Non deve essere affatto piacevole passare da una raccolta netta di patrimonio gestito di oltre 30 miliardi di dollari nel secondo trimestre del 2007 ad un deflusso di 44 miliardi nello stesso periodo di questo pur orribile 2008, anche se va detto che si tratta di due periodi assolutamente non comparabili tra di loro, in quanto i veri segnali del disastro finanziario si sono visti con chiarezza solo a partire dal mese di luglio dell’anno scorso, ma che ebbe il suo clou il 9 agosto del 2007.
Forse nemmeno Arnold Luqman, l’ex Chief Executive Officer di UBS ed ora guida spirituale del fondo Olivant che raggruppa numerosi ed importanti azionisti del colosso creditizio extracomunitario, aveva in mente un disastro di queste proporzioni quando inviò la famosa lettera nella quale intimava al board of directors di UBS di splittare le attività di Corporate & Investment Banking al fine di salvare il resto della prestigiosa banca elvetica che della gestione dei patrimoni dei ricchi di tutto il mondo ha fatto la sua mission principale, anche grazie alla riservatezza che ha sempre garantito ai possessori dei patrimoni stessi ed al sommo disinteresse mostrato dai suoi dirigenti per la vera origine di quel denaro.
Quello che neppure Luqman poteva prevedere è che le disinvolte pratiche di spallonaggio dei patrimoni di almeno ventimila contribuenti americani alquanto infedeli e dotati di scarso senso patriottico, quando lo stesso è riferito alle richieste del severo fisco statunitense, avrebbe provocato maggiori danni alle floride attività a stelle e strisce di UBS, costretta dalle dichiarazioni di una gola profonda interna che si è dimostrata oltremodo collaborativa nei confronti dei magistrati inquirenti ad operare una vera e propria autocritica su comportamenti che rischiavano di creare una crisi diplomatica tra USA e Confederazione Elvetica, ma soprattutto mettevano a serio rischio la licenza ad esercitare il credito negli Stati Uniti d’America.
Poiché è proprio vero che piove sempre sul bagnato, UBS è stata una delle banche più leste ad aderire alle ferme richieste dei magistrati dello Stato del Massachussetts che hanno strappato alla banca un impegno a riacquistare auction-term securities per oltre 18 miliardi di dollari, un deal analogo a quello sottoscritto tra la procura di New York e due banche di primaria importanza quali Citigroup e Merrill Lynch, mentre è di lunedì la notizia che sono pervenute altre garbate ma ferme missive del nuovo sceriffo di New York, Andrew Cuomo, a J.P. Morgan-Chase, Morgan Stanley e Wachovia Bank, dei veri e propri sub poenas che costringeranno anche queste tre banche a sottoscrivere impegni a riacquistare dalla loro clientela titoli per decine di miliardi di dollari, impegnandosi altresì ad assistere gli investitori istituzionali nella vendita dei titoli della medesima specie che superano la soglia dei 10 milioni di dollari prevista dai deals precedenti.
Proprio ieri, annunciando nuove svalutazioni per 5,1 miliardi di dollari, il nuovo presidente di UBS ha reso noto che, in tempi relativamente rapidi, l’attività della banca verrà divisa in tre tronconi indipendenti tra di loro, eliminando la confusione esistente tra le attività di wealth management e quelle di Corporate & Investment Banking, un progetto che, se non è proprio quello perentoriamente presentato da Luqman, certo gli somiglia molto!
La cosa che fa più infuriare i vertici vecchi e nuovi di UBS è che delle sue disgrazie stia approfittando a mani basse il rivale e conterraneo Credit Suisse e un buon numero di altre banche elvetiche di minori dimensioni che stanno raccogliendo buona parte degli ingenti flussi di capitale in uscita da quella che fino a poco tempo fa veniva considerata l’ONU della gestione dei patrimoni dei ricchi di tutto il mondo e che approfittano largamente del fatto che gli eventuali reati sono stati già commessi e che il quella hot money è già domiciliata al di fuori del territorio degli USA.
Ho sempre riferito fedelmente l’opinione dominante che vedeva nella banca dei nipotini di John Pierpoint Morgan e del capostipite della casta dei Rockfeller, J.P. Morgan-Chase, una delle poche entità ad essere meno coinvolte nella crisi finanziaria in corso, al punto da essere stata chiamata a raccogliere per il classico piatto di lenticchie e con generoso finanziamento della Federal Reserve quel che restava della Bear Stearns, ma credo proprio che il conto salato presentato dallo sceriffo Cuomo e la comunicazione di ieri alla Sec sulle perdite per 1,5 miliardi di dollari intervenute dopo la data di chiusura di un non terribile secondo trimestre, nonché l’allarme lanciato sulle svalutazioni prossime venture di un bel po’ di titoli della finanza strutturata, rappresentino tutti elementi che inducono a rivedere un giudizio che era in fondo poco più di una superstizione.
Un capitolo a parte lo meriterebbero le due “miracolose” trimestrali diffuse a pochi giorni di distanza dalle due maggiori compagnie di assicurazione monoline operanti negli Stati Uniti, in quanto le stesse hanno presentato utili del tutto inaspettati che però, passate al severo vaglio di quei rompiscatole degli analisti a libro paga delle banche, si sono rivelate interamente o quasi basate sulla assurda previsione delle norme contabili statunitensi che consentono di considerare come ricavi il mark to market negativo, una previsione che genera di conseguenza quelli che in gergo sono considerati profitti di carta e come tali giudicati dagli operatori che hanno ripreso a bastonare senza alcuna pietà le azioni delle due entità.
Nel suo resort esotico molto esclusivo, David Einhorn ha iniziato il conto alla rovescia in trepida attesa dello scadere, alla mezzanotte di ieri, dell’assurda ed asimmetrica regola inventata dal resuscitato numero uno della Securities and Exchange Commission, Effe O Ixs (al secolo, Christopher Cox), una norma che ha protetto per poco meno di un mese Fannie Mae e Freddie Mac, le Investment Banks statunitensi, le maggiori banche commerciali statunitensi ed alcune grandi banche straniere a vocazione globale, norma che ha permesso, peraltro, ad Einhorn ed ai miliardari che lo imitano di guadagnare soldi a palate su quel vero e proprio calcio di rigore rappresentato dal rialzo un po’ forzoso indotto dal provvedimento stesso ed arenatosi già da alcune sedute.
Per capire cosa si attendono gli operatori già a partire da domani, è sufficiente uno sguardo alle vistose flessioni registrate ieri dalle entità beneficiate dal provvedimento emanato da Effe O Ixs ma reclamato a gran voce dalle dirette interessate che sembrano far propria la convinzione che le regole debbano essere adattate alle loro esigenze che ben raramente coincidono con quelle delle donne e degli uomini che abitano il pianeta!
Mi vedo costretto a tornare sull’argomento della ostinazione degna di miglior causa che caratterizza i banchieri centrali dei paesi maggiormente industrializzati nel voler sostenere a tutti i costi un dollaro statunitense che, alla luce dei prevedibili effetti della tempesta perfetta in corso e dei fondamentali economici, dovrebbe sperimentare minimi ben maggiori di quelli che ha già sperimentato nel corso di questo anno, un’ostinazione che in questi giorni sembra premiati dai fatti, ma che ritengo proprio rischia seriamente di vivere a breve una nuova e cocente delusione!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno, informando che gli stessi sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.