Come è ben dimostrato dal notevolissimo attivismo del presidente di turno dell’Unione europea, il già decisionista di suo Nicolas Sarkozy, che si trascina dietro l’alquanto indolente ed un po’ spaesato presidente della Commissione, Manuel Barroso, prosegue il sussulto di consapevolezza della profondità della tempesta perfetta intervenuto nelle ultime settimane anche al di qua dell’Oceano Atlantico, il tutto ben dimostrato dall’ennesimo quadretto nel giardino delle rose della Casa Bianca che ha visto i due europei attorniare quello che si appresta a diventare l’ex presidente degli Stati Uniti d’America per annunciare la volontà comune di convocare una riunione al vertice in terra americana che, anche se non si terrà nella amena località del New Hampshire dove venne deciso sessantaquattro anni orsono il nuovo ordine e economico internazionale, ha l’ambizione di trovare un’intesa sulle nuove regole che dovranno mettere ordine nell’attuale meltdown finanziario globale, regole che dovranno per forza di cose essere meno dollarocentriche e, almeno si spera, meno asimmetriche di quelle scaturite a Bretton Woods.
Ma il fine settimana non ha portato soltanto il frutto della fatica di George W. Bush, Nicholas Sarkozy e Manuel Barroso, ma ha anche registrato la massiccia immissione di fondi pubblici nella prima banca, anche se sarebbe più esatto parlare di primo gruppo bancario assicurativo, olandese, in quanto, dopo aver registrato la prima perdita della sua storia, la Ing, in Italia nota per il successo del suo conto ondine denominato arancio, ha dovuto chiedere una sorta di salvataggio ed accettare due rappresentanti dell’esecutivo nel proprio consiglio di sorveglianza, debitamente muniti del diritto di veto su numerose materie, nonché accettare l’eliminazione dei bonus per l’anno in corso, mossa, quella del governo del paese dei tulipani, che segue di poche settimane la riappropriazione, sempre da parte pubblica, delle attività bancarie olandesi a suo tempo scippate ad ABN AMRO dalla defunta Fortis, a suo tempo vincitrice della disfida con Barclays per l’acquisto del gruppo bancario olandese , insieme alla di recente nazionalizzata Royal Bank of Scotland ed a quel Banco di Santander che se le è cavata soltanto perché si è istantaneamente liberato della patata bollente rappresentata da Antonveneta, sbolognata con ampio profitto alla Banca Monte dei Paschi di Siena che da quel momento ha visto ridursi a meno di un terzo la sua quotazione in borsa.
Poiché faccio ogni sforzo per non diventare superstizioso, non voglio assolutamente credere alla favola che vorrebbe che l’ex amministratore delegato di ABN AMRO, Groenick, abbia a suo tempo lanciato un tremendo anatema, al pari del capo dei templari, Jaques de Molay, in procinto di essere arso sul rogo sotto gli occhi del Re di Francia e famiglia, nei confronti delle tre banche ree di aver fatto fallire l’acquisizione amichevole della sua banca da parte della Barclays, un’offerta peraltro talmente ricca che non poteva non avere la meglio su considerazioni di altro genere; anche se penso che più che la maledizione hanno potuto le poison pills di cui si dice fossero disseminati i conti della banca olandese che riuscì ad avere la meglio sul piissimo Governatore della Banca d’Italia e sul suo protetto Fiorani, entrambi ignominiosamente usciti di scena e prossimamente sottoposti a giudizio proprio per quella vicenda, nella quale mossero i loro primi ed ultimi passi gli oramai notissimi furbetti del quartierino, gran parte dei quali finiti in bancarotta più o meno fraudolenta!
Forse influenzati dalle vicende olandesi e da quanto sta facendo il loro Monsieur le President, gli azionisti delle tre maggiori banche francesi hanno pensato bene di vendere massicciamente le loro azioni, spingendo Socgen, che secondo voci ricorrenti sarebbe stato costretto ad un aumento di capitale che l’avrebbe spinta dritta dritta nelle fauci già spalancate del molto vendicativo Sarkozy, a perdere anche il 12 per cento rispetto alla chiusura di venerdì scorso, mentre perdite sino al 7 per cento hanno caratterizzato anche il Credit Agricole e BNP Paribas, timori che sono sembrati svanire come neve al sole a fine giornata, quando le flessioni sono divenute molto più contenute.
Quanto sta accadendo in Gran Bretagna, Francia, Belgio ed Olanda, per non parlare del molto inquieto sistema bancario tedesco, è molto indicativo di un clima che vede i banchieri rassegnati a cedere il passo agli emissari governativi che portano con sé pacchi di miliardi di euro, ma hanno anche la pretesa di esautorare di diritto o di fatto i precedenti manovratori, finendo per togliere loro lo stipendio e/o i bonus milionari di fine anno, prospettiva rispetto alla quale, in perfetta sintonia con gli altrettanto inquieti colleghi statunitensi, stanno cercando, spesso del tutto invano, di innalzare cavalli di frisia e barricate, aiutati nell’opera dai loro più stretti collaboratori.
Ma cosa sta accadendo nel frattempo nel sistema bancario italiano? Non è un mistero per nessuno come i banchieri nostrani siano molto più preoccupati dell’improvviso silenzio del per la terza volta ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che dei suoi precedenti anatemi nei confronti loro e di quei topi posti a guardia del formaggio, come il nostro fantasioso ministro ha appellato i banchieri centrali, soprattutto quanti di loro sono impegnati nel Financial Stability Forum che, per la cronaca, è presieduto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, con il quale ha da poco incrociato le lame sull’andamento dei conti pubblici, un silenzio veramente assordante in quanto sono note anche ai bambini le poche ma chiarissime idee di Tremonti sulle banche italiane nel loro complesso, ma più in particolare quelle su alcuni e ben individuati gruppi bancari posti ai primi posti della classifica di settore, Unicredit Group e Monte dei Paschi di Siena in primis.
Non credo, peraltro, sia un mistero per nessuno che, pur dopo l’ingresso non concordato dei libici ai piani alti dell’azionariato di Unicredit, un arrotondamento per quasi nove della striminzita quota derivante dalla loro precedente presenza nell’azionariato di Capitalia effettuato esclusivamente mediante acquisti sul mercato, l’azione del gruppo di Piazza Cordusio non riesca ad allontanarsi dalla parte bassa dell’area dei 2 euro, un livello molto preoccupante alla luce del prezzo previsto per il prossimo aumento di capitale, quei tre euro e qualcosa che sembravano di per sé un’onta per un azione che aveva occhieggiato, prima dell’avvio della tempesta perfetta e subito dopo la fulminea acquisizione, in assenza di due diligence, la soglia degli 8 euro, quel livello di 7,75 euro che consentiva una capitalizzazione di borsa di oltre 100 miliardi, anche se va rilevato che anche Intesa-San Paolo ed il gruppo Monte dei Paschi di Siena non sembrino certo passarsela molto meglio della loro rivale!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.