Il summit richiesto con una certa determinazione da Sarkozy e Barroso, rispettivamente presidente di turno dell’Unione europea e della Commissione che ne rappresenta in qualche modo l’organo esecutivo, ad un tentennante George W. Bush si terrà a Washington il 15 novembre prossimo venturo, opportunamente collocato quando sarà uscito dalle urne statunitensi il nome del successore dell’attuale inquilino della Casa Bianca e, soprattutto, il nome di quello che si prepara indubitabilmente ad essere il più potente ministro, quello del Tesoro, una scelta che non a caso vede i due contendenti sparare nomi altisonanti quali, a solo titolo di esempio, quello di Paul Volker, mitico presidente della Federal Riserve costretto a dimettersi ai tempi della reaganomics, e quello del Leone di Omaha, l’altrettanto mitico Warren Buffett.
In attesa del responso delle urne, già peraltro aperte in alcuni stati del grande paese a stelle e strisce, il responso dei mercati, ieri su tutti i fusi orari e stamane di nuovo in Asia, è stato davvero tremendo, con perdite che sembrano indicare, nella loro profondità e pervasività, che gli analisti e gli operatori, ma soprattutto i risparmiatori/investitori, sembrano proprio non credere all’efficacia del più grande sforzo congiunto che governi e banche centrali abbiano mai messo in campo nell’intera storia dell’umanità, uno sforzo che li vede impegnati per migliaia di miliardi di euro, ma che si sta scontrando contro i micidiali meccanismi di cui il mercato si è dotato in questi decenni, quali i derivati di ultima generazione e quelle vere e proprie armi di distruzione di massa rappresentate dai Credit Default Swaps, che invano Bernspan e compagni si stanno affannando a disinnescare, addentrandosi in un ginepraio di previsioni legali in larga parte basate sul fatto che si trattava di strumenti che non sarebbero mai diventati esigibili come, invece, sta accadendo in queste settimane sotto le alte ondate della tempesta perfetta.
Non credo che siano molti, infatti, a sapere che il consiglio direttivo dell’ISDA, l’organismo deputato a dirimere le eventuali controversie sull’efficacia o meno di uno di questi strumenti, nonché incaricato di redigere la contrattualistica tipo per gli stessi, ha stabilito che, anche nel caso di salvataggi o di nazionalizzazioni, quali ad esempio quelle di Fannie Mae e Freddie Mac o di AIG, si concretizza la fattispecie del default e, quindi, il relativo contratto diventa immediatamente esecutivo con i suoi relativi obblighi ed oneri per le parti che lo hanno sottoscritto, il che trattandosi di un mercato che è stimato tra i 55 ed i 62 mila miliardi di dollari, in buona parte concentrati sugli emittenti finanziari di titoli della finanza più o meno strutturata, nonché degli Stati sovrani, o di loro parti, consente di comprendere uno dei motivi dei crolli di borsa avvenuti ed, ahinoi, anche di quelli che verranno ad onta dei giganteschi sforzi dei paesi del G7, del G10 e, se servirà, anche del G21, in quanto, in caso di default sistemico, è sempre cosa saggia mettere intorno allo stesso, gigantesco tavolo i debitori ed i creditori.
Mi permetto di formulare un sommesso suggerimento a questo vero e proprio esercito di decision makers eletti o meno dai loro rispettivi popoli e che consiste nel fatto che la moltiplicazione di discorsi terrorizzanti difficilmente sortisce l’effetto di tranquillizzare i risparmiatori/investitori del pianeta, anche perché gli stessi stanno sempre più assumendo i comportamenti caratteristici di una mandria di bufali imbizzarriti, mutazione genetica dettata dalla paura della loro normale caratteristica di parco buoi, abitualmente pronti a digerire le peggiori schifezze loro proposte, ma che, in fasi come questa (ma è mai esistita una fase come questa?), esitano ad acquistare o a sottoscrivere anche gli strumenti più innocui emessi dalle entità finanziarie più solide!
Così come mi permetto di affermare che non è stata proprio saggia la decisione della presidentessa argentina Cristina Kirchner di nazionalizzazionare i fondi pensione privati argentini che, oltre a provocare un vero e proprio meldown dei titoli quotati alla borsa di Buenos Aires nelle ultime sedute, inclusa quella di ieri, ha risvegliato tutte le paure di una possibile ripetizione di quella dichiarazione di stato di default del debito sovrano, come alquanto tragicamente avvenne in tempi non molto remoti, come ben sanno quei risparmiatori italiani che, dopo aver subito il danno di aver perso i loro soldi, si sono anche fidati di un personaggio come Nicola Stock, indicato dall’Associazione Bancaria Italiana come il loro paladino, e che ha compiuto il capolavoro di convincere la maggioranza di quanti gli avevano dato la loro delega a non accettare il compromesso proposto dal Governo argentino e che ancora aspettano una qualche molto improbabile risposta da organismi internazionali, risposta che, alla luce di quanto sta accadendo, molto difficilmente verrà.
Confesso che ho vissuto un vero e proprio deja vu, quando ho sentito ieri che la stessa Associazione Bancaria Italiana, in relazione al fallimento di Lehman Brothers con il suo triste corollario di falcidia di bonds e index linked, ha proposto, in luogo del pagamento a piè di lista che in molti casi appare assolutamente doveroso visto l’identikit dei risparmiatori coinvolti, un’adeguata assistenza legale a favore dei risparmiatori/investitori danneggiati, anche se sono certo che Nicola Stock non avrà il tempo, e spero anche la voglia, di occuparsi anche di questa ennesima patata bollente, una decisione, quella dell’ABI, che dice più di mille parole che della questione della reputazione e della fiducia non gliene importa poi più di tanto, il che indica altrettanto inequivocabilmente che sono convinti che di bonds non garantiti dallo Stato e di index linked hanno già stabilito che non ne venderanno più nemmeno per un euro, incuranti delle mosse molto più lungimiranti e coraggiose intraprese, almeno a parole, da Unipol, Poste Italiane e Mediolanum!
Nel suo modo molto naif di comunicare, Silvio Berlusconi ha voluto amplificare il già drammatico effetto sortito dallo stress test effettuati dagli analisti di Merril Lynch sulle maggiori banche statunitense ed europee per valutare l’adeguatezza del loro patrimonio, quantificandone financo i fabbisogni, ed ha sostenuto, ai margini di un convegno della Confindustria, che altre due o tre banche italiane dovranno seguire l’esempio di Unicredit Group, che per la cronaca è in procinto di testare la fortissima resistenza posta al livello dei due euro, e procedere ad opportune e massicce ricapitalizzazioni, il che ha, da un lato, spinto le azioni delle principali banche italiane prepotentemente verso il basso, mentre, dall’altro, ha costretto i loro quartier generali ad emettere comunicati che hanno sortito l’unico effetto di convincere i loro azionisti che gli aumenti di capitale alla fine ci saranno.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.