giovedì 7 agosto 2008

The sooner you leave, the better, Mr Syron!


Non si era ancora spenta l’eco delle circostanziate accuse mosse, via intervista al New York Times, mosse dall’ex Chief Risk Officer di Freddie Mac, David Andrukonis che ha sostenuto che in una intervista rilasciata al New York Times, ha dichiarato di che il Chief Executive Officer, Richard Syron, non avrebbe assolutamente preso in considerazione i ripetuti e chiari segnali di allarme da lui inviati, proseguendo imperterrito nella sua politica alquanto indiscriminata di espansione dell’attivo, mostrandosi del tutto incurante dei rischi reputazionali e creditizi connessi alla sua strategia, che ieri lo stesso Syron si è dovuto cospargere il capo di cenere per una pessima trimestrale che non solo ha segnalato una perdita di 821 milioni di dollari, ma ha anche largamente superato in peggio le già cupe previsione degli analisti.

La travagliata entità semipubblica che, insieme a Fannie Mae, rappresenta spesso l’unica speranza per molti potenziali acquirenti di case di poter ottenere un mutuo a condizioni accettabili, ha registrato, nel secondo trimestre del 2008, spese relative ai crediti che superano di sei volte quelle dello stesso periodo dell’anno precedente, mentre è stata costretta ad effettuare accantonamenti per 2,5 miliardi di dollari, registrando, al contempo, una forte contrazione dei ricavi, passati dai 2,34 miliardi del secondo trimestre 2007 ad appena 1,69 miliardi nel secondo trimestre 2008, una flessione che sfiora il 30 per cento ed è trainata dalla pesantissima contrazione relativa alle garanzie per le case individuali, segmento che ha fatto segnare una perdita di 1,39 miliardi di dollari.

Come è noto, tutti gli sforzi della Federal Rerserve e del ministro del Tesoro, Henry Paulson e del finamente risvegliato Effe O Ixs, sono concentrati nel tentativo di non giungere obtorto collo ad una vera e propria nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, per il semplicissimo motivo che è del tutto improponibile il consolidamento dei 5.200 miliardi di dollari di GSE nel già altissimo debito pubblico americano, per cui i tre stanno agendo di concerto per evitare ad ogni costo che il bubbone scoppi, travolgendo con sé anche le ultime residue speranze di una ripresa del settore immobiliare almeno a partire dalla seconda metà del 2009.

L’ammissione di Fannie Mae e Freddie Mac allo speciale sportello aperto ormai da mesi dalla Fed di New York, il reiterato blocco delle operazioni allo scoperto sulle azioni delle due entità, blocco esteso sin dall’inizio alle altre diciassette maggiori entità creditizie operanti nel mercato finanziario statunitense, le dichiarazioni a raffica di un Paulson che, ogni giorno che passa, sembra sempre più uno che parla per dare coraggio soprattutto a sé stesso, il tutto senza neppure avere la decenza di costringere Fannie e Freddie ad adottare le stesse regole di comportamento delle altre banche quotidianamente assistite da Bernspan, sono tutte mosse che rappresentano un altro capitolo della saga infinita che vede gli interessi di Wall Street molto, ma molto più tutelati dalle autorità monetarie e da coloro che sono chiamati a vigilare sulla correttezza e la trasparenza del mercato finanziario, rispetto alle preoccupazioni che gli stessi nutrono per le sorti degli abitanti delle tante Main Street degli Stati Uniti d’America.

E’ in questo clima incandescente ed a soli due giorni dal primo anniversario della Tempesta Perfetta, che si sta tentando un’ulteriore sovvertimento di quelle poche regole rimaste in piedi dopo il ciclone di deregolamentazione favorito dalla cosiddetta reaganomics, la possibilità, cioè, che i fondi di private equità possano acquisire agli attuali prezzi stracciati quote molto rilevanti delle principali banche di investimento e di banche più o meno globali basate od operanti negli Stati Uniti d’America senza dover sottostare alle regole molto rigide esistenti negli States e che prevedono che venga considerato holding bancaria chiunque acquisisca più del 15 per cento di una banca, mentre è previsto il divieto di nominare membri del consiglio di amministrazione ove si raggiunga o si superi la soglia del 10 per cento.

Ormai più che scontato l’effetto della più che prevedibile decisione di Bernspan e complici di lasciare inalterati i tassi sui Fed Funds al 2 per cento ed il provvidenziale tasso ufficiale di sconto al 2,25, gli operatori non hanno accolto proprio favorevolmente né le “prove” del moral hazard riscontrabile nel comportamento di Richard Syron, né il pessimo segnale che giunge dalla sua Freddie che, nonostante gli eterni dubbi sulla corretta rappresentazione dei fatti di gestione da parte dei suoi top manager, si è vista costretta non solo a segnalare finalmente una perdita, ma anche a lanciare un chiarissimo profit warning per i trimestri a venire, mettendosi a vendere il vendibile e, per la soddisfazione di Effe O Ixs, hanno venduto i titoli di Fannie e Freddie che avevano materialmente in portafoglio.

In attesa di quanto accadrà il 13 agosto, dopo che la molto asimmetrica ed ancor più settoriale norma verrà definitivamente messa in soffitta, almeno a sentire i giuramenti degli alti dirigenti della Sec, perché allora le forze ribassiste represse per quasi un mese avranno modo di scatenarsi, dopo che Einhorn e gli altri suoi compagni di cordata hanno fatto denari a palate puntando sul più che certo rialzo delle quotazioni delle azioni delle diciannove entità protette dalle autorità, ma che già da ieri hanno deciso, probabilmente all’unisono, di girare le loro posizioni, liberandosi in tutta fretta di quanto avevano comprato a prezzi molto, ma molto più bassi.

Non paghe dei disastri tuttora esistenti sul mercato delle liquidità, si fa ovviamente per dire, interbancaria ad onta delle massicce e costanti maxi iniezioni di liquidità do loro offerte alle banche che continuano a limitare con il contagocce i soliti travasi verso l’esterno, le banche centrali dei maggiori paesi industrializzati continuano ad ostinarsi a cercare di influenza il mercato forex, provando in ogni modo a rafforzare un dollaro statunitense che dovrebbe, almeno in base ai fondamentali, a stare ancora, e di molto, più in basso dei livelli attuali e non è certo un caso se il gioco riesce molto meglio nei confronti dello yen (ieri servivano poco meno di 110 yen per acquistare un dollaro) che contro l’euro che, malgrado i loro sforzi, continua a restare aggrappato al supporto compreso tra gli 1,54 e gli 1,55 dollari, anche a causa delle attese sul differenziale tra i due tassi già di per sé molto elevato, ma che rischia di allargarsi ulteriormente nei prossimi mesi.

La vera novità delle ultime sedute è, comunque, rappresentata dall’avvio di una fase di squagliamento del prezzo del greggio e di tutte le altre materie prime, derrate alimentari, questa volta per fortuna, incluse, una flessione che ha toccato lunedì anche il 20 per cento rispetto ai massimi di poche settimane orsono, segno inequivocabile che, dopo lo sgonfiamento della bolla della finanza più o meno creativa, del correlativo meltdown del settore immobiliare, anche l’estremo tentativo delle banche di investimento, di quelle più o meno globali, dei fondi di investimento e, ahimé, anche dei fondi pensione di recuperare almeno parte di quei 1.400 miliardi di perdite sommerese dalle sempre più alte ondate della tempesta perfetta che, ad un anno quasi esatto dal suo avvio, è tuttora virulentemente in corso!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno che sono stampabili dal sito della UIL, dipartimento di politica economica.