La nuova ondata della tempesta perfetta non è tanto ascrivibile ai più che noti guai dell’investment banking, ma stavolta ha molto a che fare con la raffica di dichiarazioni e decisioni coordinate o in ordine sparso dei massimi vertici politici delle maggiori nazioni industrializzate e da quella che ieri definivo la vera e propria panic governance, un modo di gestire la più grave crisi finanziaria mai vista che assomiglia davvero al movimento di uno sciame di api impazzite, basti pensare alle convulse mosse del trio Bush-Paulson-Bernspan che tirano fuori dal loro apparentemente inesauribile cilindro una misura al giorno, ognuna del valore di molte centinaia di miliardi di dollari, ma, soprattutto, ognuna sempre più avente le caratteristiche di un’economia di guerra piuttosto che quelle di sagge e normali misure assunte di fronte al meldown finanziario che, come era peraltro più che prevedibile, ha oramai raggiunto i colossi dell’industria a stelle e strisce e le loro omologhe europee.
Come ho più volte chiarito ai miei lettori, non mi soffermo tanto sull’andamento degli indici di borsa, anche se devo dire che fa un po’ impressione vedere i livelli raggiunti in poche settimane dagli indici statunitensi, da quelli europei e da quelli asiatici, anche perché non capita tutti i giorni parlare di un calo del Dow Jones superiore al 7 per cento o di un Nikkei 225 che per la seconda volta in pochi giorni sta trattando con perdite intorno al 9-10 per cento, anche perché credo che il problema vero stia, come il 9 agosto dell’anno scorso, nell’assoluta resistenza delle maggiori banche mondiali agli interventi di rianimazione a cuore aperto effettuati dai banchieri centrali che sembrano non sapere più che cosa fare per indurre le più che riottose banche a fidarsi almeno un po’ l’una dell’altra!
Non si era, infatti, mai visto che un davvero inedito taglio concertato dei tassi che ha riguardato non solo le sette banche centrali che si sono mosse mercoledì in assoluta contemporanea applicando la stessa misura di riduzione dei principali tassi di riferimento, ma anche numerose banche che si erano mosse in maniera anche più decisa qualche ora prima nel fuso orario asiatico, non producesse un allentamento delle condizioni sul mercato interbancario, ma, come è accaduto ieri e l’altro ieri, addirittura un inasprimento dei tassi su tutte le scadenze perfettamente visibile sia nell’area del dollaro, che in quella dell’euro e, per quel che oramai conta, della sterlina.
D’altra parte, se si fa finta di non vedere le vere cause della tempesta perfetta che ha compiuto ieri il quattordicesimo mese di vita e sembra più forte che pria, e si continua a parlare dell’effetto sub prime o dell’effetto meltdown immobiliare come delle cause, è ovvio che le terapie adottate siano inefficaci se non addirittura controproducenti e che l’intero settore automobilistico a stelle e strisce, che peraltro è costituito da giganti dotati di comparti finanziari superiori per assets a molte banche statunitensi od europee, entri in sala di rianimazione, del tutto indifferente all’ennesimo provvedimento di sostegno deliberato, per 25 miliardi di dollari, da un Congresso che, come il governo e le autorità di vigilanza, sembra davvero non sapere più assolutamente quello che fa e che assume provvedimenti a raffica che si tradurranno alla fine in una stampa selvaggia di dollari che, oltre a sfasciare le finanze pubbliche di quella grande nazione, finirà per portare il dollaro a valori veramente striminziti nei confronti delle altre principali valute.
Già, perché quando sarà finito l’effetto di sostegno derivante dai mega prestiti quotidiani rigorosamente in dollari delle altre banche centrali a favore della Federal Reserve, il dollaro se ne andrà inevitabilmente per la sua strada, al punto che non si può escludere che la riunione del G7 prevista per questo fine settimana a Washington non rappresenti una riedizione allargata di quel vertice a tre che si tenne decenni fa al Plaza di New York, un vertice che portò ad un vero e proprio sommovimento nei cambi allora esistenti tra il dollaro, il marco tedesco e lo yen e nel quale venne decisa a tavolino la più grande svalutazione istantanea della valuta statunitense.
Nell’ultima giornata del 2007, come i lettori più fedeli forse ricorderanno, formulai le previsioni per l’intero 2008, valutando che l’euro potesse spingersi fino a 1,70 dollari, la valuta statunitense testare verso il basso la soglia posta a 95 yen ed il petrolio giungere sino ai 75 dollari al barile, ma mi vedo costretto, dieci mesi dopo, a modificare le cifre obiettivo, in quanto vedo possibile, entro i prossimi tre mesi, il test della cruciale soglia psicologica dei due dollari per un euro, mentre potrebbero bastare anche 80-85 yen per acquistare un dollaro, uno squagliamento del biglietto verde che non dovrebbe impedire al greggio, a meno di decisioni drastiche da parte del cartello dei produttori, di scivolare in direzione dei 50 dollari, un livello che si pone appena al di sopra di un terzo di quel massimo a 147 dollari al barile toccato, via impazzimento pilotato del mercato dei derivati, non tanto mesi orsono!
So che queste cifre faranno storcere il naso a più di un’analista tecnico e a non pochi analisti fondamentali, ma vorrei ricordare loro sommessamente che, anche solo applicando la metodologia un tempo seguita dalla Swiss Bank Corporation, poi confluita nell’UBS, quei valori del dollaro starebbero già perfettamente nelle cose, il che è, peraltro, perfettamente verificabile mediante una semplice analisi comparata delle posizioni nette sull’estero degli Stati Uniti d’America, dell’area dell’euro e dei principali paesi asiatici, dello stato delle rispettive finanze pubbliche e degli altri indicatori che normalmente vengono presi in esame nell’analisi cosiddetta fondamentale.
Con una davvero sinistra coincidenza, le previsioni di Nouriel Rubini e quelle formulate su carta patinata dagli economisti del Fondo Monetario Internazionale, formulate a ventiquattro ore di distanza le une dalle altre, lanciano l’allarme su una recessione già in atto e dalla durata prevedibile di almeno due anni, previsioni che, per quel che può valere, mi trovano del tutto concorde, anche se non credo che quarantotto mesi rappresentino un periodo sufficiente a smaltire la montagna di titoli della finanza strutturata partoriti dall’inesauribile ingegno degli apprendisti stregoni impegnati nelle fabbriche prodotto delle ex Investment Banks e nelle divisioni, attualmente in corso avanzato di ristrutturazione, di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.