venerdì 8 agosto 2008

Lo sceriffo Cuomo costringe Citigroup e Merrill Lynch a restituire 20 miliardi di dollari ai loro clienti coinvolti nelle Auction-Rate Securities!


L’accordo raggiunto tra il nuovo sceriffo di New York e il colosso Citigroup in relazione alle accuse mosse dal brillante ed ambizioso procuratore per frode nei confronti degli investitori cui sono state complessivamente venduti dalle banche di investimento e da quelle più o meno globali titoli della finanza strutturata per complessivi 330 miliardi di dollari, via aste di aggiudicazione nelle quali le banche rassicuravano sulla assoluta tranquillità dell’investimento, è uno di quei deal destinati a fare scuola e che mettano all’angolo le altre banche statunitensi e globali chiamate in causa da Cuomo allo stesso titolo.

Per essere una banca che dichiara ai quattro venti la correttezza adamantina del proprio comportamento, appaiono quanto meno strani i termini dell’intesa che vede Citigroup impegnarsi al riacquisto della carta venduta per la bella somma di 7,5 miliardi di dollari, accettando, peraltro, a capo assolutamente chino, due multe da 50 milioni di dollari cadauna, mentre non sa se ne riceverà una terza ventilata da una dirigente della Securities and Exchange Commission che ha ritenuto di dovere tenere una conferenza stampa su quanto stava avvenendo; qualche ora più tardi, anche Merrill Lynch ha annunciato di aver raggiunto un'intesa simile e che restituirà 10 miliardi di dollari ai suoi clienti, mentre si sa che sono in corso contatti tra la procura dello Stato del Massachussetts ed il colosso creditizio extracomunitario UBS.

Per scoprire quali altre investment banks e banche più o meno globali saranno costrette dalla mossa di Citigroup ad aderire ad accordi extragiudiziali analoghi per evitare, come si sarebbe detto un tempo, inesorabilmente nel penale, è sufficiente dare una scorsa alle perdite registrate ieri dalla solita pattuglia di protagonisti della scena finanziaria newyorkese, tutti o quasi subissati di ordini di vendita relativi le loro stesse azioni e molto infuriati con l’esempio di discontinuità fornito dalla loro omologa che, evidentemente, punta a fare diventare un punto di forza quello che appariva ai più come un rischio reputazionale tutt’altro che irrilevante, nonché tristemente foriero di conseguenze sul piano civile e penale di tutto rilievo per l’azienda in quanto tale e per una pletora di suoi amministratori.

Non vorrei girare il coltello nella piaga, ma mi vedo costretto a ricordare come un accordo extragiudiziale quale quello raggiunto tra Cuomo ed i legali all’uopo incaricati dai vertici di Citigroup non esclude in alcun modo che i presunti danneggiati possano richiedere soddisfazione in sede giudiziaria individuale o collettiva del complemento a cento del proprio investimento, per non parlare poi degli eventuali danni che gli stessi ritengano di avere subito per il comportamento tenuto da Citigroup.

L’annuncio dei disastrosi risultati relativi al secondo trimestre da parte di American International Group, la maggiore compagnia di assicurazione statunitense non ha certo aiutato il clima depresso sempre più imperante tra gli operatori, i quali, dopo il terzo maxi rosso di fila da parte di AIG, stavolta per una cifra che supera i 5 miliardi di dollari, in larga parte dovuta all’andamento catastrofico dei credit default swaps, non riescono proprio più a prestare la dovuta attenzione alle giaculatorie animate da intenti rassicuranti, né tanto meno sembrano disposti a fidarsi delle mosse sempre più disperate di Bernspan e complici o di quel nocciolo duro di ex Goldman Sachs che è sempre più impegnato su entrambi i lati della barricata, parte con Henry Paulson al governo e parte impegnata ai vertici di un numero crescente di istituzioni finanziarie che, almeno in teoria, sarebbero concorrenti della stessa Goldman.

Ad un solo giorno dal primo anniversario della più grave crisi finanziaria mai registrata dal secondo dopoguerra, quella tempesta perfetta che ha già fatto impallidire il ricordo di quella che per prima prese questo nome nel lontano 1907, la piega assunta dagli eventi è tale da non consentire, per l’ennesima volta, né la celebrazione di un sereno week end, né, tanto meno, la programmazione di un periodo decente di ferie per una folta schiera di top bankers oramai del tutto esausti e, almeno stando a quanto riferiscono perfidamente le cronache ed i gossip, alle prese con mugugni o peggio delle loro consorti o fidanzate che in più di un caso si sono già rivolte a quei perfidi di avvocati specializzati in separazioni e divorzi, il che non sono assolutamente in grado di dire se rappresenti per gli interessati un rischio o un’opportunità.

Non è, peraltro, un mistero per nessuno il fatto che una parte non marginale dei Chairman e dei Chief Executive Officer delle più diverse entità operanti nel mercato finanziario costretti a passare la mano ad altri abbia avuto la forza di approfittare di questa quasi sempre dorata cacciata dall’Olimpo per cambiare radicalmente vita, lasciando più o meno volentieri le cure e gli affanni a persone più giovani o a quel manipolo di uomini pronti a tutto formati alla dura ed esigente scuola di Goldman Sachs, spesso cercando asilo in dorati resort che, guarda il caso, non sempre appartengono a Paesi dotati di accordi per l’estradizione di cittadini degli Stati Uniti d’America, in particolare se, in luogo di essere accusati di omicidi o di altri reati comuni, questi esuli si siano macchiati “soltanto” di reati finanziari reali o soltanto presunti da procuratori distrettuali dotati o meno di ambizioni politiche.

Dopo le alquanto ferali notizie provenienti dall’acciaccato numero uno operativo di Freddie Mac, costretto, nonostante un sistema di rappresentazione dei fatti di gestione ed in particolare delle criticità connesse alla stessa alquanto discusso da anni da una folta schiera di critici, ad annunciare una consistente perdita nel secondo trimestre, ma, soprattutto, ad emettere un inquietante profit warning per i trimestri a venire, è stata ieri la volta del colosso Wal Mart ad evidenziare la totale evaporazione in luglio degli effetti della maxi restituzione fiscale avvenuta in maggio, deludendo le aspettative degli analisti, ma mai quanto è avvenuto nel caso dei suoi principali concorrenti che hanno addirittura segnato flessioni tutt’altro che marginali nelle rispettive vendite realizzate nello stesso mese.

La delusione degli operatori rispetto alla performance della catena di discount più aggressiva in assoluto nel panorama delle vendite al dettaglio statunitense ha fatto seguito al dato sulle richieste di sussidi di disoccupazione settimanali che ha bellamente dimostrato che quello della settimana precedente (445 mila) tutto era meno che un errore statistico o un dato stagionale, ma soltanto il preludio dell’ulteriore peggioramento comunicato ieri e che ha visto salire di ulteriori settemila richieste il precedente e certo non esaltante dato, il tutto mentre il dato riferito alle ultime quattro settimane continua a tenersi, e di parecchio, al di sopra della soglia psicologica dei 3 milioni di sussidiati.

L’unica nota di consolazione continua a provenire dal fronte del prezzo del greggio e delle altre materie prime che sembrano irrimediabilmente avviarsi verso ulteriori e non si sa quanto ordinate flessioni, peraltro perfettamente in linea con le sempre più pessimistiche previsioni sull’andamento cedente della domanda, previsioni che erano ben note anche quando autorevoli analisti si produssero in vaticini che andavano dai 200 dollari al barile in su!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno, informando che gli stessi sono disponibili sul sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.