mercoledì 29 ottobre 2008

Il tonfo di Unicredti e Intesa impedisce a Piazza Affari di partecipare alle festa delle borse di tutto il mondo!


Apparentemente incuranti dei dati disastrosi provenienti dall’indice del Conference Board che misura la fiducia dei consumatori statunitensi, calato di ben 20 punti a 38, e dall’ennesimo tonfo anno su anno a due cifre del prezzo delle case misurato dall’indice più attendibile a stelle e strisce, ieri gli investitori hanno voluto replicare l’exploit vissuto qualche lunedì fa dopo l’annuncio dell’adozione del piano di salvataggio delle banche europee adottato dai leaders dei paesi dell’eurozona, un piano, lo ricordo, che ricalca quello adottato poche ore prima da Gordon Brown e che ha influenzato fortemente il precedente piano Bush-Paulson-Bernanke, modificandone in corsa obiettivi e metodi di intervento.

Che questo fosse l’orientamento degli investitori istituzionali lo si era capito ieri mattina in Asia, con i forti rimbalzi dell’Hang Seng e del Nikkei 225, recuperi che, tuttavia, avevano consentito di recuperare solo una parte delle ingentissime perdite della seduta precedente, un’intonazione positiva riverberatasi su alcuni mercati azionari europei, come quelli di Londra e Parigi, che, dopo qualche incertezza, hanno marciato con il segno più ed hanno chiuso con rialzi intorno ai due punti percentuali, mentre un vero e proprio exploit ha caratterizzato il Dax di Francoforte, che ha risentito per il secondo giorno consecutivo della vera e propria prova di forza della Porche nei confronti dell’ostinazione barricadiera del Land che controlla, via potere di veto risultante dalla quota azionaria in suo possesso, la Volkswagen, una resistenza vanificata dalle azioni già in suo possesso più l’opzione ad acquisirne un ulteriore 30 per cento, un annuncio che ha consentito la triplicazione del valore dei titoli della casa automobilistica tedesca in sole due sedute ed ha consentito all’indice di chiudere la seduta con un rialzo dell’11 per cento.

La mossa del maggiore azionista della Volkswagen è suonata come una prova di fiducia nelle possibilità di recupero del settore automobilistico che, dopo quello finanziario e quello delle costruzioni, è stato certamente quello che ha subito nel modo più devastante l’effetto domino innescato dalle alte ondate della tempesta perfetta, un impatto cui non è estraneo il restringimento acuto delle possibilità di finanziamento ai potenziali acquirenti di autovetture e camion, finanziamento cui non sono certo estranei i potentissimi bracci armati finanziari controllati dalle stesse case automobilistiche, una mossa ancora una volta originatasi in Europa e che va in netta controtendenza rispetto a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti d’America, dove lo squalo Kerkorian e le disperate locuste stanno vistosamente riducendo le loro quote in Ford e Chrysler, proprio alla vigilia dell’arrivo dei finanziamenti agevolati al settore per iniziali 25 miliardi di dollari approvati a tambur battente dal Congresso ed istantaneamente firmati da Bush.

L’unico mercato azionario di un importante paese europeo ad andare ieri in netta controtendenza è stato quello di Milano, che, nonostante i vistosi recuperi della maggior parte delle società quotate, è stato letteralmente tirato verso il basso dalle ripetute sospensioni al ribasso che hanno caratterizzato gruppi bancari di primo piano come Unicredit Group ed Intesa San Paolo, con l’azione di Unicredit che ha chiuso la seduta con un clamoroso meno 13 per cento, mentre Intesa se l’è cavata con una flessione all’incirca pari alla metà di quella segnata dalla sua principale concorrente, il tutto mentre si è concluso con una sorta di nulla di fatto la riunione del comitato di crisi presieduto da Giulio Tremonti, con la partecipazione dei responsabili della Banca d’Italia, della Consob e dell’ISVAP, anche se più che di un nulla di fatto si è trattato del rinvio ad un’altra riunione che si terrà forse oggi, mentre nel comunicato finale si fa cenno alla situazione disastrosa segnalata dal meltdown in corso delle azioni dei due principali gruppi bancari italiani e da quella non certo felice che caratterizza le altre tre comprimarie.

Tutto era quindi pronto per il rimbalzo avvenuto poi a wall Street, anche se va segnalato che per buona parte della seduta l’incertezza la ha fatta da padrona es olo nelle ultime due ore si è capito che si stava preparando una chiusura a due cifre, il che è puntualmente avvenuto per il Dow Jones e per lo Standard & Poor’s 500, mentre il Nasdaq si è dovuto accontentare di sfiorare la soglia del 10 per cento di recupero, con andamenti relativi a singoli titoli bancari che hanno avuto del clamoroso come l’escursione di 20 punti percentuali che ha consentito ad un’affondata Morgan Stanley di passare dal profondo rosso ad un rialzo a due cifre, in linea con le maggiori banche statunitensi, mentre ha stupito i più la svogliatezza degli investitori nei confronti della potente e molto preveggente Goldman Sachs che non è andata oltre un segno più dello zero virgola.

Certo hanno pesato le certezze relative all’ennesimo taglio del tasso sui Fed Funds e del tasso ufficiale di sconto che rappresenta l’unico pedaggio da pagare per le banche di ogni ordine e specie per depositare i propri titoli tossici per 84 gironi presso l’amplissima discarica aperta dalla Fed di New York, ma di rilievo sono state anche la pubblicazioni dei dettagli relativi all’acquisto delle Commercial papers da parte delle entità individuate dalla Federal Reserve come proprio braccio armato per rivitalizzare questa fonte di finanziamento diretta alle imprese, cosi come l’annuncio da parte del Tesoro che è ormai solo questione di giorni per l’ingresso dello Stato nel capitale delle prime 30 banche operanti sul suolo a stelle e strisce, un’iniezione da 250 miliardi di dollari complessivi che esaurisce la prima tranche del piano governativo.

Ancora più esplicito è stato George W Bush, che nel suo ennesimo intervento a piedi uniti sul recalcitrante mercato, ha affermato a chiare lettere di non poterne proprio più dell’ostinazione delle banche a non fare il loro mestiere, rifiutandosi di fatto di finanziare le altre banche e, soprattutto, le imprese e le famiglie, fornendo così una giustificazione anche ideologica all’intervento statale nel capitale delle banche stesse, ma chiarendo al contempo che le nuove regole, la sostituzione di alcuni top bankers e le altre misure di contorno previste dal piano di salvataggio che oramai può tranquillamente essere definito globale sono assolutamente passi necessari per uscire dal pantano finanziario in cui si dibatte gran parte della società statunitense, per non parlare poi di quello che sta avvenendo in Europa e nel resto del pianeta!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.