Credo davvero che il balletto inscenato dagli analisti intorno alle tecnicamente fallite Fannie Mae e Freddie Mac rappresenti davvero uno dei punti più bassi raggiunto da una professione che pure non ha dato mostra nel passato più o meno recente di livelli accettabili di correttezza o di rispetto delle più elementari regole deontologiche.
Cosa sta accadendo da lunedì in quel di Wall Street è presto detto: di fronte alla segnalazione effettuata da J.P. Morgan-Chase alla Securities and Exchange Commission di dovere procedere a svalutazioni per 600 milioni di dollari su uno stock di perpetual preferred shares di Fannie e Freddie pari ad 1,2 miliardi di dollari, un warning che suona come una campana a morto per le altre banche di investimento e per quelle più o meno globali cui fa capo il resto dei titoli della specie, complessivamente ammontanti a 36 miliardi di dollari cui andrebbe applicata una svalutazione analoga a quella effettuata dalla banca dei nipotini di John Pierpoint Morgan e di quelli di Rockfeller, i nostri ineffabili analisti non hanno trovato di meglio che suonare la grancassa sul buon esito di un asta di titoli a tre ed a sei mesi per 2 miliardi di dollari effettuata da Freddie Mac a rendimenti, peraltro, significativamente superiori a quelli previsti.
Tanto è bastato a queste perle di analisti per sostenere che oramai non vi è più bisogno di quell’intervento pubblico, in realtà un vero e proprio salvataggio, che gli stessi analisti avevano per settimane dato per certo, sino ad indicare lo scorso week end come la data in cui il ministro del Tesoro USA, Henry Paulson, lo avrebbe annunciato, improvvisamente dimentiche del fatto che su scadenze più lunghe, Fannie e Freddie sono giunte a pagare anche tassi effettivi del 16 per cento, che nel solo mese di settembre andranno reperiti, via GSE a lunga scadenza, qualcosa come 225 miliardi di dollari che nessuno è ancora in grado di dire da chi potranno essere sottoscritti, per non parlare poi del più che raddoppio registrato da entrambe le entità nel tasso di mutuatari che si ostinano a non ripagare le rate dei propri mutui.
Non credo di essere troppo malizioso nel vedere in questa cortina fumogena che traspare da questi report ad un tanto al chilo lo zampino dell’attuale ministro del Tesoro statunitense, quell’Henry Paulson che, grazie alla lunga ed onorata militanza nella potente e molto preveggente Goldman Sachs, sa benissimo che non è certo questo il momento di far capire a quanti si ostinano a detenere azioni di Fannie e Freddie che si sta inesorabilmente avvicinando il momento in cui sarà costretto a tirare fuori dal cilindro l’ennesimo coniglio, una mossa che coinciderà con il pressoché totale azzeramento del valore già infimo delle azioni dei due pilastri del disastrato settore del mortgage a stelle e strisce.
Bisogna proprio dire che questo 2008 è veramente un anno bisesto, anno funesto per le Investment Banks e per le divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, in quanto dopo aver spesato sui rispettivi conti economici svalutazioni per svariate centinaia di miliardi di dollari, si sono ritrovate a dover riacquistare quanto avevano venduto nelle auction-term securities, una mazzata da 330 miliardi di dollari o giù di lì, mentre si trovano ora a dover svalutare almeno altri 18 miliardi soltanto per quelle perpetual preferred shares di Fannie e Freddie che erano state costrette a sottoscrivere alla luce della assoluta impossibilità per le due entità semipubbliche di procedere ad un aumento di capitale per via ordinaria, anche alla luce degli svariati flop che hanno caratterizzato gli aumenti di capitale di banche globali di ben diverso standing e certamente molto meno disastrate di F&F.
Poiché, come si suol dire, le disgrazie non vengono mai sole, la notizia della sempre più probabile ritirata della Korean Development Bank dall’intervento in soccorso di Lehman Brothers per la dichiarata contrarietà espressa dal governo coreano è stata certamente accolta con giubilo nell’esotico resort dal quale David Einhorn sta continuando imperterrito e del tutto impermeabile ai segnali che gli giungono dall’alto nella sua offensiva ribassista nei confronti di Lehman ed un numero imprecisato di altre entità protagoniste del mercato finanziario globale, anche perché ad aumentare il suo già rilevante volume di fuoco ha provveduto l’insensata mossa di Effe O Ixs che ha permesso a lui ed agli altri miliardari che si sono messi nella sua scia di realizzare immensi guadagni giocando al rialzo nel mese circa di durata del suo provvedimento che inibiva le vendite allo scoperto sulle principali diciannove entità elencate nella sua lista.
Sempre ieri, la Federal Deposit Insurance Corporation, l’ente federale che garantisce, sino ad un ammontare alquanto modesto, i depositi effettuati presso le banche statunitensi, ha reso noto che nel veramente orribile secondo trimestre del 2008 le banche a stelle e strisce hanno visto i loro profitti calare dell’86 per cento nei confronti dello stesso periodo dell’anno precedente, mentre, al netto delle nove banche già fallite, è giunto a 117 il numero delle banche operanti negli Stati Uniti d’America considerate dalla FDIC ufficialmente in difficoltà.
Non so quanto sia chiaro ai vertici dell’ente federale che rendere noto che un numero così elevato di banche non gode di buona salute, senza peraltro indicarne l’identità potrebbe provocare un deflusso di depositi, in particolare di quelli aventi un outstanding superiore al livello garantito, tale da fare impallidire quanto si è verificato l’estate scorsa nell’ormai celebre caso della poi nazionalizzata per disperazione Northern Rock, ma di tutto questo siatene pure certi che gli analisti a libro paga delle banche di ogni ordine e grado non avranno il tempo di occuparsi, impegnati come sono a scrivere quello che più conviene ai loro datori di lavoro!
Avendo dedicato parecchio spazio nelle ultime due puntate del Diario della crisi finanziaria al convegno estivo organizzato come ogni anno dalla Federal Reserve, non voglio passare sotto silenzio un accurato servizio che ci informa che, secondo gli alti papaveri della Fed, il livello dei tassi di interesse ufficiali non è affatto basso, quasi come se avere tassi di interesse reali negativi per 360 punti base nel caso del tasso sui Fed Funds o di 335 punti base nel caso del tasso ufficiale di sconto fosse una cosa normale.
D’altro canto, è più che evidente che, avendo ormai chiaramente Bernspan ed i suoi complici, l’unico obiettivo di cercare di salvare il salvabile nel meltdown finanziario che sta facendo inevitabilmente seguito all’irrisolvibile problema di un ordinato smaltimento della montagna di titoli della finanza strutturata sfornati a pieno ritmo, almeno sino a qualche mese fa, dalle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle banche più o meno globali, l’unica cosa che conta è mantenere al 2,25 per cento il biglietto di ingresso alla discarica a cielo aperto gestita dalla Fed di Ne York, l’unico luogo al mondo dove questa specie di titoli vengono ancora scambiati alla pari con denaro contante!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.