Il piccolo sforzo richiesto nelle sue ultime puntate ai miei pochi ma affezionati lettori, rappresentato dal breve excursus sulle differenze tra l’informazione statistica cui sono abituati in Europa e la più ricca, ma un po’ particolare, messe di dati statistici messi a disposizione degli analisti statunitensi mi consente più agevolmente di affrontare la pessima notizia piombata ieri di prima ora su Wall Street e coincidente con il tracollo dei redditi personali in luglio e con un mini incremento dei consumi che, ove opportunamente depurato del particolarmente significativo impatto dei prezzi, denota un calo dello 0,4 per cento, pressoché quadruplo di quello già registrato in giugno.
La notizia ha letteralmente annichilito gli analisti, ma soprattutto gli economisti che lavorano nelle società di previsione, in quanto è evidente che un andamento simile non era stato assolutamente previsto, anche perché si tratta dei mesi sui quali doveva dispiegarsi appieno l’effetto di quell’alquanto dissennato fiscal restore deciso in modo del tutto bipartisan dal Congresso e benedetto dal duo Bush-Paulson, un’iniezione per complessivi 165 miliardi di dollari, 93 dei quali risultano materialmente pervenuti ai beneficiari entro il 15 di luglio.
Su questo veramente insensato intervento a pioggia, credo veramente di avere già detto tutto, ma non posso esimermi dal sottolineare come un impegno finanziario di questa o anche di inferiore portata avrebbe consentito di rinegoziare buona parte dei mutui più a rischio di insolvenza, come peraltro aveva detto già nel settembre del 2007 la brava responsabile dell’ente federale deputato ad occuparsi di questo argomento, una persona che, grazie anche al solido buon senso che caratterizza normalmente le donne, era andata direttamente al cuore del problema, che era, ed è, rappresentato dalla necessità di disinnescare le clausole contenute nei sub prime e nei micidiali ARM, mutui che garantiscono condizioni iniziali veramente irrisorie, ma che poi, passato questo periodo di grazia, prevedono rate anche multiple di quelle iniziali, non più supportate da quel costante rialzo del valore delle abitazioni verificatosi puntualmente sino a metà del 2007.
Non vorrei che passassero nel tritacarne della memoria le parole che ebbe a dire il cattivo Maestro Alan Greenspan in una storica audizione presso la Commissione bancaria del Senato degli Stati Uniti d’America, quando, con il solito modo sornione che lo caratterizzava, sussurrò agli estasiati senatori che chi non aveva rifinanziato il proprio mutuo aveva perso decine di migliaia di dollari, una vera e propria istigazione ad utilizzare quella che è stata la più significativa forma di finanziamento di consumi più o meno voluttuari che le banche di ogni ordine e grado proponevano ai loro clienti e che ha rappresentato una colonna portante del mito della crescita senza crisi, un mito che si è tristemente infranto l’estate dell’anno scorso sugli alti marosi della tempesta perfetta tuttora in corso.
Non vorrei essere nei panni dell’erede del Maestro, Bernspan, né in quelli dei suoi complici ancora in libertà ed ancora membri del federal Opne Market Committee, persone che, prese una per una, saranno anche brave e competenti, ma che, sottoposti alle energiche e persuasive pressioni degli inquilini dei grattacieli di Wall Street, hanno distrutto quel poco che restava della credibilità di quella Federal Reserve istituita soltanto nel 1913, sei anni dopo la prima tempesta perfetta, quella che nel 1907 fu disinnescata da quel pirata, ma molto competente, che rispondeva al nome di John Pierpoint Morgan, uno che salvò, non certo per motivi filantropici, baracca e burattini staccando assegni ai terrorizzati operatori che volevano chiudere in anticipo la borsa, assegni garantiti dal carico d’oro stivato nel transatlantico Lusitania già salpato da un porto inglese e diretto a New York!
Ma perché è così importante il comportamento dei consumatori statunitensi? Ma per il semplicissimo motivo che, in un’economia come quella statunitense che ha finito sempre di più per somigliare ad un’immensa catena di Sant’Antonio, oltre due terzi del GDP sono attribuibili alle loro, più o meno sensate, decisioni di spesa, spesso effettuate attraverso lo zip zip di quelle micidiali armi letali rappresentate dalle loro carte di credito che un telepredicatore molto in voga fa distruggere da consumatori molto indebitati ed altrettanto pentiti tra il tripudio dei fedeli presenti e della moltitudine di quelli collegati via apparecchio televisivo o via web.
Come ricordava un molto diffuso quotidiano italiano, una di queste fedeli è rinata dopo avere distrutto la sua vita attraverso l’uso alquanto spregiudicato di ben cinquecento diverse tesserine di plastica, ottenute anche grazie alle aggressive politiche di marketing finanziario che da qualche tempo ascoltiamo anche nelle pubblicità che oramai fanno la parte del leone nell’advertising sui media di ogni genere e natura.
Lasciando per un attimo da parte i “consumatori anonimi” e le loro più o meno sincere conversioni sulla via dei valori salvici del risparmio, mi trovo costretto ad affrontare un'altra anomalia delle statistiche statunitensi e, cioè, quella della depurazione dell’inflazione osservata dai cosiddetti elementi volatili, rappresentati da quelle quisquiglie e pinzillacchere dei consumi energetici e di quelli alimentari, una trovata che forse può essere adatta per molto evoluti extraterrestri, ma è difficilmente applicabile, e tanto meno, secondo l’opinione di uno dei tanti premi Nobel per l’economia che insegnano negli Stati Uniti d’America, alle donne ed agli uomini in carne ed ossa, figuriamoci a volerla prendere in considerazione nel caso della specie più vorace di cavallette esistenti sul nostro pianeta: le consumatrici ed i consumatori made in USA!
Il problema è rappresentato dal fatto che, in margine al brutto dato su redditi e consumi personali diffuso ieri, anche operando questa alquanto originale depurazione, Bernspan ed i suoi complici assisi ai loro scranni del FOMC sono nei guai, in quanto sono nella spiacevole situazione di dovere spiegare per quale motivo i tassi a cui si finanziano presso gli sportelli o la discarica a cielo aperto per trasformare la spazzatura rappresentata dai titoli della finanza strutturata che nessuno vuole più in denaro contante da restituite comodamente ad 84 giorni data risultano oggi negativi, ove espressi in termini reali, per un valore che va dalle decine alle centinaia di punti base, a seconda che si usi l’inflazione vera o quella talmente depurata che non si sa a chi si riferisca, se agli abitanti della Terra o a quelli di Marte.
Apprendo solo ora che tra il luglio e l’agosto del 2006, l’appena insediato ministro del Tesoro statunitense, l’ineffabile Henry Paulson, fu messo in guardia da due dei suoi vice sui problemi che già allora affliggevano le due colonne semipubbliche dell’immenso settore del mortgage, Fannie Mae e Freddie Mac, e che l’investment bunker avrebbe prontamente replicato che, nei suoi lunghissimi anni al vertice della molto potente e certamente preveggente Goldman Sachs, non gli era mai capitato di perdere il sonno per le sorti di due istituzioni della cui solidità era più che certo!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.