Confesso molto tranquillamente che ignoravo del tutto l’esistenza di questo seminario estivo annuale organizzato dalla Federal Reserve a Jackson, località certamente amena del Wyoming, Stato noto per gli importanti tornei di pesca che ivi si svolgono, così come confesso altrettanto tranquillamente che avrei voluto essere una mosca per ascoltare indisturbato sia i discorsi introduttivi di Bernspan e Mario Draghi, rispettivamente numero uno della Fed e presidente del Financial Stability Forum, nonché quelli interventi di numerosi analisti ed accademici che hanno messo sotto accusa la politica seguita in questi dodici mesi di tempesta perfetta dalla Fed e dal Governo statunitense, viste come troppo vicine agli interessi di Wall Street, segnatamente a quelle del comparto finanziario, piuttosto che a quelle dell’economia intesa nel suo complesso e, soprattutto, il vero e proprio alzare le braccia di Bernspan e dei suoi complici del Federal Market Open Committee rispetto alla montante inflazione, giunta, sia con riferimento ai prezzi alla produzione che a quelli al consumo, a livelli mai visti da lungo tempo e che si accompagnano ai livelli veramente infimi toccati dai tassi ufficiali, con quello sui Fed Funds al 2 per cento ed il tasso ufficiale di sconto al 2,25 per cento.
Forse ci voleva proprio un docente della London School of Economics and Political Science, William Buiter (che, per inciso, insegna politica economica europea) per rompere il ghiaccio dopo i discorsi tenuti da Bernspan e da Mario Draghi, che in questa occasione devono avere in qualche modo confermato i sospetti avanzati dal ministro italiano dell’Economia sul fatto che non sia stato del tutto saggio affidare ai banchieri centrali il compito di analizzare le cause della tempesta perfetta ed individuare gli opportuni rimedi (resterà storica la frase che pressappoco diceva che fare così equivale a mettere i topi a guardia del formaggio), e l’europeizzato Buiter non ha deluso, dando voce all’insoddisfazione degli economisti e degli analisti per quella serie di misure adottate dalla Fed di concerto con il Tesoro statunitense e che sono state universalmente viste come una robusta stampella fornita alle Investment Banks ed alle banche più o meno globali, misure che hanno letteralmente dissolto le poche regole sopravvissute alla micidiale deregulation degli ultimi decenni e culminate nel salvataggio di Bear Stearns, vero preludio a quanto ci prepariamo a vedere nel complesso caso delle tecnicamente fallite Fannie Mae, Freddie Mac e Sallie Mae.
Ho scritto troppe volte che quelle sul fermo contrasto di ogni forma di moral hazard o sulla definitva messa in soffitta del concetto un po’ old economy del too big to fail rapprendano al più delle tavolette che Bernspan, Henry Paulson e l’ineffabile Effe O Ixs raccontano ai loro nipotini nelle fredde sere di inverno, ma che, quando le cose si mettono male, e stavolta sono messe davvero molto, ma molto male, l’unico obiettivo dei tre è quello di fare il possibile e l’impossibile per ridurre i danni per gli abitanti dei grattacieli di Wall Street, piuttosto che preoccuparsi di inezie quali la stabilità dei prezzi, la tutela dei risparmiatori/investitori, la messa al bando di agenzie di rating che sembrano un solo e gigantesco conflitto di interessi, la revoca della licenza all’esercizio del credito per entità straniere di colossali dimensioni che si sono prodotte in comportamenti, quali quelli imputati ad UBS, che non erano francamente immaginabili e che, a mio modesto avviso, erano tutt’altro che inevitabili.
Non vorrei che, sotto un vero e proprio fuoco di fila di un informazione che è quasi un eufemismo definire embedded e di analisti a libro paga delle principali entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, nonché di uno stuolo di economisti ad un tanto al chilo, dimenticassimo quali e quante sono state le anomalie evidenziate dal comportamento di Bernspan, del banchiere di investimento di lungo corso prestato in un momento molto opportuno alla politica, Henry Paulson e di quella sorta di smemorato di Collegno che da mesi appello come di Effe O Ixs!
Poiché mai come in una fase turbolenta come è l’attuale è vero che repetita iuvant, mi permetto di fare un breve elenco di queste anomalie, iniziate con il vero e proprio panic cutting che ha colto bernspan ed i suoi complici del FOMC, l’apertura di quella e propria discarica per accogliere i titoli della finanza strutturata al valore facciale dando in cambio denaro buono, il via libera all’accesso a questo anomalo sportello anche dei camion provenienti da quelle Investment Banks che, in base alle regole attuali, non sono affatto vigilate dalla Fed, un salvataggio a carico del contribuente di una Investment Banks da parte della banca dei nipotini di John Pierpoint Morgan e di quelli di Rockfeller (J.P. Morgan-Chase) e via discorrendo.
Alle mosse un po’ scomposte ed al di fuori delle previsioni di legge e regolamentari esistenti da parte di Bernspan hanno fatto da contrappunto quelle ascrivibili all’ex numero uno di Goldman Sachs, assurto nel giugno del 2006 alla massima responsabilità del dicastero del Tesoro statunitense, Henry Paulson, che, un po’ per celia un po’ per non morire, ottenne di avere come vice due suoi ex collaboratori in Goldman, un’elenco alquanto lungo che inizia con la strana riunione da lui indetta in un torrido fine settimana di settembre dello scorso anno con trenta banchieri per trovare qualcuno talmente disperato da aderire ad una sua idea, il Master Enhance Liquidity Conduit, varata con fanfare e squilli di tromba e poi abortita in soli tre mesi, per passare per le molteplici dichiarazioni sulla luce sempre più vicina alla fine del tunnel che hanno portato a zero la sua residua credibilità, per giungere al suo apporto determinate all’incredibile salvataggio dell’orso di Stearns, ai progetti ancora coperti per quelli delle entità semipubbliche impegnate nel comparto del mortgage e, the last but not the least, un faraonico programma di revisione degli organismi preposti alla vigilanza sulle svariate entità operanti nel mercato finanziario a stelle e strisce che, per unanime ammissione dei protagonisti, avrebbe impegnato il Congresso per almeno tre legislature!
Eppure, l’uomo che per così lungo tempo ha ricoperto le cariche di Chairman e di Chief Executive Officer della potente e molto preveggente Goldman Sachs disponeva di informazioni certamente molto più puntuali e dettagliate di quelle a disposizione del mite professore di economia dell’ateneo di Princeton letteralmente catapultato al vertice della Fed dopo diciannove anni di gestione disinvolta del Maestro Alan Greenspan, quel Benjamin Bernanke rapidamente trasformatosi in Bernspan, e Paulson le aveva talmente che la sua banca risulta essere l’unica ad effettuare un selvaggio processo di deleverage sin dal lontano mese di settembre del 2006, attraverso la vendita di montagne di titoli della finanza strutturata alle inconsapevoli concorrenti, ai fondi di investimento, ai fondi pensione, agli hedge funds, alle altre banche di investimento, alle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, alle compagnie di assicurazione e chi più ne ha ne metta.
Di Effe O Ixs (al secolo Christopher Cox, numero uno della Securities and Exchange Commission) mi rifiuto di parlare, anche perché basterebbe ricordare il particolare dello smantellamento del dipartimento che avrebbe dovuto prevenire le crisi nel settore bancario e la frettolosa, recente assunzione di duecento persone a botto già avvenuto per capire di che pasta è fatto l’uomo!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.