazione statunitense portarsi di un balzo poco al di sotto della soglia psicologica del 6 per cento, anche considerando che si tratta di un dato che sottovaluta in modo strutturale l’effettiva situazione del mercato del lavoro, per non parlare poi di quel tasso di disoccupazione giovanile inchiodata ad un tremendo 20 per cento che vanifica le aspettative sul solito rimbalzo dovuto alle occupazioni estive degli studenti.
Come se non bastassero queste non proprio tranquillizzanti news, si apprende che si infittisce il numero di stati federali che mettono sotto accusa le banche per i comportamenti messi in atto nei confronti degli investitori ed è di ieri la notizia che Citigroup (che si è subito premurata di informare la stampa di essere in buona e folta compagnia) ha ricevuto la notifica ufficiale di un procedimento a suo carico per le auctions di titoli della finanza strutturata effettuate anche dopo che era noto nell’ambiente finanziario che lo stato di salute dei sottostanti dei titoli venduti non era più dei migliori, mentre, nei giorni scorsi, si era avuta notizia del procedimento intentato dallo “sceriffo” Cuomo nei confronti di quella UBS che inizia a considerare la sua presenza negli Stati Uniti d’America come una delle fonti principali di preoccupazione, in quanto si sta imbattendo, un giorno sì e l’altro pure, in grane giudiziarie che ai danni sul piano reputazionale rischiano di sommare rischi molto concreti su quello finanziario, per non parlare di quello massimo, rappresentato da misure volte a revocare in tutto o in parte la stessa licenza ad operare nel mercato finanziario statunitense, rischio favorito dal sempre più incandescente clima elettorale.
La tenuta del forte supporto a 120 dollari al barile per il prezzo del greggio rischia seriamente di essere messo a dura prova nelle prime sedute della prossima settimana e, pur rifuggendo come la peste le impostazioni dell’analisi tecnica, credo proprio che la rottura di questo supporto potrebbe aprire concretamente uno scenario ribassista che potrebbe vedere fatalmente il prezzo del petrolio occhieggiare alla previsione delle Sceicco Yamani che vede congruo un valore di 80 dollari!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.