Il calo del 3,1 per cento dei consumi statunitensi nel terzo trimestre di questo davvero orribile 2008, anno bisesto anno funesto, rappresenta la dimostrazione palmare del fatto che la strenua resistenza delle cicale americane, durata ben quattro mesi dall’avvio della tempesta perfetta, è oramai definitivamente alle nostre spalle e che una repentina mutazione genetica le ha trasformate in formiche addirittura più parsimoniose delle loro omologhe di specie europea, continente nel quale il vincolo di bilancio viene tramandato di generazione in generazione, forse eredità virtuosa della lunga fase pauperistica che ha dominato tutto l’ottocento e buona parte del secolo successivo, una necessità assurta a virtù nei periodi bellici e nella lunga fase depressiva che pure colpì più duramente al di là che al di qua dell’Oceano Atlantico per buona parte degli anni Trenta.
Pur mancando dagli Stati Uniti d’America da ben ventisei anni, ho immaginato molte volte in questi lunghi quindici mesi di sommovimento del mercato finanziario globale che ha oramai raggiunto a pieno l’economia reale a stelle e strisce, così non mi è difficile ascoltare il silenzio delle casse dei mall e dei grandi centri commerciali, luoghi dove un tempo si poteva ascoltare un vero e proprio concerto di zip zip di quelle armi di distruzione dei bilanci familiari che prendono il nome di caste di credito revolving, sì proprio quelle che il reverendo più in voga negli States, tal Jenkins, vede come una sorta di strumento del demonio, al punto di chiedere alla vasta platea dei suoi fedeli e telefedeli di distruggere al culmine di cerimonie religiose che appaiono molto, ma molto simili alle riunioni degli alcolisti anonimi, fedeli che fanno letteralmente la fila per ascoltare le lezioni organizzate da questa davvero anomala congregazione sull’uso attento del denaro.
Non so cosa sta pensando di questa sorta di ravvedimento collettivo quella infermiera fervente fedele del reverendo Jenkins, assurta alle cronache per essersi del tutto disintossicata dalla sua smania spendereccia, ma solo dopo aver utilizzato la cinquecentesima carta di credito della sua vita, una patologia che ha pagato a caro prezzo impiegando ben dieci anni per ripagare tutti i suoi debiti e per giungere alla consapevolezza che è utile spendere sempre un po’ meno di quanto si guadagna, soprattutto se non si vuole entrare in una spirale che, almeno a sentire le sue parole, non è poi così diversa da quella vissuta dai tossicodipendenti di ogni ordine e specie o degli alcolisti giunti all’ultimo stadio dell’etilismo acuto!
Né stupisce il raddrizzamento della Corporation America, che ritrova, per quanto le è possibile nel relativamente breve volgere di tempo intercorso dall’estate dell’anno scorso, la via dell’export, mentre puzza tanto di esigenze elettoralistiche la continua espansione della spesa pubblica che è possibile scorgere dalle statistiche e che riguarda tutti i livelli di quella pubblica amministrazione statunitense, che, al di là dei miti e degli stereotipi, è molto più ampia e vorace di quanto si vuole fare credere, così come appare avere molta più consapevolezza del suo ruolo anticiclico all’alba di quella che si profila proprio come la più lunga recessione dal secondo dopoguerra mondiale, e sempre ammesso che non decida di durare quanto se non di più di quella che giustamente venne definita la Grande Depressione che, lo ricordo per i più smemorati, afflisse gli Stati Uniti d’America dal 1929 al periodo immediatamente successivo all’entrata in guerra degli USA nel corso del secondo conflitto mondiale.
Quando si dice, come sempre più spesso fanno i media, anche quelli più embedded alle logiche del capitale finanziario, che, dopo quello che stiamo vivendo, nulla sarà come prima, si dice qualcosa di sacrosantamente vero, perché mai abbiamo assistito ad un processo di autocoscienza collettivo come quello che stanno vivendo i cittadini degli Stati Uniti d’America, una nazione dalla maggior parte dei suoi abitanti considerata al pari della Terra Promessa del consumismo senza regole, una devianza dal modo corretto di vivere abilmente favorita da quello che è accaduto sul mercato finanziario globale grazie ai concomitanti processi di globalizzazione, finanziarizzazione e deregolamentazione, una miscella davvero fatale ampiamente favorita dalla distrazione dei regolatori e dei governi che si sono succeduti, nessuno dei quali ha mosso un dito per impedire quelle degenerazioni che hanno avuto origine nelle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali!
Un pessimo segnale è venuto ieri dal brusco innalzamento dei tassi sui mutui trentennali, i più diffusi in assoluto negli USA, un rialzo che è venuto all’indomani dell’ennesimo taglio dei tassi da parte della Fed fino al risibile uno per cento sui Fed Funds, mentre i tassi richiesti ai sottoscrittori di mutui di lunga durata superano di qualcosa di più di sei volte tale livello.
Se c’è una cosa che davvero non sopporto è rappresentata dalle lacrime di coccodrillo dei maggiori leaders mondiali e le lezioncine impartite da quei personaggi pomposamente etichettati quali governatori delle banche centrali, una vera e propria pletora di topi messi a guardia del formaggio, incluso l’inventore della felice formula, il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti o il suo nuovo duellante Mario Draghi, un uomo che ha vissuto le vicende dell’Investment Banking da entrambi i lati della barricata, prima come committente del più grande processo di privatizzazione mai vissuto da un paese industrializzato, riunioni con le Big Five statunitensi sul panfilo Britannia incluse, una performance così brillante agli occhi dei suoi interlocutori da meritargli i galloni di alto ufficiale della molto potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs che gli affidò i suoi destini europei e lo cooptò nella sua direzione strategica globale, prima che riassumesse i panni un po’ grigi di civil servant rilevando dalle mani di Antonio Fazio la guida di una Banca d’Italia al suo minimo storico di credibilità.
Spero solo che i due nuovi duellanti ed il loro finto arbitro che risponde al nome di Silvio Berlusconi risparmino a tutti nuovi una nuova edizione di quelle allegra comari di Windsor, un remake delle baruffe chiozzotte tra due personaggi agli antipodi come erano l’allora ministro delle finanze, commercialista in quel di bari e socialista quando il suo era il partito dei ani e delle ballerine, ed il compianto Beniamino Andreatta, a quel tempo ministro del Tesoro e che passerà alla Storia per aver costretto l’Istituto per le Opere di Religione allora gestito da Paul Marcinkus da Chicago a sborsare qualche centinaio di miliardi di lire!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.