lunedì 18 agosto 2008

Le scelte di UBS determineranno l'abbandono del modello di banca universale? (seconda ed ultima parte)


Come scrivevo ieri, il nuovo corso intrapreso dal colosso creditizio extracomunitario UBS rischia seriamente di rappresentare la fine del radicale processo di riorganizzazione del sistema creditizio statunitense, ma anche di quello globale, un processo che ha preso le mosse dalla crisi delle Saving and Loans nei primissimi anni Novanta e che ha visto un’estrema concentrazione che ha portato in un relativamente breve lasso di tempo il numero delle banche statunitensi da 14.500 a 7.200, ma che ha soprattutto creato le premesse per la creazione di un gruppo di testa formato da entità di dimensioni enormi e caratterizzate da un’operatività di tipo veramente universale.

Pur non venendo mai meno sul piano squisitamente formale, è tuttavia vero che, nel periodo considerato, si è assistito ad una crescita abnorme delle attività di Corporate & Investment Banking delle cosiddette banche commerciali, con particolare riferimento alle prime quattro banche statunitensi per capitalizzazione e ad un ristrettissimo numero di banche europee che hanno voluto adottare lo stesso modello fatto proprio da Citigroup, Bank of America, J.P. Morgan-Chase e Wachovia Bank, finendo tutte per avvicinarsi, fortunatamente mai eguagliandolo, il livello di leverage che ha mandato a gambe all’aria Bear Stearns e sta minacciando da presso Lehman Brothers, Merrill Lynch, Morgan Stanley e la stessa potentissima e molto preveggente Goldman Sachs.

L’unica differenza esistente in questo gruppo di multinazionali del credito che non supera le venti unità è rappresentata dal fatto che due di esse, Goldman Sachs ed UBS hanno iniziato operazioni veramente massicce di deleverege con almeno sei-nove mesi di anticipo sulle concorrenti, il che, alla luce degli ammontari veramente mostruosi di titoli della finanza strutturata da essi originariamente posseduti, direttamente o via Conduit e SIV, spiega perché ne stiamo ancora parlando al presente, pur essendo chiaro oramai anche ad un cieco che si tratta anche per loro di un presente tutt’altro che brillante e scevro da rischi molto pesanti.

Il problema è dato dal fatto che, mentre per UBS, You & US, è ancora possibile dare corso ad un processo di ritorno al passato, seppur doloroso ed irto di incognite, quale quello finalmente enunciato dal suo nuovo e molto criticato presidente, una svolta del genere non è assolutamente possibile né per Goldman Sachs, né per Lehman Brothers e Morgan Stanley che devono fare fronte alle conseguenze della coraggiosa mossa anticipatoria del nuovo Chief Executive Officer di Merrill Lynch, John Thain, che da navigatore di lungo corso in quel di Goldman, ha deciso qualche settimana orsono di tagliare la testa al toro e di liberarsi di buona parte dei CDO, da lui stesso considerati i più tossici tra i titoli della finanza strutturata, finanziando un’entità che si è fatta carico di titoli per nominali 30 miliardi di dollari circa al prezzo un po’ vile di 22 centesimi per dollaro e, per soprammercato, lo ha dovuto pure finanziare e prevedere clausole, a suo dire difficilmente concretizzabili, di riacquisto.

Non è un caso, quindi, se, nel solito week end ormai divenuto il momento per fare circolare le notizie più indigeste, siamo venuti a conoscenza dell’intenzione del numero uno, almeno per il monento, di Lehman Brothers, Richard Fuld di liberarsi di 10 miliardi di dollari di attività immobiliari e di oltre 29 miliardi di CDO ed altre piacevolezze a suo tempo partorite dalle fervide menti degli apprendisti stregoni della sua fabbrica prodotto, solo che stavolta non potrà continuare a menare i can per l’aia, né addossare un’altra i suoi errori alla brava Erin Callan o all’incolpevole Chief Operating Officer, avendoli già licenziati qualche tempo fa, così come difficilmente sarà in grado di spuntare qualcosa di più dei 22 centesimi per dollaro così faticosamente portati a casa dallo strapagato Thain.

Mi sono permesso di fare qualche conto sulla residua capitalizzazione delle Big Four dell’investment banking statunitensi e delle quattro principali banche, si fa per dire, commerciali ed il risultato è alquanto disastroso, pur tenendo conto del rebound alquanto drogato legato a quella assurda, molto selettiva ed asimmetrica norma temporanea tirata fuori dal cilindro dall’ineffabile Effe O Ixs (al secolo, Christopher Cox), in quanto le Big Four si trovano ad essere capitalizzate in borsa a poco più di 161 miliardi di dollari, meno di quanto lo erano un anno fa un paio delle allora Big Five, mentre le quattro Commercial Banks superano di poco, ovviamente tutte assieme, i 400 miliardi di dollari, per un totale complessivo per le otto entità considerate che si pone a 566 miliardi, poco più di un terzo di quanto le stesse venivano valutate dal mercato due anni orsono.

Pur dovendosi doverosamente tenere conto degli aumenti di capitale, anche se va detto che ben pochi si sono già trasformati nella acquisizione di azioni ordinarie, si tratta pur sempre di una flessione media che in modo approssimativo può essere valutata non discostarsi troppo da quel 60 per cento indicato, una flessione che si presenta molto omogenea nel dato complessivo riferito alle Investment Banks ed alle Commercial Banks, mentre quello che è certo è che sta salendo sensibilmente lo yield riferito all’indebitamento obbligazionario, anche per l’estrema esosità delle condizioni spuntate dai fondi sovrani e dagli altri grandi investitori che hanno accettato di sedersi al capezzale delle banche sottoscrivendo aumenti di capitale che per ora sono al massimo prestiti subordinati.

Non ho avuto il cuore forte abbastanza per analizzare la situazione di Fannie Mae, Freddie Mac o di Sallie Mae, né tanto meno quella delle due disastrate compagnie di assicurazione monoline, MBIA ed Ambac, anche se mi permetto di segnalare ad Effe O Ixs che i movimenti di segno opposto delle azioni di queste due entità ed il relativo indice di volatilità hanno raggiunto livelli non degni non solo di un mercato regolamentato quale dovrebbe essere il New York Stock Exchange, ma tali da non essere probabilmente accettati neppure da un allibratore operante in una sala corsa dove si accettano scommesse clandestine!

Ho avuto modo di ascoltare la doppia intervista che il più seguito telepredicatore d’America ha fatto ai due candidati alle elezioni presidenziali che si terranno a novembre negli Stati Uniti d’America e devo confessare che mi ha molto colpito il passaggio nel quale Obama dice di aver lavorato molto bene assieme al suo avversario Mc Cain ad una riforma radicale del sistema finanziario statunitense, una frase che è suonata quasi come un “addavenì baffone!” alle orecchie molto esercitate dei top managers delle diverse entità operanti nel mercato finanziario statunitense che non vogliono darsi pace della prossima dipartita dalla Casa Bianca di George W. Bush, così come di quella del loro ex collega John Paulson dallo strategico dicastero del Tesoro, così come farebbero bene a preoccuparsi della stabilità di impiego dei loro salvatori Bernspan, Effe O Ixs e di quella schiera di amici attualmente collocati nelle varie branche dell’amministrazione Bush e presso le varie Authority che, forse anche per questo, non brillano per la loro efficienza, né per la loro capacità di prevenire il disastro in corso.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno, informando che gli stessi sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.