lunedì 27 ottobre 2008

Il crollo dei mercati accelera i progetti dei governi sulle banche!


Dopo un ennesimo week end fitto di incontri multilaterali e bilaterali a margine del summit dei quarantadue paesi europei ed asiatici riuniti in Cina per dare modo di confrontare il piano di salvataggio delle banche e delle altre protagoniste del mercato finanziario europeo, poi ripresa con una correzione in corsa significativa del piano Bush-Paulson-Bernspan, con le idee dei maggiori paesi dell’Asia e che ha convinto questi ultimi a dare vita ad un fondo di salvataggio collettivo con una dotazione iniziale di 80 miliardi di dollari, cifra che appare largamente sufficiente, anche ove si consideri che il Giappone ha già provveduto unilateralmente a tamponare le falle del suo sistema creditizio.

Come sempre più spesso accade in questo quindicesimo mese di tempesta perfetta, i sogni dei governanti e dei banchieri centrali fatti quando i mercati sono rigorosamente chiusi per l’un tempo rispettata pausa settimanale si sono infranti sulla dura realtà dei mercati azionari che, sin da stamane in Asia, hanno fatto segnare nuovi minimi, con flessioni che vanno dal 6 per cento e spiccioli del Nikkei 225 giapponese al 12 per cento lasciato sul terreno dall’Hang Seng di Hong Kong, forti flessioni che trovano eco nelle altre piazze azionarie dell’estremo oriente.

Né può stupire, viste le premesse ed il pesante lascito della scorsa settimana, che anche le principali piazze europee non abbiano perso tempo a colorarsi di profondo rosso, con flessioni medie del 5 per cento che hanno riguardato il Footsie di Londra, il CAC 40 di Parigi, il Dax di Francoforte ed i principali indici di Milano, con le banche e le compagnie di assicurazione ancora una volta sotto tiro, mentre gli analisti e gli operatori non hanno certo trovato motivi di conforto nella previsione del Commissario agli affari economici dell’Unione europea, lo spagnolo Manuel Barroso, che non ha trovato niente di meglio da dire che la crisi bancaria durerà almeno un anno, il che vuole dire, alla luce del tempo già trascorso, che prevede una durata complessiva della tempesta perfetta non inferiore ai 27 mesi, una durata già di per sé eccezionale, mentre, forse per non spaventare ulteriormente i già atterriti risparmiatori/investitori, nulla dice circa la profondità della crisi finanziaria medesima, né suoi riflessi sull’economia reale, in termini di investimenti, reddito ed occupazione, anche perché gli stesi sono oramai sotto gli occhi di tutti.

Questo è il poco confortante quadro che si presenta in tarda mattinata sul nostro fuso orario, mentre nulla ancora si sa dei futures sui principali indici statunitensi, che, lo ricordo solo per dovere di cronaca, venerdì scorso sono stati sospesi nella loro contrattazione, al fine di impedire che generassero una caduta verticale dei tre indici statunitensi sin dal loro avvio, il che, assieme alle altre misure adottate dal comitato direttivo del New York Stock Exchange nei momenti di emergenza sin dal crollo dell’ottobre del 1987, hanno consentito al Dow Jones di segnare in chiusura una flessione cifrabile “solo” in qualcosa di più del 3 per cento, in linea, peraltro, con le chiusure del Nasdaq e dello Standard & Poor’s 500, anche se va segnalato che, oltre al freno a mano tirato dai vertici del NYSE, hanno contribuito a sventare un crollo di ben maggiori dimensioni anche la solita inondazione di liquidità da parte della Fed nonché l’annuncio di interventi per decine di miliardi di dollari nel capitale di altre 22 banche statunitensi.

Come ripeto oramai da alcune puntate del Diario della crisi finanziaria, la cosa più grave sta nel fatto che le autorità monetarie, governi e banche centrali, di tutto il pianeta hanno fatto già il possibile e l’impossibile per fronteggiare il meltdown in corso sul mercato finanziario globale, anche se in queste ore hanno ripreso a circolare voci di un possibile nuovo taglio concordato dei tassi di interesse ufficiali da parte delle banche centrali dei maggiori paesi industrializzati, una misura che potrebbe, tuttavia, avere sul mercato lo stesso effetto che stanno avendo i ripetuti interventi dell’ormai ex inquilino della Casa Bianca, interventi replicati dalla maggior parte dei leaders politici dell’Occidente industrializzato e, da poche ore, anche da quelli dei maggiori paesi asiatici e latino americani, mentre i leaders africani non sanno proprio più a che santo votarsi, visto che stanno nei guai da molto tempo prima che la tempesta perfetta facesse la sua comparsa il 9 agosto del 2007.

Non è poi così difficile prevedere che, in un clima così favorevole alle suggestioni più cupe della pubblica opinione, questa potrebbe essere la settimana giusta per procedere a quella occupazione manu militari da parte del potere politico delle maggiori banche poste al di qua ed al di là dell’Atlantico, anche se è vero che negli Stati Uniti d’America, gli interventi hanno già riguardato le trenta banche più importanti, mentre, in Europa, siamo a quattro banche inglesi, tutte le grandi banche francesi, una banca tedesca (cui vanno aggiunte le due salvate nei mesi scorsi e la Dresdner Bank acquisita dalla Commerzbank che è così finita sotto il controllo della compagnia di assicurazione Allianz), il Benelux al completo è intervenuto in soccorso di Fortis, rapidamente poi smembrata su base nazionale, lo Stato Olandese ha preso il controllo di quel che resta di ABN AMRO sul territorio nazionale ed ha iniettato 10 miliardi di dollari nel colosso ING.

A tanto attivismo al di qua ed al di là della Manica, non corrisponde alcuna iniziativa concreta in Spagna ed in Italia, ma, mentre il governo di Luis Zapatero sembra poter dormire sonni abbastanza tranquilli, almeno sul fronte dei colossi operanti in quel paese (non fosse per le crescenti preoccupazioni provenienti da quella America latina che rappresenta per entrambe un area di vitale interesse), il governo italiano si trova ad assistere alla progressiva liquefazione del valore delle azioni dei cinque principali gruppi, con particolare riferimento ai primi tre di essi, al punto che il silenzio proveniente da Palazzo Chigi diventa sempre più assordante e foriero di misure di carattere eccezionale che turbano il sonno dei nostri top bunker e, più di recente, anche dei plenipotenziari delle Fondazioni di origine bancaria che temono di vedersi scippato il “loro” gruzzolo di 76 miliardi di patrimonio, una dotazione di tutto rispetto che sembra rientri tra gli appetiti del per la terza volta ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

Credo proprio che le prossime giornate saranno quelle decisive per le decisioni del governo e per le determinazioni sull’adeguatezza patrimoniale formulate, stavolta a tempo di record, dagli esperti della Banca d’Italia!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.