Come ho avuto modo di ricordare più volte nel Diario della crisi finanziaria, dispongo di una strumentazione di bordo che mi consente di orientarmi tra i sempre più alti marosi della tempesta perfetta che ha ormai doppiato la boa del suo primo anno di vita, ma, e forse soprattutto, ho la fortuna di poter applicare il metodo di analisi e di interpretazione dei fenomeni economici donato a tutta l’umanità dal mai troppo compianto economista inglese John Maynard Keynes e di due stelle polari dell’attuale firmamento finanziario che corrispondono ai nomi del leone di Omaha, Warren Buffett, e di George Soros, l’uomo che intuì il bluff sotteso agli irrealistici valori della sterlina britannica e della lira italiana nei primissimi anni Novanta e che costrinse le due valute ad una alquanto ignominiosa uscita dall’allora vigente Sistema Monetario Europeo e che ha svolto un ruolo non secondario negli avvenimenti che hanno posto fine al blocco sovietico.
Anche se molti sostengono che si tratta di due persone che hanno fatto un po’ il loro tempo, continuo a ritenere che non siano ancora apparsi all’orizzonte personaggi in grado di svolgere, nei rispettivi e così diversi ambiti di attività dei due anziani finanzieri, un ruolo solo lontanamente paragonabile a quello svolto in campo assicurativo, bancario ed industriale da Buffett ed in quello della finanza da Soros, anche se devo dire che le ultime mosse del miliardario ed hedge funder David Einhorn ricordano, per la grinta e la determinazione dimostrate, un po’ le gesta di Soros quando osò sfidare il sistema delle banche centrali dei paesi dell’Unione Europea e seppe resistere ad un pressing economico e psicologico che avrebbe indotto chiunque altro a ritirarsi in buon ordine.
E’ anche in base a tutto ciò, che confesso di aver appreso con piacere che la holding di Buffett, Berkshire Hataway, ha ancora una volta sorpreso gli analisti interpellati da Thomson Financial comunicando dei più che lusinghieri risultati relativi ad un secondo trimestre 2008 che tanti dolori ha portato alla maggior parte delle diverse entità che operano nel mercato finanziario statunitense, ancor oggi costola fondamentale del mercato finanziario globale, non solo e non tanto perché ha gratificato i suoi molto fedeli e conservativi azionisti con un utile di 1.859 dollari per azione che, pur in flessione dell’8 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, supera del 36 per cento circa il consensus di mercato, ma per il balzo in avanti dei ricavi, passati dai 27,3 ai 30,1 miliardi di dollari, il che non era assolutamente né facile, né prevedibile.
La flessione dell’utile di Berkshire è, peraltro, totalmente ascrivibile all’alquanto disastrato settore assicurativo e ad un miliardo di dollari di perdite su derivati, ma ricordo che è proprio nel settore più malandato del comparto assicurativo, quello delle monoliners, che Buffett sta concentrando la maggior parte delle sue attenzioni, convinto come è che, grazie anche alle scellerate scelte dei vertici dei puridegradati colossi MBIA ed Ambac, vi è un grande spazio per una compagnia che torni a focalizzare la propria attività sul molto redditizio comparto dei munibonds, cioè delle obbligazioni emesse da quella pletora di entità pubbliche statunitensi che vano dai municipi agli stati, passando per le contee, una vera e propria gallina dalle uova d’oro per chi non ha alle spalle la zavorra delle garanzie prestate a quei titoli della finanza strutturata partoriti dalle fervide menti degli apprendisti stregoni delle Investment Banks o delle divisioni di Corporate & Investment Banking dele banche più o meno globali.
Non ha mai creduto all’immagine che lo stesso Buffett ama fornire di sé stesso, quella di un anziano investitore venuto su dal nulla, un uomo semplice, avverso e quasi non in grado di comprendere quanto di nuovo è emerso nella finanza dalla fine degli anni Settanta ai giorni nostri (celebre è la sua lapidaria frase sulle dot.com e su gran parte delle aziende che portarono il Nasdaq dalle stelle alle stalle), mentre credo proprio che pochi come lui siano in grado di comprendere sia le prospettive del mondo che gravita intorno ad internet o i prodotti più sofisticati dell’ingegneria finanziaria, ma che semplicemente se ne tenga accuratamente alla larga, per il semplicissimo motivo che, nella sua lunga ed intensa vita, ha avuto modo di vedere che triste fine fanno le iniziative che non sono basate su un solido progetto ed un’altrettanto collaudata governance, o le catene di Sant’Antonio che alla fine lasciano sempre il cerino accesso in mano a qualcuno.
Le centinaia, se non migliaia, di membri dei board of directors che hanno avuto la ventura di avere il leone di Omaha come collega, spesso a presidio di una solida fetta dell’azionariato, hanno imparato a conoscere le sue qualità, soprattutto il suo grande buon senso unito alla ferma convinzione che il medico pietoso rende la ferita purulenta, mentre l’altrettanto stuolo di manager di quelle corporations è stata presto costretta a capire che, lui presente, era molto difficile appropriarsi di quel ruolo decisionale che dovrebbe sempre spettare agli azionisti e non a colo che questi nominano come gestori della società.
Credo che una delle cose che più avrebbero dovuto rammaricare Buffett è il non riconoscimento del suo ruolo davvero fondamentale nell’introduzione di concetti quali lo sviluppo sostenibile nelle tante compagnie di cui si è occupato, un concetto ancora una volta quasi esclusivamente basato su quella merce così rara che è il buonsenso, mentre credo che gli venga proprio l'orticaria ascoltando le giaculatorie sulla responsabilità sociale dell’impresa, né credo si sia mai preso la briga di leggere un cosiddetto bilancio sociale, quella sorte di invenzione che spesso non vale la carta su cui è stampata.
So bene di esprimere un’idea controcorrente, ma ritengo proprio che molto spesso le carte dei valori, i codici dei principi deontologici, le carte di integrità, i rating etici e gli stessi bilanci sociali di impresa non siano che espedienti per nascondere le vere azioni, nella maggior parte tutt’altro che etiche, compiute dai vertici delle aziende di ogni ordine e specie, così come credo fermamente che basterebbe evitare i comportamenti border line o quelli apertamente fraudolenti, partendo dalla semplicissima considerazione che ogni intrapresa economica debba rispettare le leggi, i regolamenti e, the last but not the least, quello che detta la propria coscienza, sempre che se ne abbia una, si intende!
Non credo proprio che sia un caso se Buffett e il suo amico che divide con lui da lungo tempo la responsabilità di gestire la Berkshire abbiano trascorso buona parte degli ultimi anni alla ricerca di coloro che dovranno gestire il gruppo in un futuro non troppo remoto, scelta che dovrebbe essere semplicissima nel paese che ospita il fior fiore dei corsi post laurea in business & administration, ma che, almeno in base ai loro personalissimi parametri di giudizio, si è rivelata l’impresa più ardua e faticosa della loro vita, al punto da escogitare una specie di concorso aperto che ha consentito loro di selezionare quattro candidati che verranno accuratamente testati nei prossimi ani per giungere infine alla scelta definitiva, non senza avere chiarito ai quattro fortunati che non esiste alcuna sorta di automatismo in relazione al fatto che, alla fine, sarà uno di loro ad ereditare le redini del comando del gruppo!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno, informando che gli stessi sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.